di Giuseppe Gagliano –
Il 9 marzo 2025, Baghdad e Muscat hanno firmato due memorandum d’intesa per esplorare la costruzione di un oleodotto che colleghi Bassora all’Oman e per sviluppare strategie comuni di marketing del greggio. L’iniziativa, seppur ancora agli albori, rappresenta un passo significativo per l’Iraq, impegnato a diversificare i propri canali di esportazione e a ridurre la dipendenza dagli sbocchi tradizionali, in particolare dal Golfo Persico e dal terminal di Umm Qasr.
La diversificazione delle rotte non è solo un obiettivo economico: è un imperativo geopolitico. La crescente instabilità nel Golfo, la vulnerabilità degli stretti marittimi come quello di Hormuz e le tensioni con l’Iran hanno convinto Baghdad della necessità di costruire vie alternative che garantiscano continuità alle esportazioni e, con esse, alle entrate pubbliche.
Sul fronte iracheno,i negoziati vedono coinvolti il Ministero del Petrolio e l’ufficio del primo ministro Mohammad Shia Al-Sudani, consapevole che il successo del progetto avrebbe un impatto diretto sulla stabilità interna del Paese. Per l’Oman, che da tempo punta a rafforzare il proprio ruolo di hub energetico regionale, l’accordo rappresenta l’occasione di consolidare una partnership strategica con Baghdad e di aumentare la propria centralità nello scacchiere mediorientale.
Questa convergenza di interessi si traduce in una logica win-win: l’Iraq ottiene un nuovo sbocco per il proprio petrolio, l’Oman rafforza la sua posizione come punto di transito e di redistribuzione verso i mercati internazionali.
Uno dei nodi più delicati riguarda le opzioni di tracciato. Una rotta onshore comporterebbe l’attraversamento di territori desertici e potenzialmente instabili, con costi di sicurezza elevati e il rischio di interruzioni dovute a conflitti locali o ad azioni di gruppi armati. Una rotta offshore, invece, garantirebbe maggiore protezione fisica, ma imporrebbe investimenti tecnologici e finanziari ben più onerosi, oltre a sfide ingegneristiche legate alla profondità dei fondali e alla vulnerabilità a incidenti marittimi.
La scelta tra queste opzioni non sarà solo tecnica, ma strategica: definire il tracciato dell’oleodotto significherà scegliere il livello di esposizione ai rischi interni e la capacità di attrarre finanziamenti esterni.
Le tempistiche e i dettagli finanziari del progetto restano in sospeso. Costruire un oleodotto di questa portata richiede miliardi di dollari e la collaborazione di istituzioni finanziarie internazionali. L’Iraq, seppur ricco di petrolio, soffre di un bilancio statale cronicamente sbilanciato, aggravato da spese pubbliche e corruzione endemica.
Il successo del progetto dipenderà dunque dalla capacità di Baghdad di convincere partner esteri e investitori privati della sua sostenibilità. Il coinvolgimento di Oman potrebbe agevolare i contatti con fondi del Golfo e attori asiatici, particolarmente interessati a diversificare le forniture energetiche.
L’oleodotto Bassora-Oman non è solo un’infrastruttura: è un tassello della guerra economica globale che si gioca sulle rotte energetiche. Per l’Iraq, ridurre la dipendenza dallo stretto di Hormuz significa acquisire margini di sovranità e resilienza in caso di conflitto. Per l’Oman, ospitare questo corridoio energetico significa accrescere la propria influenza come crocevia tra Medio Oriente, Asia e Occidente.
Ma il progetto avrà conseguenze più ampie: sposterà equilibri nei rapporti con l’Iran, toglierà centralità ad altri porti del Golfo, e rafforzerà la capacità di Baghdad di trattare con i partner internazionali da una posizione meno vulnerabile.
L’Iraq si muove per trasformare la propria geografia energetica. L’oleodotto verso l’Oman è al momento un progetto sulla carta, ma la sua valenza va ben oltre l’aspetto tecnico. È una dichiarazione di intenti: Baghdad non vuole più dipendere da un’unica rotta di esportazione e intende inserirsi in una rete di partnership regionali che rafforzi la sua resilienza economica e politica.
Resta da vedere se alle intenzioni seguiranno i fatti, se il finanziamento potrà essere garantito e se la sicurezza potrà essere assicurata. Ma una cosa è certa: nel Medio Oriente della competizione energetica globale, ogni oleodotto non è mai solo un’infrastruttura, ma un campo di battaglia geopolitico.












