di Giuseppe Gagliano –
Il contratto tra il Ministero dell’Economia italiano e la compagnia israeliana Cognyte Ltd sembra essere passato inosservato, nonostante il Parlamento europeo e la stampa internazionale abbiano sollevato seri interrogativi sul passato dell’azienda. Una storia di esportazioni di software avanzati a Paesi con gravi problemi di diritti umani, accuse di spionaggio e violazioni etiche. Ma qui, in Italia, tutto tace.
Cognyte, società israeliana leader nel mercato dei software investigativi, fornisce soluzioni che promettono di migliorare la sicurezza nazionale attraverso strumenti sofisticati di analisi e monitoraggio. In teoria, una missione nobile: combattere il crimine, il terrorismo e la contraffazione. Ma in pratica? Il loro utilizzo in Paesi come Myanmar, Colombia e Kenya, per citare solo alcuni esempi, ha sollevato preoccupazioni sulle implicazioni etiche di questa tecnologia.
Mentre nei Paesi Bassi un acquisto “segreto” da parte del ministero della Giustizia ha scatenato un terremoto politico, in Italia l’accordo tra il MEF e Cognyte è stato accolto con indifferenza. Eppure non si tratta di un contratto qualsiasi: 1,4 milioni di euro per una piattaforma web intelligence, Hiwire, ora utilizzata dalla Guardia di Finanza per il monitoraggio del web nella lotta alla contraffazione.
La GdF sottolinea l’utilità del software e la mancanza di alternative al momento dell’acquisto. Ma davvero non ci si è chiesti se affidarsi a un’azienda già citata in relazioni parlamentari europee e rapporti di Meta per violazioni dei diritti umani fosse la scelta migliore?
Il rapporto del Parlamento europeo (A9-0189/2023) è chiaro: Cognyte ha esportato i suoi software in Paesi dove la libertà di stampa e i diritti civili sono costantemente sotto attacco. Myanmar, Emirati Arabi Uniti, Nigeria, e molti altri. E Meta, nel 2021, ha identificato oltre 100 account legati a Cognyte utilizzati per attività di sorveglianza non etica.
C’è di più: i software come Hiwire non sono solo strumenti investigativi. Possono identificare attivisti, monitorare oppositori politici, interferire nel dibattito pubblico. Una tecnologia potente, che nelle mani sbagliate può trasformarsi in un’arma contro i diritti fondamentali.
In un mondo sempre più complesso, dove la tecnologia può essere sia un alleato che un pericolo, il dilemma è evidente: è giusto affidarsi a soluzioni così controverse in nome della sicurezza? Non possiamo ignorare che ogni contratto firmato con aziende come Cognyte rappresenti anche una scelta politica ed etica.
In Italia è ora di aprire un dibattito serio su queste scelte. Perché la sicurezza non può mai diventare un alibi per ignorare i diritti umani. E perché, come dimostra la vicenda Cognyte, anche la tecnologia più avanzata ha un lato oscuro che non possiamo permetterci di trascurare.