
di Antonio Tomassetti –
“Abbiamo oggi un governo che gode del sostegno di un’ampia coalizione politica, capace di rappresentare tutte le componenti e le sfumature del popolo iracheno”. Così ha esordito il primo ministro iracheno Mohammed Shia’ al-Sudani nel suo discorso alle Nazioni Unite il 22 settembre 2023 (1). Nel corso dello stesso intervento, al-Sudani ha affrontato un tema particolarmente rilevante per la stabilità regionale, ricordando che “la nostra costituzione stabilisce che l’Iraq non sarà mai un punto di partenza per atti di aggressione contro altri Stati”. Nel tentativo di chiarire la posizione di apparente neutralità assunta dall’Iraq rispetto a un potenziale conflitto tra le principali potenze del Medio Oriente, è fondamentale sottolineare la volontà di Baghdad di non consentire che il proprio territorio venga utilizzato come base di lancio per attacchi da parte di attori esterni, come l’Iran. Questa dinamica è emersa con particolare evidenza dopo gli eventi del 1 aprile 2024, quando Israele ha colpito il consolato iraniano a Damasco, un episodio che ha riacceso le tensioni tra Teheran e Tel Aviv e ha riportato l’Iraq al centro dell’attenzione geopolitica.
Il ruolo di Baghdad è diventato ancora più rilevante in seguito ai bombardamenti avvenuti tra il 12 e il 13 giugno, che hanno contribuito ad aggravare la crisi tra i due grandi vicini dell’Iraq, ponendo il paese in una posizione estremamente delicata tra le crescenti ostilità regionali. Analizzare la posizione di Baghdad è dunque essenziale per comprendere il delicato equilibrio di un paese che si trova geograficamente e politicamente “nel mezzo” tra due potenze rivali come Iran e Israele. Il ruolo dell’Iraq è tatticamente cruciale per l’Iran. Baghdad infatti è parte integrante del cosiddetto Asse della Resistenza e ospita numerose milizie filo-iraniane, in particolare le Hashd al-Shaabi (Forze di Mobilitazione Popolare, PMF), un’alleanza di gruppi armati tra cui spicca l’Organizzazione Badr, considerata la più influente sul piano politico e militare. La posizione geografica dell’Iraq rappresenta per Teheran un’importante profondità strategica e un cuscinetto in un momento particolarmente delicato per la Repubblica Islamica.
Negli ultimi mesi infatti l’Iran ha subito sia il collasso politico-militare di Hezbollah in Libano, storico alleato di Teheran e membro di Hasd al-Shaabi, che la caduta del regime di Bashar al-Assad in Siria, parte integrante dell’Asse della Resistenza, che hanno profondamente indebolito la proiezione di potere iraniana in Medio Oriente.
Di contro questi eventi hanno creato nuove opportunità di manovra per altre potenze regionali, prima fra tutte la Turchia (2), che ha colto l’occasione per consolidare la propria presenza militare nel nord della Siria. Parallelamente, Ankara ha rafforzato un’intesa con le autorità de facto della Siria settentrionale, oggi controllata da Abu Mohammad al-Julani (Ahmed al-Sharaa), leader di Hayat Tahrir al-Sham e uno dei principali artefici della caduta del regime di Bashar al-Assad.
In questo contesto restano apparentemente saldi solo due nodi fondamentali della rete iraniana in Medio Oriente: l’Iraq e gli Houthi nello Yemen, entrambi membri chiave, seppur in crisi, dell’Asse della Resistenza. È proprio in questo quadro che le recenti dichiarazioni di Baghdad, volte a ribadire la volontà di non trasformare il territorio iracheno in una piattaforma di lancio per attacchi contro altri Stati, assumono un’importanza tattica cruciale per comprendere gli equilibri futuri della regione.
La neutralità è diventata un elemento cardine nella tattica politica e militare dell’Iraq. In un articolo pubblicato il 25 giugno 2025 (3) dal quotidiano più diffuso del paese, al-Sabah, si evidenzia come, nonostante la regione sia attraversata da conflitti politici e militari, l’Iraq abbia saputo mantenere una posizione cruciale ed equilibrata, cercando di evitare di essere trascinato in nuove guerre senza compromettere né la propria sovranità nazionale né la propria integrità morale di fronte all’aggressione in corso.
L’articolo sottolinea inoltre come politologi e analisti internazionali abbiano elogiato la posizione tattica dell’Iraq, riconoscendo oggi il paese come uno Stato stabile e sempre più centrale nello scacchiere regionale e globale, proprio grazie alla sua linea di equilibrio.
Tuttavia questa neutralità non ha risparmiato Baghdad da episodi di violenza. Il 24 giugno 2025 alcune basi militari irachene sono state colpite da droni suicidi (4), molto probabilmente di origine israeliana. In risposta il primo ministro e comandante in capo delle forze armate, Mohammed Shia al-Sudani, ha ordinato la creazione di un comitato tecnico e di intelligence di alto livello, che include rappresentanti di tutte le agenzie di sicurezza competenti. L’obiettivo di questo organismo è indagare sulle circostanze dell’attacco e identificare i responsabili.
Il governo ha dichiarato che questi atti “criminali e traditori non resteranno impuniti” e che le forze armate continueranno a rappresentare lo scudo inespugnabile dell’Iraq nella difesa della popolazione, del territorio nazionale e della sovranità del Paese.
Nonostante l’Iraq ribadisca la propria volontà di mantenere una posizione neutrale (5), questa linea appare contraddetta da alcune prese di posizione ufficiali particolarmente critiche nei confronti di Israele definita dei media ufficiale sempre con il nome di “Entità Sionista”. Durante la 25ma riunione del Consiglio dei ministri, al-Sudani ha espresso forte preoccupazione per i recenti sviluppi della crisi nella regione, attribuendo all’aggressione israeliana contro la Repubblica Islamica dell’Iran il tentativo deliberato di destabilizzare la sicurezza e la pace, sfruttando pretesti infondati per ampliare il conflitto (6).
Il primo ministro ha inoltre lodato la coesione dimostrata dalle forze politiche nazionali e dalle istituzioni costituzionali, che hanno sostenuto l’approccio del governo nel gestire le conseguenze degli ultimi eventi regionali. Ha infine ribadito che non ci sarà alcuna tolleranza per azioni, interne o esterne, che possano compromettere la sicurezza nazionale, e che tali minacce saranno affrontate con la massima fermezza e determinazione.
La vicinanza tra l’Iraq e l’Iran emerge chiaramente anche dal recente messaggio inviato dal rappresentante della Guida Suprema della Rivoluzione Islamica dell’Iran in Iraq, Mojtaba Hosseini, in occasione della vittoria riportata nella cosiddetta “guerra dei 12 giorni contro Israele”.
Hosseini ha espresso la propria gratitudine all’Iraq (7) e a tutte le sue componenti sociali, sottolineando che quella vittoria rappresenta un traguardo non solo per i musulmani, ma per tutte le persone libere del mondo. Nella sua dichiarazione ha elogiato in particolare il popolo iracheno, in maggioranza sciita e dunque legato, anche dal punto di vista religioso e identitario, alla figura del Leader Supremo iraniano.
Il rappresentante ha voluto rivolgere un ringraziamento specifico all’autorità religiosa suprema di Najaf, ai professori e agli studenti dei seminari religiosi, alle tribù e a tutti i cittadini iracheni che, secondo le sue parole, hanno seguito gli eventi con partecipazione ed entusiasmo, organizzando manifestazioni e marce di solidarietà a sostegno della causa palestinese.
Questi elementi confermano come, al di là della linea ufficiale di neutralità proclamata da Baghdad, esista una forte interconnessione politica, religiosa e sociale tra Iraq e Iran, che si manifesta in modo evidente nei momenti di crisi e nei confronti delle tensioni regionali.
L’Iraq ha presentato un formale reclamo al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, condannando quella che definisce una “palese violazione” del proprio spazio aereo da parte di Israele, accusato di averlo utilizzato come corridoio per condurre attacchi militari contro l’Iran.
“Queste pratiche rappresentano una grave violazione della sovranità irachena”, si leggeva nella nota diffusa dal ministero degli Esteri di Baghdad (8), che invitava il Consiglio di Sicurezza a «farsi carico delle proprie responsabilità” e a intraprendere azioni concrete per “prevenire il ripetersi di tali violazioni”.
L’iniziativa diplomatica irachena si inserisce in una più ampia strategia volta a riabilitare l’immagine internazionale del paese, proiettando l’Iraq come attore responsabile e difensore della stabilità regionale. Una dinamica che segna un netto distacco dal passato recente, quando l’Iraq era costantemente al centro delle cronache internazionali per conflitti, accuse e crisi legate alle guerre del Golfo, all’occupazione americana e all’emergenza dell’Isis.
Il rapporto tra Iran e Iraq non è sempre stato di vicinanza e cooperazione, come lo osserviamo oggi. Verso la fine degli anni sessanta del secolo scorso, si è sviluppata la rivalità tra i due paesi che affondava le radici in due rivoluzioni di segno opposto.
Da una parte la rivoluzione baathista irachena del 1968, che portò al potere il partito Baath, con un’impronta nazionalista, socialista e laica. Questo processo culminò nell’ascesa di Saddam Hussein, che consolidò uno Stato autoritario e fortemente centralizzato, dominato dalla minoranza sunnita, nonostante la maggioranza della popolazione irachena fosse sciita.
Dall’altra la Rivoluzione islamica iraniana del 1979, che rovesciò lo shah filo-occidentale e instaurò una Repubblica Islamica guidata dall’Ayatollah Khomeini, basata su una teocrazia sciita.
Il regime iracheno vide nella nascita di uno Stato teocratico sciita nel vicino Iran una minaccia diretta, soprattutto considerando che la maggioranza sciita della popolazione irachena era stata a lungo emarginata. Approfittando del caos interno all’Iran post-rivoluzionario, l’Iraq avviò un tentativo d’invasione, dando inizio alla devastante Guerra Iran-Iraq (1980-1988), che contrappose lo Stato laico e pan-arabo iracheno allo Stato teocratico iraniano.
Nel 2003, nel contesto delle tensioni globali successive all’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, gli Stati Uniti guidati da George W. Bush cercarono un pretesto per colpire l’Iraq, accusato (senza prove) di possedere armi di distruzione di massa.
L’invasione dell’Iraq e la conseguente caduta del regime baathista, però, ebbe un effetto inatteso: liberò politicamente la maggioranza sciita irachena, che per decenni era stata esclusa dal potere.
Leader sciiti precedentemente esiliati in Iran rientrarono nel paese e assunsero un ruolo centrale nella nuova classe dirigente irachena: Nouri al-Maliki, futuro primo ministro, noto per i suoi legami con Teheran, Hadi al-Amiri, comandante della milizia Badr, formazione strettamente legata ai Pasdaran iraniani ed altri esponenti della coalizione al-Dawa, partito sciita con una lunga storia di opposizione al regime di Saddam.
L’Iraq si è quindi progressivamente avvicinato alla potenza sciita per eccellenza, l’Iran, fino a entrare stabilmente nell’Asse della Resistenza, la rete di alleanze informali guidata da Teheran e contraria all’influenza americana e alla presenza israeliana in Medio Oriente. Questo processo è avvenuto in modo graduale, a partire dalla caduta di Saddam Hussein nel 2003, accelerando tra il 2003 e il 2011 con il ritiro delle truppe statunitensi e il conseguente vuoto di sicurezza che ha colpito il paese.
Tuttavia il vero salto di qualità nel rapporto tra i due paesi si è verificato tra il 2014 e il 2017, durante la guerra contro lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isis). Nel 2014 l’Isis ha conquistato vaste aree del territorio iracheno, compresa la città di Mosul, ed è arrivato a minacciare la capitale Baghdad. Nonostante gli sforzi iniziali, il governo iracheno quindi si è trovato costretto a chiedere aiuto all’Iran.
Teheran ha risposto immediatamente, inviando consiglieri militari e forze speciali sotto la guida del generale Qassem Soleimani, comandante della Forza Quds, l’unità d’élite dei Pasdaran incaricata delle operazioni esterne. Soleimani, figura chiave dell’espansione iraniana nella regione, rimarrà al centro di questi equilibri fino al suo assassinio, avvenuto il 3 gennaio 2020, quando fu ucciso da un drone statunitense nei pressi dell’aeroporto di Baghdad, su ordine diretto del presidente Donald Trump (9).
Oltre al sostegno militare diretto, l’Iran ha fornito armi, addestramento e supporto logistico alle milizie sciite irachene, riunite sotto il nome di Forze di Mobilitazione Popolare (Hashd al-Shaabi). Queste milizie sono diventate rapidamente la punta di diamante della resistenza contro l’Isis, giocando un ruolo decisivo nella riconquista dei territori occupati dal gruppo jihadista.
L’alleanza rafforzata nella lotta all’Isis ha consolidato i legami tra Iraq e Iran, portando i due paesi alla condizione di vicinanza tattica che osserviamo oggi. Una relazione che, tuttavia, è tornata sotto i riflettori dopo gli eventi del 7 ottobre 2023, con l’attacco di Hamas contro Israele e la successiva risposta israeliana su scala regionale.
In quel contesto Israele ha lanciato operazioni contro quasi tutti i gruppi e le milizie considerate proxy iraniani in Medio Oriente, colpendo in Siria, Libano e Yemen. In questo scenario l’Iraq resta ufficialmente uno dei pochi tasselli dell’Asse della Resistenza ancora relativamente intatto, pur essendo al centro delle tensioni e delle pressioni geopolitiche tra le potenze della regione.
Ci troviamo quindi dinanzi a una fase cruciale per l’Iraq, che si vede costretto a valutare diversi scenari strategici dopo gli eventi della cosiddetta “guerra dei 12 giorni”.
Le alternative sono sostanzialmente due.
Il primo scenario riguarda il possibile consolidamento del ruolo dell’Iraq all’interno dell’Asse della Resistenza, la rete di alleanze informali guidata dall’Iran e ostile alla presenza americana e israeliana nella regione. In questo contesto Baghdad potrebbe seguire un percorso simile a quello degli Houthi in Yemen, che hanno progressivamente accresciuto il loro peso all’interno del fronte filoiraniano, approfittando del momentaneo indebolimento di Hamas in Palestina e di Hezbollah in Libano. Tuttavia questa scelta esporrebbe l’Iraq al rischio concreto di essere maggiormente coinvolto nei conflitti regionali e di diventare un obiettivo diretto delle operazioni israeliane.
Il secondo scenario è quello del mantenimento della neutralità. Baghdad potrebbe tentare di contenere l’influenza delle milizie sciite più radicali, senza però entrare in aperto scontro con Teheran. In parallelo, l’Iraq potrebbe rafforzare il suo ruolo diplomatico, promuovendo il dialogo tra i diversi attori regionali con l’obiettivo di presentarsi come mediatore in una regione sempre più polarizzata. Questa strada, tuttavia, non è priva di insidie: il rischio di sabotaggi interni da parte di gruppi radicali o di pressioni dirette da parte dell’Iran rimane elevato.
Su questa scelta grava una variabile interna fondamentale: la stabilità politica e sociale dell’Iraq stesso. Nonostante il paese sia formalmente uno Stato laico, le profonde tensioni tra sciiti, sunniti e curdi continuano a minacciare la coesione nazionale.
Il futuro dell’Iraq dipenderà quindi dalle scelte che saprà compiere in uno dei contesti geopolitici più complessi e instabili al mondo.
Note:
1 – M. SHIA’; AL SUDANI, «Prime Minister of the Republic of Iraq, addresses the general debate of the 78th
Session of the General Assembly of the United Nations», United Nations Web TV, 22/09/2023.
2 – E. MORELLI, «Il trionfo siriano rilancia la Grande Turchia», Domino, n. 1, 2025, pp. 106-117.
3 – R. AQIL, «Osservatori: l’Iraq ha dimostrato la sua maturità politica nel mezzo delle crisi regionali», Al-Sabah, 25/06/25
4 – M. ABDUL WAHAB, «Le nostre forze minacciano gli autori degli attacchi di Taji e Dhi Qar», Al-Sabah, 25/06/25
5 – AHMED A. HUSSEIN, «Gestione delle crisi», Al Sabah, 25/06/25
6 – «Al-Sudani: L’aggressione sionista ha deliberatamente danneggiato la sicurezza e la pace nella regione», Al-Sabah, 25/06/25
7 – «Il rappresentante di Khamenei in Iraq ringrazia il popolo iracheno per aver sostenuto la Repubblica islamica dell’Iran», Agenzia Nazionale Irachena di Stampa, 26/06/25
8 – «Iraq files UN complaint after Israel uses airspace in Iran attack», Daily Sabah, 28/10/24.
9 – Redazione ESTERI, «Soleimani ucciso a Bagdad su ordine di Trump. Iran: “Ci vendicheremo”», Corriere della Sera, 3/01/20.











