di Giuseppe Gagliano –
L’ultima minaccia di Israele, riportata da Le Figaro, è un colpo di scena che puzza di vecchio: se la Francia di Emmanuel Macron oserà riconoscere lo Stato di Palestina a giugno, Tel Aviv risponderà annettendo gli insediamenti in Cisgiordania. Una fonte ufficiale israeliana, con un candore che rasenta il cinismo, ha dichiarato che tale riconoscimento equivarrebbe a “premiare il terrorismo di Hamas” dopo l’attacco del 7 ottobre 2023. È il solito copione: ogni passo verso la giustizia per i palestinesi viene dipinto come un attacco alla sicurezza di Israele, giustificando così nuove violazioni del diritto internazionale. Ma questa volta il ricatto di Israele non è solo un affronto alla diplomazia: è una provocazione che rischia di incendiare il Medio Oriente, seppellendo definitivamente la possibilità di una pace basata sulla soluzione dei due Stati.
Le parole della fonte israeliana, riportate da Le Figaro, sono un’ammissione brutale: gli insediamenti in Cisgiordania, che la comunità internazionale considera illegali, non sono solo un’eredità del passato, ma un’arma politica da brandire contro chi osa sfidare la narrazione di Tel Aviv. L’idea che il riconoscimento della Palestina da parte della Francia, un atto di sovranità diplomatica e di rispetto per il diritto internazionale, possa essere paragonato a un sostegno al terrorismo è non solo assurda, ma profondamente disonesta. Hamas, con il suo attacco del 7 ottobre, ha commesso crimini orribili, ma usare quella tragedia per giustificare l’espansione coloniale in Cisgiordania è un abuso della sofferenza delle vittime, israeliane e palestinesi.
Questa minaccia non è nuova. Già nel 2020, Benjamin Netanyahu aveva promesso l’annessione di parti della Cisgiordania, appoggiato dal “piano di pace” di Donald Trump, che prevedeva l’incorporazione del 30% del territorio palestinese. Quel piano, respinto dall’Autorità Nazionale Palestinese e dalla comunità internazionale, era una farsa: uno Stato palestinese ridotto a un arcipelago di enclave, privo di continuità territoriale e sovranità reale. Oggi, con il governo più a destra della storia israeliana, la minaccia di annessione si ripresenta come un ricatto diretto alla Francia e, per estensione, all’Europa, che da anni cerca di sostenere la soluzione dei due Stati.
L’annessione degli insediamenti in Cisgiordania sarebbe una violazione flagrante del diritto internazionale. La Corte Internazionale di Giustizia, nel luglio 2024, ha ribadito che l’occupazione israeliana dei territori palestinesi dal 1967 è illegale e che gli insediamenti costituiscono un ostacolo alla pace, ordinando a Israele di cessare immediatamente ogni attività di colonizzazione. Le Nazioni Unite, l’Unione Europea e la stragrande maggioranza della comunità internazionale considerano gli insediamenti una violazione della Quarta Convenzione di Ginevra, che proibisce il trasferimento di popolazione civile nei territori occupati. Con oltre 450.000 coloni in Cisgiordania e 220.000 a Gerusalemme Est, Israele ha già creato una realtà di “annessione strisciante”, confiscando terre palestinesi e frammentando il territorio in enclavi.
Minacciare di formalizzare questa annessione in risposta al riconoscimento della Palestina è un atto di sfida non solo alla Francia, ma a tutto il sistema internazionale basato sul diritto. È come se Israele dicesse: “Non solo continueremo a violare le leggi, ma lo faremo con ancora più arroganza se ci criticate”. Questo atteggiamento non è solo provocatorio; è autodistruttivo. L’annessione non porterebbe sicurezza a Israele, ma alimenterebbe ulteriormente le tensioni con i palestinesi, già esasperati da decenni di occupazione, demolizioni di case e restrizioni alla libertà di movimento.
Le conseguenze di un’annessione della Cisgiordania sarebbero devastanti per la stabilità del Medio Oriente. In primo luogo, segnerebbe la fine della soluzione dei due Stati, già agonizzante. Uno Stato palestinese senza la Cisgiordania, Gerusalemme Est e Gaza non sarebbe altro che un’illusione, un insieme di bantustan circondati da checkpoint e insediamenti israeliani. Questo non solo radicalizzerebbe ulteriormente la popolazione palestinese, ma rafforzerebbe gruppi come Hamas, che prosperano sulla disperazione e sull’assenza di prospettive politiche.
In secondo luogo, l’annessione metterebbe a rischio i fragili equilibri regionali. La Giordania, che ospita milioni di rifugiati palestinesi e ha un trattato di pace con Israele dal 1994, ha già espresso preoccupazione per l’instabilità che un’annessione potrebbe causare, con il rischio di una migrazione di massa verso Amman. Gli Accordi di Abramo, che hanno normalizzato i rapporti tra Israele e alcuni Stati arabi come Emirati Arabi Uniti e Bahrein, potrebbero vacillare, poiché anche questi paesi hanno condannato l’espansione degli insediamenti. Inoltre, l’Iran, che sostiene Hezbollah e altri gruppi anti-israeliani, troverebbe nuova linfa per alimentare il conflitto per procura, come dimostrato dal recente lancio di missili contro Israele in risposta alle operazioni in Libano.
Infine, l’annessione alienerebbe ulteriormente l’Europa, che già fatica a mantenere una posizione unitaria sulla questione palestinese. La Francia, insieme a Spagna e Irlanda, ha mostrato un’apertura al riconoscimento della Palestina, seguendo l’esempio di країна139 Stati che già lo fanno. Ma la minaccia israeliana potrebbe spingere altri paesi europei a riconsiderare il loro approccio, temendo ritorsioni. Questo non farebbe che isolare ulteriormente Israele, rafforzando la percezione di uno Stato che preferisce il confronto alla cooperazione.
La minaccia di annessione rivela non solo l’arroganza di Israele, ma anche il fallimento morale e strategico della sua leadership. Definire il riconoscimento della Palestina come un “premio al terrorismo” è un insulto alla storia di un popolo che, da oltre mezzo secolo, vive sotto occupazione militare, la più lunga della storia moderna. I palestinesi non chiedono privilegi, ma il diritto all’autodeterminazione, sancito dal diritto internazionale e sostenuto da risoluzioni ONU come la 67/19 del 2012. Negare questo diritto, e punire chi lo sostiene, è un atto di cecità politica che non protegge Israele, ma lo condanna a un futuro di conflitti senza fine.
Netanyahu e il suo governo, dominato da ultranazionalisti e religiosi estremisti, sembrano credere che la forza possa risolvere tutto. Ma la storia insegna che l’occupazione e la colonizzazione non portano stabilità, ma resistenza. La Prima e la Seconda Intifada sono nate proprio dalla frustrazione per l’espansione degli insediamenti e l’assenza di un orizzonte politico. Minacciare l’annessione oggi, in un contesto già esplosivo, è come gettare benzina su un fuoco che brucia da decenni.
La Francia, e con lei l’Europa, non deve cedere a questo ricatto. Riconoscere la Palestina non è un atto contro Israele, ma un passo verso la giustizia e la pace. L’Europa ha già condannato le recenti espansioni degli insediamenti, con paesi come Italia, Germania, Francia, Regno Unito e Spagna che hanno definito queste azioni una violazione del diritto internazionale. Ma le parole non bastano. Se Israele procederà con l’annessione, l’UE dovrà rispondere con misure concrete: sanzioni mirate contro i responsabili delle violazioni dei diritti umani, divieto di importazione di prodotti dagli insediamenti e sospensione di accordi commerciali privilegiati con Israele.
La comunità internazionale non può continuare a tollerare l’impunità di Israele. La minaccia di annessione non è solo una provocazione diplomatica; è un atto che sfida i principi fondamentali su cui si regge l’ordine globale. Se la Francia, o qualsiasi altro Stato, deve scegliere tra cedere al ricatto e difendere il diritto, la scelta dovrebbe essere ovvia. Ma ci vuole coraggio, un coraggio che l’Europa ha spesso mancato di dimostrare.
In definitiva, la minaccia di Israele di annettere la Cisgiordania è un monito: la pace in Medio Oriente non può essere costruita sull’arroganza e sull’ingiustizia. Ogni nuovo insediamento, ogni nuova confisca di terra, ogni nuova provocazione allontana la possibilità di una convivenza tra israeliani e palestinesi. Tel Aviv può pensare di vincere con la forza, ma la storia ci insegna che i conflitti non si risolvono con le minacce, ma con il dialogo e il rispetto reciproco. La Francia, e con lei il mondo, deve scegliere da che parte stare: con la giustizia o con l’impunità. Perché in questo gioco pericoloso, a perdere non sarà solo la Palestina, ma l’intera regione, e con essa la speranza di un futuro migliore.