Kashmir. Una crisi annunciata tra India e Pakistan in un mondo multipolare

di Riccardo Renzi

Il recente riaccendersi del conflitto tra India e Pakistan nella regione del Kashmir rappresenta il più grave scontro armato tra le due potenze nucleari degli ultimi vent’anni. Martedì 6 maggio 2025, Nuova Delhi ha confermato di aver condotto un’operazione militare contro quelli che ha definito “campi terroristici” nel territorio pakistano. Islamabad ha però denunciato l’attacco come un atto di guerra, rivendicando il diritto alla difesa secondo l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite. Le operazioni hanno causato almeno 38 morti – di cui 26 civili in Pakistan – e un’ondata di condanne, timori e dichiarazioni diplomatiche a livello globale.
Il Kashmir, ancora una volta, si dimostra essere una miccia accesa in un contesto regionale sempre più instabile e in uno scenario internazionale ormai privo degli equilibri rigidi della Guerra Fredda. In questo articolo analizziamo le cause, le dinamiche e le implicazioni geopolitiche ed economiche di questa nuova crisi indo-pakistana.
Il conflitto in Kashmir affonda le sue radici nel 1947, anno della partizione del subcontinente indiano e della nascita di India e Pakistan. Il principe Hari Singh, sovrano della regione del Jammu e Kashmir, decise di unirsi all’India, provocando l’invasione pakistana e la prima guerra indo-pakistana (1947-1949). Da allora, tre conflitti principali (1947, 1965, 1971) e una miriade di scontri minori hanno trasformato il Kashmir in una delle zone più militarizzate al mondo.
La questione kashmira è tanto territoriale quanto ideologica. Per il Pakistan, Stato a maggioranza musulmana, il Kashmir – anch’esso a maggioranza islamica – è una “continuazione naturale”. Per l’India, Stato laico e multiconfessionale, mantenere il controllo della regione è essenziale per la propria integrità territoriale e per l’idea stessa di nazione inclusiva.
La scintilla del nuovo conflitto è da ricercare nell’attentato del 22 aprile 2025 in cui sono morti 25 turisti indiani e un cittadino nepalese. L’attacco è stato rivendicato dal “Fronte della Resistenza”, un gruppo islamista attivo nel Kashmir. Nuova Delhi ha accusato Islamabad di aver protetto e finanziato il gruppo, accusa che il Pakistan ha respinto come “priva di fondamento”.
Il 6 maggio, l’India ha risposto con attacchi missilistici su nove obiettivi definiti “campi terroristici” nel territorio controllato dal Pakistan. Tuttavia, secondo le autorità pakistane, alcuni missili hanno colpito anche zone civili, tra cui una moschea nella città di Bahawalpur, dove sono morti almeno 13 civili, incluse due bambine di tre anni. In risposta, l’esercito pakistano ha abbattuto cinque jet indiani e ha promesso una risposta “adeguata”.
A differenza del passato, questa nuova crisi si sviluppa in un mondo multipolare in cui la pressione degli equilibri globali è più fluida e meno prevedibile. Stati Uniti, Cina, Russia, Turchia e Unione Europea hanno reagito con appelli alla moderazione, ma con toni e priorità differenti.
Pechino si è detta “pronta a svolgere un ruolo attivo” nella mediazione, consapevole che l’instabilità nel subcontinente indiano potrebbe minare i propri interessi economici e strategici nella regione. La Turchia ha lanciato l’allarme di una possibile “guerra totale”, mentre l’UE ha ribadito la necessità di contrastare il terrorismo ma anche di tutelare i civili.
Assente finora una presa di posizione chiara da parte degli Stati Uniti, il cui silenzio potrebbe riflettere una nuova prudenza strategica o un disimpegno parziale dal quadrante asiatico, mentre l’Iran ha espresso “profonda preoccupazione”, segnalando il potenziale coinvolgimento regionale allargato.
Al di là delle vittime e della tensione politica, la crisi indo-pakistana ha ricadute significative anche sul piano economico. L’India è oggi al centro di una trasformazione industriale globale, che la vede protagonista nella delocalizzazione di grandi multinazionali tecnologiche e manifatturiere. Aziende come Apple, Samsung, Foxconn e VinFast stanno investendo miliardi di dollari per spostare la produzione dall’area cinese all’India, considerata più stabile e promettente in termini di mercato interno.
Anche l’industria aerospaziale e il fashion hanno consolidato la loro presenza nel Paese, generando decine di migliaia di posti di lavoro. Una guerra aperta avrebbe un impatto devastante su queste filiere e sulla percezione di affidabilità dell’India come destinazione produttiva.
Il Pakistan, dal canto suo, ha attratto investimenti significativi da parte di giganti come BYD (veicoli elettrici), Procter & Gamble, PepsiCo e Coca-Cola, puntando su costi competitivi e incentivi fiscali. Tuttavia, un conflitto armato avrebbe conseguenze disastrose su un’economia già fragile, alimentando instabilità interna e rischi di radicalizzazione.
La questione del Kashmir è oggi più di una disputa territoriale. È un banco di prova per l’ordine internazionale contemporaneo. A differenza del periodo bipolare della Guerra Fredda, quando le alleanze erano nette (con la Cina e gli Stati Uniti a supportare il Pakistan e l’URSS vicina all’India), l’attuale scenario multipolare è frammentato. Ogni attore persegue interessi propri, non sempre compatibili tra loro.
L’interesse della Cina a contenere l’India, l’ambizione turca a estendersi nel mondo musulmano, il disimpegno americano dall’Asia meridionale e il ruolo ambiguo della Russia creano una rete di influenze e di fragili equilibri. Il Kashmir diventa così una lente attraverso cui osservare la ridefinizione delle dinamiche di potere globali.
Il ciclo storico degli scontri tra India e Pakistan dimostra che il conflitto kashmiro non può essere risolto solo con la forza. Servono diplomazia, cooperazione internazionale e soprattutto un ripensamento della governance della regione, che tenga conto della volontà delle popolazioni locali. Ma la storia recente mostra che nessuna delle due potenze è pronta a fare concessioni significative, temendo ripercussioni interne e perdita di prestigio geopolitico.
Finché il Kashmir resterà una questione identitaria e simbolica, più che una semplice disputa territoriale, ogni crisi avrà il potenziale per trasformarsi in una guerra. E in un mondo multipolare, più che mai incerto, nessuno può più permettersi di ignorare l’esplosione di un nuovo conflitto atomico all’ombra dell’Himalaya.