Israele. La morte di Francesco e il silenzio “che rimbomba” di Netanyahu

di Sergio Restelli *

­Il 6 aprile 2025, durante un’udienza generale, papa Francesco ha definito una “crudeltà” i bombardamenti israeliani nella Striscia di Gaza e ha parlato di situazione “simile a un genocidio” sui civili, soprattutto bambini.
­Isaac Herzog, presidente di Israele, è intervenuto subito per esprimere il proprio cordoglio e rilanciare l’appello del Pontefice per la pace e il ritorno degli ostaggi.
Il primo ministro Benjamin Netanyahu il ministro degli Esteri Gideon Saar non hanno rilasciato alcuna dichiarazione ufficiale nelle prime 48 ore dopo l’annuncio della morte di Francesco. ­Il ministero degli Esteri aveva pubblicato in un primo momento un semplice “Riposa in pace, Papa Francesco. Che la sua memoria sia una benedizione”. Un messaggio diffuso sui propri canali social, poi rimosso definendolo un “errore”.
Raphael Schutz, ex ambasciatore presso la Santa Sede, ha definito la scelta un “errore”, sottolineando che il Papa è anche guida spirituale per quasi il 20% dell’umanità e merita rispetto indipendentemente dalle tensioni politiche.
Altri funzionari anonimi hanno sostenuto che il messaggio andava dato subito, e che ora il silenzio rischia di apparire come mancanza di rispetto verso i fedeli e la comunità cattolica globale.
Il silenzio di Netanyahu e Saar non è un vuoto casuale, bensì una scelta politica calcolata per segnalare al Vaticano e più in generale all’opinione internazionale che le critiche sulle operazioni a Gaza hanno un prezzo diplomatico.
Tuttavia, questa strategia comporta rischi concreti. Innanzitutto il deterioramento dei rapporti con il mondo cattolico: la Santa Sede potrebbe riaprire la questione di Gaza nelle sedi Onu, sfruttando la “moral authority” papale. Si potrebbe poi verificare una pressione internazionale: governi europei e latinoamericani potrebbero considerare mosse diplomatiche o dichiarazioni congiunte di condanna per l’atteggiamento di Israele. Sul fronte interno i moderati dentro la coalizione potrebbero chiedere aperture, mentre l’opposizione userebbe il “caso Francesco” per criticare l’immagine di Israele.
In definitiva uno “silenzio che rimbomba” rischia di trasformarsi in boomerang diplomatico e mediatico, ampliando la frattura non solo fra Israele e la Santa Sede, ma anche all’interno del tessuto politico e sociale israeliano stesso.

* Articolo in mediapartnership con Nuovo Giornale Nazionale.