di Giuseppe Gagliano –
Le recenti esplosioni causate da ordigni esplosivi camuffati in oggetti comuni, tra cui cercapersone e walkie-talkie, hanno scosso nuovamente il Libano uccidendo 32 persone e ferendone migliaia. Nonostante Israele non abbia rivendicato ufficialmente la responsabilità, molte voci filo-israeliane hanno elogiato l’operazione come un esempio di attacco mirato, volto a colpire esclusivamente i nemici dello Stato ebraico. Tuttavia la presenza di vittime civili, tra cui due bambini, ha suscitato condanne da parte di organizzazioni per i diritti umani, le quali hanno evidenziato come l’uso di queste armi possa violare le leggi internazionali di guerra a causa della loro natura indiscriminata.
Secondo fonti vicine a Hezbollah, i dispositivi esplosivi erano stati distribuiti a una vasta rete di persone, tra cui personale medico, operatori dei media e altri membri civili. Questi strumenti sono solitamente utilizzati per impartire ordini, convocare riunioni d’emergenza o coordinare operazioni di difesa, ma il loro utilizzo è stato letale in questo contesto, colpendo chiunque li maneggiasse.
Tuttavia questo episodio non rappresenta una novità nelle dinamiche di guerra tra Israele e Libano. Nel corso dei decenni il sud del Libano è stato teatro di numerose azioni militari israeliane, tra cui l’uso di bombe a grappolo e mine terrestri, disseminate in gran parte della regione durante e dopo il conflitto del 2006 con Hezbollah. Molti di questi ordigni rimangono inesplosi, causando vittime tra i civili, in particolare tra i bambini, che spesso scambiano gli oggetti per innocui giocattoli.
Nonostante gli sforzi di sminamento abbiano rimosso circa l’80% degli ordigni inesplosi, il lavoro è stato rallentato a causa delle ricorrenti ostilità tra Israele e Libano. A peggiorare la situazione esiste un’accusa persistente che risale agli anni ’90: bombe camuffate intenzionalmente da giocattoli per attrarre i bambini e causar loro ferite gravi o addirittura la morte. Diversi casi documentati di bambini feriti o uccisi da oggetti come jeep di plastica, bambole e torce esplosive alimentano queste accuse, anche se Israele ha sempre negato tali pratiche.
Dal punto di vista geopolitico l’uso di queste armi non convenzionali sottolinea la complessità del conflitto israelo-libanese, dove la guerra non si combatte solo con azioni militari convenzionali, ma anche attraverso operazioni psicologiche e tattiche che mirano a minare la capacità di resistenza di Hezbollah e della popolazione civile che lo sostiene. Israele, da parte sua, ha sempre giustificato le sue azioni come parte della sua strategia di autodifesa contro una minaccia esistenziale rappresentata da Hezbollah, un gruppo che ha legami con l’Iran e che continua a rappresentare una sfida strategica per la sicurezza israeliana nel contesto del conflitto più ampio in Medio Oriente.
Tuttavia l’uso di armi che colpiscono i civili, specialmente bambini, rappresenta un dilemma morale e legale per Israele, minando il suo posizionamento internazionale e provocando condanne da parte di organizzazioni per i diritti umani e delle Nazioni Unite. La questione delle mine e delle bombe a grappolo, già vietate da diverse convenzioni internazionali, rimane una ferita aperta nel sud del Libano, ostacolando lo sviluppo e la sicurezza della regione.
In questo contesto la guerra non si limita solo al campo di battaglia, ma si estende alla sfera diplomatica, con Israele che cerca di mantenere un equilibrio tra la necessità di proteggere la propria sicurezza nazionale e le critiche internazionali sul modo in cui persegue i suoi obiettivi militari.