“La Caserma”: torna di moda la disciplina?

di Gianluca Celentano

Con un audience importante, mercoledì 27 gennaio su Rai 2 ha preso il via il primo dei sei appuntamenti de “La Caserma,” erede del reality “Il Collegio”. Il programma non ha una collocazione temporale vera e propria, ponendosi l’obiettivo di analizzare gli effetti di regole e disciplina verso la platea eterogenea dei giovani del cast.
Diciamo subito che non sono mancate le critiche per l’abissale distanza tra l’ambientazione del reality e la ricostruita realtà militare che nulla ha a che vedere un autentico RAV (reggimento addestramento volontari), ex Car.
In realtà si tratta di un vero e proprio esperimento messo a punto dall’autore Cristiano Rinaldi: non solo vedere come si comportano 21 volontari della generazione Z quando sono proiettati “violentemente” in uno stile di vita del tutto diverso rispetto a quello a cui sono abituati, ma anche osservare come i loro atteggiamenti possano o meno essere modificati positivamente attraverso l’organizzazione e la disciplina. Servirà?
I concorrenti appartenenti alla generazione multimediale, rispecchiano fedelmente l’ansia, le debolezze, l’ingenuità e la mancanza di riferimenti comuni nei ventenni di oggi molto spesso senza un’etica, dove rifugiarsi in gruppo, (o un branco) piuttosto che l’emulazione fantasiosa di qualche icona del cinema o dei games, è giocoforza un salvagente per rimanere a galla nella loro società.
Di loro si deve occupare un gruppo di cinque istruttori che sono in realtà dei personal trainer tranne una vera militare, Deborah Colucci, prestata dalla Difesa per l’occasione televisiva. L’istruttore capo, il sesto, è Renato Daretti, luogotenente in congedo del 9. rgt, un reparto punta di lancia dell’Esercito italiano. Daretti appare come un buon padre di famiglia, comprensivo ma fermo e con (strano ma vero) una buona dose di pazienza, almeno nella prima puntata. Appare un po’ come un terapeuta quando ascolta le problematiche dei giovani, magari per “invitare” a togliere piercing, collane e orecchini, ma soprattutto quando fa loro accettare che cellulari e pc saranno banditi per tutte le sei settimane.
Per chi ha fatto il militare conoscendo usi e costumi dei giovani di altre regioni, questo cast risulta forse imbarazzante, ma testimonia un’evoluzione sociale almeno per la tipologia internazionale dei giovani partecipanti. Infatti, se mai venisse reintrodotta la leva, le reclute sarebbero multietniche e in effetti i 21 ragazzi del reality, non sono tutti di origine italiana. A mio avviso sarebbe stato interessante inserire anche un istruttore con altre origini. Quindici ragazzi e sei ragazze con alloggi separati ma comunicanti da un corridoio – altro aspetto non realistico in una caserma- all’interno di un edificio tipo colonia situato a Levico in provincia di Trento. Nelle puntate successive ci saranno altre prove fisiche oltre ai percorsi addestrativi e al ponte tibetano della prima puntata percorso, ricordiamolo, con imbragatura civile e non militare. Gli step avranno lo scopo di portare alla luce e “curare” l’emotività dei ragazzi spronati costantemente dagli istruttori.
Tra le ragazze c’è l’italo nigeriana Naomi Akano 19 anni che a differenza di altre, non si è presentata con i tacchi ponendosi magari come una potenziale diva. Appare più incline al rispetto delle regole e in passato è stata vittima di bullismo per le sue origini. C’è anche Erika Mattina 23 anni, attivista LGBT che comprende come la tematica dell’omosessualità confessata all’istruttore capo Daretti, sia ormai abbastanza sdoganata nel mondo militare, grazie forse alle recenti unioni civili nelle forze armate.Del resto operatività e gusti personali possono serenamente convivere. Tra i maschietti il più vivace e simpatico sembra essere l’indisciplinato George Ciupilan di Savona e con origini rumene, che ride imperterrito in faccia agli istruttori, ma probabilmente con un potenziale nascosto? Omar Hussain invece è un giovane italo pachistano con un Q.I. tra i più alti al mando. E’ riflessivo e forse un po’ impacciato ma senz’altro più affine alla disciplina. Essere squadra è fondamentale tanto quanto ricevere dei valori oggi molto spesso non trasmessi o ignorati da molte famiglie troppo permissive che, soprattutto in Italia, giustificano eccessivamente (come amici e non come genitori) ogni comportamento dei figli. Il contesto militare, nonostante le uniformi degli istruttori (le uniche vere da capitolato ma senza stellette e gradi) è quindi solo di contorno nel reality per giustificare l’imposizione di una certa disciplina, che nella realtà è forse propria di qualche college privato.
Perché non investire di più sull’istruzione trasformando le scuole in college o valutare un periodo di lavori socialmente utili o il VFP1, anche come formazione e completamento degli studi?
Vedremo nelle prossime puntate come evolverà questa “analisisociale” che sicuramente verrà guardata con compiaciuta attenzione da tutti quei genitori più attenti che forse non riescono, loro malgrado, a far staccare i figli dal cellulare o a far fare loro il letto.