Iran. ‘Pronti ad aumentare la produzione di uranio’

di Enrico Oliari

Con domenica l’Iran supererà la quita di arricchimento dell’uranio, passando dal 3,67% stabilito dagli accordi del 2015 (Jpcoa) sottoscritti dal “5+1”, dai quali lo scorso anno si sono ritirati gli Usa, al 5%. A pesare sull’Iran non sono tanto le sanzioni Usa, quanto la minaccia di Washington ai paesi alleati, tra cui l’Italia, di ritorsioni nel caso continuassero ad acquistare idrocarburi dalla Repubblica Islamica, cosa che ha penalizzato le esportazioni scatenando una profonda crisi economica nel paese con l’inflazione alle stelle ed il costo delle case, bene rifugio per chi ha liquidità, a prezzi proibitivi.
Il consigliere della Guida suprema dell’Iran Ali Khamenei, Ali Akbar Velayati, ha così confermato quanto era nell’aria da giorni, e già in giugno Teheran si era data un termine ultimo di 10 giorni; allora il portavoce dell’Agenzia atomica Behrouz Kamalvandi aveva affermato che gli europei “o non vogliono fare qualcosa o non sono capaci di farla”. Intervenendo indiretta televisiva Kamalvandi aveva affermato che “Abbiamo quadruplicato il ritmo di arricchimento e accelerato ancora la produzione, quindi in 10 giorni supereremo il limite consentito di 300 chili”, tuttavia “c’è ancora tempo, se i Paesi europei agiranno”. Il Jpcoa prevede che le riserve iraniane di uranio a basso arricchimento non possano superare i 202,8 chilogrammi.
Più che per scopi bellici, il tipo di uranio che viene arricchito in realtà serve per la centrale atomica iraniana di Busher da 1000 Mw, l’unica del Medio Oriente e ristrutturata nel 2014 dalla russa Rosatom, ma tanto basta per alzare l’asticella della tensione in una guerra psicologica fatta di traballanti accuse all’Iran di aver colpito una petroliera norvegese ed una giapponese nello Stretto di Hormuz, di un drone spia Usa abbattuto nei giorni scorsi sui cieli dell’Iran (ma gli iraniani hanno affermato che oltre al drone avrebbero potuto abbattere anche l’aereo Usa che lo accompagnava da distanza, con 35 militari a bordo), della petroliera iraniana fermata venerdì in acque internazionali nei pressi di Gibilterra dalla Marina britannica su richiesta Usa (cosa che va contro il diritto internazionale) e dell’attacco informatico ai server militari iraniani condotti dal Pentagono del 23 giungo.
Alla base di tutto c’è il ritiro degli Usa dal Jpcoa, sottoscritto nel 2015 da Usa, Francia, Gran Bretagna, Russia, Cina + Germania, un accordo che stava funzionando bene, anche perché gli ispettori dell’Aiea, l’Agenzia internazionale atomica con sede a Vienna, hanno sempre confermato nei loro rapporti che l’Iran ha rispettato pedissequamente l’accordo.
Tuttavia Trump, che è stato eletto grazie al determinate supporto delle potenti lobby sioniste presenti nel suo paese, ha preso come “casus” il lancio nel settembre 2017 di un missile convenzionale “Khorramshahr”, nonostante tali test non rientrassero nel Jpcoa.
E intanto gli Usa stanno facendo fior di quattrini vendendo armi di ogni genere, in particolare missili Patriot, ai paesi dell’area, i quali vedono nell’Iran un ostacolo alla loro egemonia nello scacchiere mediorientale, si pensi alle crisi siriana e yemenita, ma anche all’appoggio iraniano al Qatar, paese tradizionalmente ai ferri corti con l’Arabia Saudita.