Israele. Da Washington 3.5mld$ per acquisto armi made in USA

di C.Alessandro Mauceri –

Il Congresso USA ha autorizzato l’invio di 3,5 miliardi di dollari di cosiddetti aiuti a Israele. Soldi che non lasceranno mai i confini: sono destinati all’acquisto di armi made in USA.
Una decisione, quella di inviare armi a Tel-Aviv, che avviene proprio ne giorno in cui l’esercito israeliano ha una bombardato l’ennesima scuola di Gaza City causando oltre cento morti, tra i quali molti bambini. Come ormai consueto, un portavoce dell’esercito israeliano ha giustificato l’azione scrivendo in un post su X che “Il complesso della scuola, e la moschea adiacente, serviva come una struttura militare attiva di Hamas e Jihad Islamica”. Una politica mediatica ormai chiara: anche nel proprio discorso al Congresso USA, Nethanyau aveva parlato di poche decine di civili morti durante gli scontri dal 7 ottobre 2023. un numero molto, troppo diverso da quello del Ministero della Salute palestinese e da fonti ufficiali dell’UNRWA che parla di oltre 40.000 vittime civili accertate.
Una decisione quella di inviare nuove armi a Israele che segue di poche ore la dichiarazione del responsabile delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Volker Turk, che si è detto “scioccato e sconvolto” dai commenti del Ministro delle Finanze israeliano, Bezalel Smotrich, che aveva affermato che “nessuno al mondo ci permetterà di far morire di fame due milioni di persone, anche se potrebbe essere giustificato e morale per liberare gli ostaggi”. Per Smotrich, il permesso di far arrivare ai palestinesi gli aiuti umanitari sarebbe una scelta obbligata. “Non abbiamo scelta. Siamo in una situazione che richiede la legittimità internazionale per condurre questa guerra”, aveva osservato Smotrich. Una dichiarazione che l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha condannato “con la massima fermezza queste parole, che incitano all’odio contro civili innocenti”, come ha dichiarato il suo portavoce Jeremy Laurence in una conferenza stampa. Secondo il portavoce di Turk, “la morte per fame dei civili come metodo di guerra è un crimine di guerra”.
La decisione degli USA di inviare non aiuti, ma armamenti a Israele apre nuovi scenari sul fronte del conflitto israelo-palestinese. Dopo aver più volte utilizzato il proprio potere di veto sulle decisioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, a maggio scorso, gli USA si erano astenuti consentendo in questo modo l’avvio di una procedura internazionale da parte delle Nazioni Unite nei confronti dello stato ebraico. Ora questa decisione di Washington rende gli USA non più vicini a questo paese politicamente, ma alleati e corresponsabili per ciò che sta avvenendo nella Striscia di Gaza.
La decisione di inviare miliardi di dollari per armi appare palesemente volta a finanziare la produzione di questo settore made in USA, questa scelta non si spiega infatti in altro modo. Secondo i dati dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), la più autorevole fonte sui conflitti e gli armamenti, Israele spende oltre 23 miliardi di dollari all’anno per le forze armate, 2.535 dollari pro capite (nel periodo 2018-2022). Una cifra che fa di di questo paese il secondo al mondo per spesa militare pro capite (dopo il Qatar). Solo nel 2022, Israele ha dedicato il 4,5% del proprio PIL all’esercito, la decima percentuale più alta al mondo. Nello stesso periodo, Israele ha importato armi per un totale di 2,7 miliardi di dollari da soli due paesi, gli Stati Uniti e la Germania.
Per il Diritto Internazionale Umanitario inviare armi per miliardi di dollari a Israele potrebbe rendere gli Stati Uniti d’America complici delle violazioni dei diritti umani commesse da questo paese. Un comportamento per il quale la Corte dell’Aja aveva ordinato allo Stato di Israele “in conformità con i suoi obblighi ai sensi della Convenzione per la prevenzione e la punizione del crimine di genocidio, e in vista delle peggiorate condizioni di vita affrontate dai civili nel governatorato di Rafah, di interrompere immediatamente la sua offensiva militare e qualsiasi altra azione nel governatorato di Rafah, che potrebbe infliggere al gruppo palestinese a Gaza condizioni di vita tali da causarne la distruzione fisica”. E di “mantenere aperto il valico di Rafah per la fornitura senza ostacoli su larga scala di servizi di base urgentemente necessari e assistenza umanitaria”, “adottare misure efficaci per garantire l’accesso senza ostacoli alla Striscia di Gaza di qualsiasi commissione d’inchiesta, missione di accertamento dei fatti o altro organismo investigativo mandato da organi competenti delle Nazioni Unite per indagare sulle accuse di genocidio”. Israele avrebbe dovuto “presentare alla Corte un rapporto su tutte le misure adottate per dare effetto a questo ordine, entro un mese”.
Invece, nell’ultimo periodo i bombardamenti militari sono continuati. Anzi si sono intensificati dentro e fuori dei confini della Striscia di Gaza. La Corte aveva già detto di non essere “convinta che gli sforzi di evacuazione e le misure correlate che Israele afferma di aver intrapreso per migliorare la sicurezza dei civili nella Striscia di Gaza, e in particolare di quelli recentemente sfollati dal Governatorato di Rafah, siano sufficienti ad alleviare l’immenso rischio a cui la popolazione palestinese è esposta a causa dell’offensiva militare a Rafah”.
Danni ai civili la cui responsabilità grava anche sulle spalle degli USA.