di Enrico Oliari –
Lo promette da tempo nel quadro una dialettica di guerra psicologica, ma il premier israeliano Benjamin Netanyahu sembra ora determinato a iniziare la guerra aperta contro Hezbollah e quindi contro il Libano. Netanyahu lo ha affermato in occasione del Consiglio di guerra di ieri, in cui ha sottolineato che “L’Idf deve prepararsi per un’ampia campagna in Libano”. I comandanti dell’esercito hanno fatto notare che questo comporterebbe richiamare le forze da Gaza, cosa che richiederebbe settimane, ma il premier si è detto intenzionato ad andare dritto in quanto “La situazione nel nord non può andare avanti”.
Il “Partito di Dio”, di cui è segretario il carismatico Hassan Nasrallah dopo l’uccisione nel 1992 da parte israeliana di Abbas al-Musawi, conta di un’organizzazione articolata che prevede investimenti in fondi e proprietà immobiliari, ed è rifornita per quanto riguarda le armi soprattutto dall’Iran.
Israele ed Hezbollah si combattono da sempre, con l’Idf che da anni attacca con gli aerei obiettivi di Hezbollah in Siria e in Libano, mentre dal territorio libanese vengono sparati prevalentemente droni, razzi e missili. Gli ultimi razzi questa mattina, una quarantina intercettati sulla Galilea e sulle alture del Golan. Gli Hezbollah hanno attaccato, come riportato in una nota del gruppo, una base militare israeliana con decine di razzi Katyusha in risposta ai raid israeliani in Libano.
Non è chiara la consistenza della macchina bellica di Hezbollah, praticamente un’entità autonoma nello sgangherato Libano. Secondo alcuni analisti gli effettivi varierebbero tra le 20 e le 30mila unità, i quali conterebbero su un limitato numero di carri armati e mezzi aerei, però su almeno 150mila fra razzi e missili, compresi gli Zelzal-2 e i Fateh-100 iraniani con gittata fino a 300 km, ovvero capaci di colpire buona parte di Israele.
Netanyahu avvierebbe quindi un nuovo fronte di guerra, dopo gli altre 41mila morti fatti a Gaza a seguito dell’attacco di Hamas del 7 ottobre, e soprattutto senza che il partito fosse sconfitto. Gli ultimi tre palestinesi uccisi da un bombardamento israeliano questa notte presso il campo profughi di Nuseirat, nella parte centrale della Striscia.
Il terzo fronte di guerra che Netanyahu vorrebbe aprire è con gli Houthi dello Yemen, anche in questo caso una forza sciita sostenuta dall’Iran. Fin dall’inizio della guerra di Gaza gli Houthi, che controllano buona parte dello Yemen compresa la capitale Sanaa, hanno bersagliato navi israeliane o dirette in Israele, e gli attacchi non si sono fermati con il bombardamento lo scorso 20 luglio del porto yemenita di Hodeidah. Un missile lanciato dagli Houthi sarebbe stato intercettato ieri dagli israeliani ad una ventina di km da Tel Aviv, e il premier israeliano ha affermato che “gli Houthi dovrebbero sapere che chiunque cerchi di fare del male a Israele pagherà un caro prezzo”. Sul missile ipersonico sparato ieri dagli Houthi vi sono versioni contrastanti. Gli Houthi hanno spiegato che “20 missili intercettori non sono riusciti ad abbatterlo”, e che “2 milioni di israeliani sono stati costretti a correre nei rifugi in preda al panico”. E alla dichiarazione di Netanyahu gli Houthi hanno risposto di “prepararsi: tra poco sarà il 7 ottobre, ne arriveranno altri”.
Il fronte interno di Netanyahu è invece quello politico, dove non si fermano le manifestazioni contro di lui e contro il suo governo. 15 gli arrestati ieri, colpevoli di essere rimasti per strada a manifestazione conclusa. Netanyahu non sembra venire scalfito dalle corpose proteste per l’incapacità di porre fine a un anno di guerra, forte della destra religiosa che lo sostiene e dei 750mila coloni che occupano illegalmente e contro le risoluzioni Onu i territori dei palestinesi.
Netanyahu è quindi disposto a trascinare Israele in una guerra regionale, in un momento in cui l’opinione pubblica mondiale è fortemente contro di lui e contro il sionismo. Spingere il più possibile fino alle elezioni Usa insomma, perché un’eventuale ascesa di Trump potrebbe comportare la sua discesa politica.
Il rischio è tuttavia che l’apertura di diversi fronti, compreso l’annunciato attacco dell’Iran a seguito dell’uccisione a Teheran da parte israeliana del leader politico di Hamas Ismail Haniyeh, possa portare a un’escalation che neppure l’alleata e protettrice Casa Bianca sarebbe in grado di controllare.