di Giuseppe Gagliano –
Dopo mesi di proteste che hanno scosso il suo governo e messo a nudo profonde fratture politiche e sociali, il presidente del Kenya, William Ruto, sembra aver compreso che governare è più un’arte di compromesso che di comando. La sua recente strategia politica, che unisce concessioni calibrate e mosse tattiche, punta chiaramente a consolidare il potere in vista delle elezioni del 2027, in un contesto che lo ha visto a lungo “in carica, ma non al potere”.
Le manifestazioni guidate dalla Generazione Z, iniziate come una protesta contro un bilancio finanziario percepito come punitivo, si sono trasformate in una critica più ampia alla leadership di Ruto e al suo stile di governo. A luglio, il presidente ha risposto licenziando sei ministri e mantenendo una pausa che ha dato il tempo ai leader politici di riposizionarsi. Questo rimpasto, tuttavia, non è stato solo una concessione ai manifestanti, ma anche un messaggio di pragmatismo: la maggior parte del gabinetto è stata riconfermata, con alcune eccezioni strategiche.
Tra le mosse più significative c’è stata la cooptazione di cinque ministri dell’opposizione dell’Orange Democratic Movement (ODM). Una decisione che segna un punto di svolta nella politica di Ruto: non più l’uomo che si oppone alle élite tradizionali, ma il leader che le ingloba per sopravvivere.
Tra i nuovi ingressi spicca John Mbadi, nominato ministro delle Finanze. Figura rispettata all’interno dell’ODM, Mbadi ha giocato un ruolo fondamentale nel far passare una versione rivista del bilancio che aveva scatenato le proteste. Questa versione, meno punitiva, ha permesso di disinnescare almeno temporaneamente la tensione sociale, ma a caro prezzo: molti sostenitori di Ruto vedono questa concessione come un segnale di debolezza.
Nonostante le sue manovre, Ruto si trova ora ad affrontare un nuovo ostacolo interno. L’impeachment del vicepresidente Rigathi Gachagua, orchestrato dallo stesso entourage presidenziale, ha aperto un fronte imprevisto nella regione del Monte Kenya, tradizionale roccaforte elettorale del vicepresidente. Questo scontro potrebbe minare la base politica di Ruto, già indebolita dalle proteste.
La rimozione di Gachagua, pur giustificata come necessaria per stabilizzare il governo, potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio. Da un lato, Ruto mira a rafforzare la sua leadership eliminando potenziali rivali interni; dall’altro, rischia di alienarsi una regione cruciale per la sua rielezione.
Il presidente Ruto sta giocando una partita complessa. Da un lato, cerca di consolidare una nuova coalizione includendo figure dell’opposizione e mitigando il malcontento sociale. Dall’altro, deve affrontare le sfide di un’élite politica che vede la sua leadership come fragile e opportunistica.
Le concessioni e i compromessi fatti finora mostrano un leader che non può più contare sul semplice carisma o sulla promessa di cambiamento. Ruto è ora costretto a navigare tra le richieste di una popolazione giovane e insoddisfatta, le pressioni di un’opposizione rianimata e la necessità di mantenere una coalizione instabile.
La sua capacità di mantenere il potere fino al 2027 dipenderà non solo dalla sua abilità politica, ma anche dalla sua capacità di rispondere alle esigenze reali di un Paese in tumulto. La strada verso un secondo mandato appare tortuosa, e ogni passo falso potrebbe costargli caro.