La cooperazione sino-russa nell’Artico

di Giuseppe Gagliano –

Lo sviluppo della cooperazione sino-russa nell’Artico russo rappresenta uno dei risultati più evidenti del riavvicinamento tra Pechino e Mosca, iniziato diversi anni fa.
Tutto ebbe inizio nel giugno 2019, quando Xi Jinping visitò per l’ottava volta Mosca. Non dobbiamo dimenticare che storicamente questa visita fu rilevante perché sottolineava l’importanza di 70 anni di relazioni sino-russe nate con la fondazione ufficiale della Repubblica Popolare Cinese (RPC) da parte di Mao Zedong.
Messi da parte i contrasti, sui quali giocò Kissinger per indebolire la Russia e che portarono l’Unione Sovietica e la Repubblica Popolare Cinese sull’orlo del conflitto armato nel 1969, nel giugno del 2019 Xi Jinping e Vladimir Putin hanno sottolineato la natura di un partenariato globale e il coordinamento strategico basato sulla fiducia reciproca.
Uno degli aspetti certamente più interessanti di questa cooperazione sino-russa è nel contesto dell’Artico. L’importanza dell’Artico è dimostrata dalla pubblicazione ufficiale nel gennaio del 2018 della strategia artica cinese, ma soprattutto dal fatto che le aziende cinesi intendono sfruttare le risorse naturali artiche e le rotte marittime polari per ampliare la loro egemonia a livello globale.
Tuttavia, sotto il profilo strettamente storico, non possiamo trascurare il fatto che la Cina abbia già dagli anni Novanta rivolto la propria attenzione all’Artico, periodo nel quale furono effettuate le prime spedizioni nella regione. Tuttavia solo a partire dagli anni Duemila la Cina ha posto in essere numerose collaborazioni sia politiche che economiche con i paesi artici, ed in particolare proprio con la Russia. Sebbene in un primo momento Mosca avesse assunto un atteggiamento diffidente nei confronti della Cina nel settore della navigazione e dello sfruttamento delle risorse naturali (chiese di diventare un osservatore del Consiglio artico nel 2009 e che tale richiesta venne rifiutata dalla Norvegia, dal Canada e dalla Russia), grazie all’abilità della diplomazia cinese e alla volontà da parte cinese di investire risorse rilevanti nella realizzazione di diversi progetti sia in Scandinavia che in Russia l’atteggiamento di Mosca mutò profondamente. A seguito della caduta dell’URSS la regione artica controllata da Mosca non solo ebbe numerose difficoltà economiche determinate sia dalla improvvisa quanto radicale riduzione degli investimenti statali, bensì anche dal graduale ed inesorabile spopolamento della regione. Tutto ciò da un punto di vista strategico determinò il disimpegno da parte di Mosca sotto il profilo strettamente militare, e le infrastrutture militari e i diversi centri minerali e industriali chiusero. Solo con la salita al potere di Vladimir Putin la questione artica riacquistò importanza perché Mosca comprese che era possibile costruire una rete energetica sia nella Siberia orientale che nell’Artico, la quale consentisse il trasporto di idrocarburi russi verso i mercati asiatici.
Ecco allora che come per incanto la diffidenza russa nei confronti della Cina cessò di esistere: la Russia aveva, ed ha bisogno, di ingenti investimenti per portare a compimento i suoi progetti infrastrutturali. Paradigmatico a tale proposito il primo viaggio nel 2010 della petroliera Baltica verso la Cina lungo la rotta polare, nave che trasportava una condensa di gas naturale da Murmansk a Ningbo, porto sito a sud di Shanghai.
Nonostante fossero stati firmati gli accordi di principio e lettere di intenti tra la Cina e la Russia, la maggior parte di questi accordi non ebbe modo di concretizzarsi soprattutto perché Mosca non voleva dare alle compagnie cinesi un accesso privilegiato all’artico russo. Ma quando nel 2014 la caduta del prezzo del petrolio colpì in modo molto duro l’economia russa unitamente alla crisi Ucraina, alla quale seguirono le pesanti sanzioni occidentali, la Russia fu costretta obtorto collo a riorientare le sue scelte politiche nei confronti della Cina. Il Dragone poteva adesso sostituire l’occidente soprattutto nel settore delle tecnologie avanzate. Solamente quando la Russia aderirà alla nuova Via della seta questa collaborazione diventerà rilevante dal punto di vista geopolitico.
Concretamente questa cooperazione ho trovato modo di realizzarsi attraverso due progetti del gas che sfruttano i depositi nella Siberia artica, e cioè lo Yamal LNG e l’Arctic LNG 2. Per quanto concerne lo Yamal LNG questo impianto produce 16,5 milioni di tonnellate di gas all’anno, e ciò ha consentito alla Russia nel febbraio 2019 di diventare il primo esportatore di gas liquefatto sul mercato europeo. Per quanto riguarda l’Arctic LNG 2, il potenziale produttivo annuo è stimato in 19,8 milioni di tonnellate. In entrambi i casi la Cina non solo fornisce investimenti economici fondamentali ma anche le tecnologie che le hanno consentito di conseguire credibilità a livello internazionale. Altrettanto significativa è la dimensione propagandistica russa e cinese in relazione a questo progetto: in Russia ha presentato tale traguardo soprattutto come un successo nazionale, e infatti tutte le notizie su Yamal LNG vengono trasmesse sui canali nazionali russi; per la Cina lo Yamal LNG è visto come un simbolo del nuovo know-how delle aziende cinesi. Yamal LNG è quindi anche un simbolo di successo nazionale cinese.
Il colosso navale cinese Cosco ha inviato rispettivamente cinque e otto navi lungo questo passaggio polare nel 2016 e nel 2017, una rotta di navigazione polare che acquista rilevanza per la Cina sia perché facilita l’accesso ai depositi di risorse naturali sia perché costituisce una valida alternativa alle attuali rotte commerciali attraverso lo stretto da Malacca o dal Canale di Suez.
In ultima analisi la collaborazione sino-russa nell’Artico dipende a lungo termine soprattutto dal contesto internazionale e dalla capacità dei due Paesi di porre in essere una strategia lineare di collaborazione, con finalità definite e attuabili.