L’1% più ricco degli abitanti del pianeta inquina il doppio del 50% più povero

di C. Alessandro Mauceri

L’1% più ricco degli abitanti del pianeta inquina il doppio del 50% più povero. Ad affermarlo è un rapporto di Oxfam e Stockholm Environment Institute appena pubblicato: negli ultimi 25 anni, dal 1990 al 2015, le emissioni di anidride carbonica (CO2) sono aumentate del 60%, ma l’aumento delle emissioni dall’1% più ricco è stato tre volte maggiore dell’aumento delle emissioni dalla metà più povera.
Il consumo eccessivo del mondo “ricco” sta esaurendo il “bilancio di carbonio del pianeta”. Cosa si intende per “ricco”? A livello globale, il 10% più ricco indica la popolazione con un reddito annuo superiore a 35mila dollari; l’1% più ricco sono persone che guadagnano più di 100mila dollari.
“Nonostante abbia portato il mondo sull’orlo della catastrofe climatica, bruciando combustibili fossili, la parte ricca della popolazione non è riuscita a migliorare la vita di miliardi di persone”, ha affermato Tim Gore, capo della politica, advocacy e ricerca per Oxfam International. A confermarlo sarebbe il radicale (ma temporaneo) calo delle emissioni durante il lockdown dei mesi scorsi. La sua durata è stata però troppo breve e l’impatto complessivo sul bilancio del carbonio è stato trascurabile: dopo la riapertura le emissioni hanno ripreso ad aumentare vertiginosamente. Un inquinamento che è servito solo “per espandere il consumo delle persone già ricche, piuttosto che per migliorare l’umanità”, ha ribadito Gore. “Dovremmo garantire che il carbonio venga utilizzato al meglio”. Continuare a consentire alla popolazione ricca di emettere molto di più di chi è in povertà è ingiusto. Molti paesi stanno facendo enormi sforzi per utilizzare fonti energetiche rinnovabili ed eliminare i combustibili fossili. Una transizione durante la quale le fonti energetiche tradizionali (e inquinanti) avrebbero dovuto essere utilizzate per migliorare l’accesso dei poveri ai servizi di base e non per consentire ai ricchi di diventare sempre più ricchi, inquinando di più il resto del pianeta; tornano in mente le annose questioni, mai risolte e anzi in Europa sono addirittura regolamentate e diffuse, circa lo scambio delle quote di emissioni tra paesi ricchi e paesi poveri. “Lo scopo migliore possibile e moralmente difendibile è che tutta l’umanità viva una vita dignitosa, ma il bilancio del carbonio è stato utilizzato dai già ricchi, per diventare più ricchi”, ha detto Gore.
Il 10% più ricco della popolazione mondiale, circa 630 milioni di persone, è responsabile di circa il 52% delle emissioni globali di anidride carbonica degli ultimi 25 anni. La conseguenza è un aumento delle temperature medie già oggi oltre 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali e i relativi danni ai sistemi naturali. Tra i principali responsabili dell’aumento delle emissioni ci sono i trasporti: nei paesi ricchi si nota una tendenza crescente a guidare auto ad alte emissioni e a prendere più voli. Una soluzione, secondo i ricercatori di Oxfam, potrebbe essere aumentare le tasse sui beni di lusso ad alto contenuto di carbonio, o quelle sui frequent flyer. Un’idea che non sarebbe una novità assoluta: in quasi tutti i paesi sviluppati vige il principio “chi inquina, paga”. Ma purtroppo viene applicato molto raramente.
Dopo il fallimento delle ultime Conferenze delle Parti (da Parigi in poi), l’argomento emissioni di CO2 è tornato ad essere al centro degli incontri dei governi che a breve parteciperanno (virtualmente) alla 75esima Assemblea Generale delle Nazioni Unite. A introdurre l’argomento sarà Boris Johnson, primo ministro del Regno Unito, in vista del prossimo vertice sul clima delle Nazioni Unite, la COP26 che si terrà a Glasgow a novembre 2021, era previsto per il 2020 ma è stato ritardato di un anno per la pandemia di corona virus.
Commentando i risultati dello studio dell’Oxfam, Caroline Lucas, parlamentare dei Verdi del Regno Unito, ha dichiarato: “Questo è un chiaro esempio della profonda ingiustizia al centro della crisi climatica. Coloro che sono molto più esposti e vulnerabili ai suoi impatti hanno fatto di meno per contribuire alle emissioni di gas serra che lo stanno causando. Il Regno Unito ha una responsabilità morale, non solo a causa delle sue emissioni storiche sproporzionatamente elevate, ma in quanto ospite del vertice critico delle Nazioni Unite sul clima del prossimo anno (COP21, ndr). Dobbiamo andare oltre e più velocemente per raggiungere lo zero netto”.
Un obiettivo quanto mai ambizioso ma difficilmente raggiungibile. Almeno stando a quanto emerge dal rapporto State of Global Air 2019: oggi, l’inquinamento atmosferico è il quinto fattore di rischio di mortalità più alto a livello globale. E l’attenzione è, ancora una volta, concentrata sulle emissioni di CO2 e sul PM2,5, cioè le particelle in grado di penetrare in profondità nel tratto respiratorio e causare gravi danni alla salute.
Anche le linee guida sulla qualità dell’aria dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) confermano che una lunga esposizione in ambinti con una concentrazione media annuale di PM2,5 al di sopra di 10 μg/m3 (microgrammi per metro cubo) costituisce un aumento del rischio di mortalità per cancro cardiopolmonare e polmonare. I dati, che si riferiscono ad un paio di anni fa, confermano che oltre il 90% della popolazione mondiale è esposta ad aria malsana, con una concentrazione media annuale di PM2,5 superiore a 10 μg/m3. E circa 4 miliardi di uomini, donne e bambini vivono in luoghi in cui le concentrazioni medie annuali di PM2,5 sono maggiori di IT-1 (35 μg/m3, l’obiettivo dell’OMS meno rigoroso per la qualità dell’aria).
Ancora una volta i ricercatori hanno puntato il dito sulle emissioni di veicoli, definendole le principali cause di inquinamento atmosferico e ambientale, seguite dalle centrali elettriche a carbone e dalle emissioni industriali.