Iraq. Ucciso il candidato al Parlamento al-Mashhadani

di Giuseppe Gagliano

L’attentato di ieri a Tarmiyah, 40 km a nord di Baghdad, ha scosso profondamente la scena politica irachena. L’uccisione di Safaa al-Mashhadani, candidato della Sovereignty Alliance e membro del Consiglio Provinciale di Baghdad, è avvenuta in piena campagna elettorale, a meno di un mese dalle elezioni parlamentari. L’esplosione di una bomba piazzata sotto la sua auto, una tecnica tristemente nota in Iraq, ha colpito anche le sue guardie del corpo, riaccendendo l’incubo della violenza politica che aveva già accompagnato tornate elettorali precedenti. Nessun gruppo ha rivendicato l’attacco, ma la dinamica e il contesto lasciano intuire motivazioni politiche precise.
Tarmiyah è da anni una zona ad alta instabilità, con cellule residue dell’Stato Islamico attive nelle aree rurali circostanti. Qui la linea tra terrorismo e regolamento di conti politico è spesso sottile. La morte di al-Mashhadani non è un episodio isolato ma si inserisce in un clima di crescente polarizzazione, dove gruppi armati, forze irregolari e interessi politici convergono per indebolire rivali e influenzare il voto. L’attacco non colpisce solo un candidato, ma manda un messaggio a un’intera area politica sunnita che punta a rafforzare la propria rappresentanza parlamentare.
Al-Mashhadani era una figura di spicco della Sovereignty Alliance, guidata da Khamis al-Khanjar e dal presidente del Parlamento Mahmoud al-Mashhadani. Considerato un politico carismatico, capace di attrarre consenso soprattutto tra i giovani, rappresentava un elemento strategico per la coalizione sunnita, sostenuta da tribù nelle province di Al Anbar e Salaheddin e da attori regionali come Turchia e Qatar. L’eliminazione di un candidato così visibile ha un chiaro effetto destabilizzante: colpisce il morale del blocco sunnita e mina l’equilibrio di potere in una campagna elettorale segnata da rivalità accese con i blocchi sciiti filo-iraniani.
Le elezioni dell’11 novembre si svolgeranno in un Paese in cui la maggioranza dei 329 seggi parlamentari è ancora dominata da partiti sciiti legati all’Iran. Le forze sunnite puntano ad ampliare il loro peso politico per riequilibrare il sistema, ma la violenza rischia di alterare la competizione democratica, scoraggiando partecipazione e rafforzando logiche di paura e clientelismo. Episodi come questo mostrano quanto il terreno politico iracheno sia ancora permeabile all’azione di milizie, reti criminali e potenze straniere.
Il primo ministro Mohammed Shia al-Sudani ha ordinato un’inchiesta sull’omicidio, ma i precedenti lasciano poco spazio all’ottimismo. La storia recente dell’Iraq è segnata da indagini inconcludenti e impunità diffusa per crimini politici. Questa debolezza istituzionale rappresenta uno dei principali fattori che alimentano l’instabilità, rendendo il sistema vulnerabile alle interferenze interne ed esterne.
A vent’anni dalla caduta di Saddam Hussein, l’Iraq rimane prigioniero di dinamiche che mescolano rivalità etniche e settarie, interessi tribali, influenza regionale e fragilità dello Stato centrale. L’omicidio di al-Mashhadani rischia di alimentare ulteriori tensioni tra comunità sunnite e sciite e di avvelenare un processo elettorale già fragile. Se non si rafforzeranno sicurezza e garanzie politiche, il rischio è che la violenza diventi ancora una volta il linguaggio dominante della politica irachena.