Israele. Niente residenza per i palestinesi di Gerusalemme. Ne parliamo con Omar Shakir (Hrw)

a cura di Vanessa Tomassini

Human Rights Watch ha denunciato le revocazioni dello stato di residenza da parte di Israele a migliaia di palestinesi che abitano a Gerusalemme Est. Per poter mantenere la residenza sono richiesti onerosi requisiti ai palestinesi, con conseguenze significative per chi non rispetta le indicazioni governative. Come ci dice Omar Shakir, direttore del programma Israele e Palestina di Human Rights Watch (Hrw), stando ai numeri del ministero dell’Interno “tra l’inizio dell’occupazione di Gerusalemme Est nel 1967 e la fine del 2016, Israele ha revocato lo status di circa 15mila palestinesi di Gerusalemme Est”.
Le autorità israeliane hanno motivato la maggior parte delle revoche per la mancata o incompleta dimostrazione di un “centro di vita” a Gerusalemme, tuttavia negli ultimi anni hanno anche ritirato lo status per punire i palestinesi accusati o sospetti di attaccare gli israeliani, o per punire collettivamente nei confronti dei parenti di sospetti terroristi, facendo in modo che molti palestinesi lascino la loro città di origine perfino attraverso trasferimenti forzati.
Hrw accusa Israele di utilizzare due pesi e due misure per chi vive a Gerusalemme, arrivando a parlare di crimini di guerra. Ha intervistato recentemente otto famiglie a Gerusalemme la cui residenza è stata revocata tra marzo e luglio 2017, visionando le lettere di revoca, le decisioni giudiziarie ed altri documenti ufficiali, oltre a parlare con i legali delle famiglie. Sempre secondo l’organizzazione Israele, dopo aver occupato Gerusalemme Est nel 1967, ha cominciato fin da subito ad applicare la propria legislazione nell’area. Secondo la legge del 1952, Israele ha concesso ai palestinesi di Gerusalemme Est una residenza permanente, lo stesso genere di status concesso a uno straniero che vuole vivere in Israele. I residenti permanenti possono vivere, lavorare e ricevere diritti e benefici in Israele, ma questo status è strettamente legato alla loro presenza, e può essere ritirato se il cittadino si stabilisce fuori lo stato d’Israele. Tale diritto non è cedibile né tantomeno si trasmette automaticamente ai figli o ai coniugi non residenti. Esso può essere revocato a discrezione del ministero dell’Interno.
Facciamo il punto su quanto accade con il professor Shakir, che ci risponde da Gerusalemme.

– Quali sono le motivazioni per le quali lo Stato di Israele revoca lo stato di residenza a migliaia di palestinesi a Gerusalemme Est?
”Israele chiede ai palestinesi di dimostrare il loro ‘centro di vita’ a Gerusalemme, la residenza viene revocata nel caso in cui i palestinesi si rechino in altre parti della Palestina o nella West Bank, anche per motivi familiari, o se superano i confini comunali della città per lunghi periodi di tempo, o se si recano all’estero per motivi di studio o di lavoro. Spesso la cittadinanza è stata ritirata se i palestinesi o i loro familiari sono stati responsabili, o sospetti, di attacchi contro gli Israeliani”.

– Da quando tempo Israele ha adottato queste politiche?
”Fin dall’inizio dell’occupazione Israele ha iniziato ad applicare queste politiche. Per decenni le autorità israeliane hanno revocato la residenza quando i palestinesi si recavano al di fuori da Israele per sette o più anni senza rinnovare i permessi di uscita o nel momento in cui chiedevano la cittadinanza di un altro Paese. La maggior parte delle revoche, tuttavia, si sono svolte dal 1994, dopo che il ministro dell’Interno ha reinterpretato la legge di entrata del 1952 per consentire la revoca della residenza per tutti coloro che non hanno attivamente mantenuto un “centro di vita” a Gerusalemme. Così capitava che dei palestinesi che si recavano in vacanza in altre zone della West Bank si sono visti revocare il loro status di residenti. Questo avviene solamente per i palestinesi, i cittadini di Gerusalemme israeliani non sono sottoposti alle stesse politiche per salvaguardare il loro status giuridico”.

– Quali sono le conseguenze per chi vede revocata la residenza e quindi dello status giuridico israeliano?
”La legge d’ingresso autorizza l’arresto e la deportazione per coloro che si trovano senza status giuridico. Senza questo i palestinesi non possono formalmente lavorare, spostarsi liberamente, rinnovare le patenti di guida o ottenere certificati di nascita per i bambini necessari per registrarli a scuola. Essi possono anche perdere i benefici del programma di assicurazione nazionale di Israele, come le prestazioni sanitarie, le prestazioni di supporto al reddito in caso di disoccupazione, per i bambini, le pensioni per gli anziani o per i soggetti malati o disabili”.

– Lei accennava al fatto che i palestinesi debbano dimostrare il loro ‘centro di vita’ a Gerusalemme: in che modo?
”Israele chiede ai palestinesi di dimostrare il pagamento delle tasse, di dimostrare che vivono regolarmente a Gerusalemme, attraverso un contratto di lavoro e una documentazione dettagliata che spesso risulta molto difficile da fornire per i palestinesi, nati e cresciuti a Gerusalemme Est. Coloro che perdono la loro residenza possono contestare la revoca o chiedere al ministero dell’Interno di recuperare il loro status, durante il quale possono ottenere uno status temporaneo per rimanere a Gerusalemme. Alcuni ci sono riusciti, ma spesso dopo lunghi processi legali e amministrativi che molti non possono permettersi”.

Secondo l’osservatorio per i diritti umani, queste politiche riflettono l’obiettivo del governo israeliano di “mantenere una solida maggioranza ebraica nella città”. Lo stesso piano generale della municipalità di Gerusalemme, Jerusalem Outline Plan 2000, cerca di limitare il numero di residenti palestinesi fissando un target “di 70% di ebrei e 30% di arabi”, i pianificatori hanno poi compreso che “questo obiettivo non è raggiungibile” alla luce della “tendenza demografica”, adattandolo a 60-40. I palestinesi rappresentano il 37 % della popolazione di Gerusalemme già nel 2015, secondo l’Ufficio centrale statunitense di Israele. In questo quadro sono interpretate anche le misure anti-terrorismo adottate da Israele, che come confermato dal professor Shakir, prevedono la distruzione delle case dei palestinesi accusati o sospetti di attacchi terroristici. “Vengono demolite anche le case dei loro familiari, anche se non è dimostrato alcun collegamento con gli autori degli attacchi”, ha affermato.