La Cop15 punta sulla conservazione della biodiversità

di C. Alessandro Mauceri

Nel mondo quasi un milione di specie animali e vegetali è a rischio di estinzione. E ad una velocità mille volte maggiore di quella naturale. Secondo il rapporto Intergovernmental science-policy platform on biodiversity and ecosystem services, tre quarti degli ambienti terrestri e due terzi di quelli marini sono ormai significativamente alterati dalle azioni dell’uomo. Più del 40 per cento degli anfibi, quasi il 33 per cento dei coralli e un terzo dei mammiferi marini rischia l’estinzione. Nell’ultimo Living planet report del WWF si parla di un calo del 69 per cento dell’abbondanza delle popolazioni di specie di vertebrati.
In generale è la biodiversità del pianeta ad essere a rischio. Se ne sta parlando in questi giorni alla COP15, la 15ma Conferenza delle Parti della Convenzione sulla diversità biologica, o biodiversità, (CBD) delle Nazioni Unite. I lavori previsti per il 2019, a Kunming, nello Yunnan, in Cina sono stati più volte rinviati a causa della pandemia e dalla politica zero-Covid di Pechino. Una prima parte della COP15 si è tenuta ad ottobre 2021, ma principalmente online. Il 7 dicembre a Montréal, in Canada, sono iniziati gli incontri di presenza. Continueranno fino al 19 dicembre. La presidenza della COP15 è stata affidata a Huang Runqiu, ministro dell’ecologia e dell’ambiente della Repubblica popolare cinese che ha dichiarato: “La Cina è pronta a lavorare con la comunità internazionale, senza risparmiare alcuno sforzo, per promuovere un sistema di governance globale per la biodiversità”.
È prevista la partecipazione dei delegati di tutte le 196 “parti” membri della Convenzione sulla Diversità Biologica CBD: governi e organizzazioni regionali (come l’Unione europea) che hanno firmato e ratificato la Convenzione sulla diversità biologica, ma anche comunità locali, aziende, comunità indigene, organizzazioni e gruppi di giovani. La prima bozza della CBD fu presentata durante il summit di Rio de Janeiro del 1992. Entrò in vigore l’anno dopo: nel 1993. La CBD è un trattato internazionale “giuridicamente vincolante” con tre principali obiettivi: conservazione della biodiversità, uso sostenibile della biodiversità, giusta ed equa ripartizione dei benefici derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche. La Convenzione copre la biodiversità a 360 gradi: ecosistemi, specie e risorse genetiche, ma anche biotecnologie. Prendendo spunto dal Protocollo di Cartagena sulla Biosicurezza, copre tutti i domini direttamente o indirettamente legati alla biodiversità e alle conseguenze per uno sviluppo sostenibile, dalla scienza, alla politica e all’educazione fino all’agricoltura, al commercio, alla cultura. La Conferenza delle Parti (COP) è l’organo di governo della CBD. Dovrebbe riunirsi ogni due anni per esaminare i progressi compiuti, definire le priorità e impegnarsi in piani di lavoro.
Nel 2002, le Parti della Convenzione presentarono un nuovo Piano Strategico: l’obiettivo era consentire una riduzione significativa della perdita della biodiversità entro il 2010. I nuovi obiettivi decisi nella decima riunione che si tenne a Nagoya, in Giappone, a ottobre 2010. Nagoya, le parti decisero di fissare come obiettivo limitare la perdita degli habitat naturali ed espandere le aree protette fino al 17 per cento della superficie terrestre entro il 2020. Questi obiettivi vennero successivamente confermati con il Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile e dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e, poi, inseriti nei Millennium Development Goals, prima, e negli Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile, poi.
Oggi quasi tutti i Paesi del mondo fanno parte della COP. Unica eccezione gli Stati Uniti, che hanno firmato ma hanno non ratificato l’accordo pur essendo sempre presenti agli incontri. A
Purtroppo, come per la più famosa COP27 sulle emissioni di CO2, anche gli obiettivi della COP per la biodiversità non sono mai stati raggiunti: i governi che si sono succeduti hanno fallito in tutti i target e non hanno mantenuto le promesse. “Montréal ha l’opportunità di dar vita a un Accordo di Parigi per la biodiversità, un trattato globale per la natura così come è stato quello del 2015 per il clima”, ha detto Marco Lambertini, direttore di WWF International. A fargli eco Elizabeth Wathuti, ambientalista e attivista della Gioventù keniota, “Siamo a un punto critico della storia dell’umanità, la biodiversità sta diminuendo più velocemente che mai. L’uomo sta distruggendo il suo supporto vitale. Dobbiamo agire ora e dare alla natura una possibilità”
I temi degli incontri in corso a Montréal riguardano almeno 21 progetti con diversi target: da proteggere il 30 per cento dei suoli e dei mari entro il 2030, a ridurre l’estinzione delle specie, a limitare l’uso dei pesticidi (riducendolo di circa due terzi), ridurre l’inquinamento dovuto alla plastica e l’introduzione di specie invasive. Il tutto ovviamente (come per la COP27) grazie ai finanziamenti che dovrebbero arrivare sia sa enti pubblici che privati.
Soldi che dovrebbero servire a sostenere i progetti per combattere i cinque fattori principali della perdita della natura: cambiamento dell’uso del suolo e del mare, sfruttamento degli organismi, cambiamenti climatici, inquinamento, specie invasive, consumo e produzione insostenibile. “La nostra connessione con la natura può dirci da dove veniamo. Ma la natura determinerà anche il nostro futuro. La Cop15 è un momento critico per reimpostare il ruolo della natura. Abbiamo bisogno di obiettivi ambiziosi, riconoscendo anche i diritti e i ruoli dei popoli indigeni”, ha affermato Li Shuo, global policy advisor di Greenpeace Cina.
L’Italia dovrebbe essere particolarmente interessata a questi argomenti. Non solo per motivi storici (una delle prime prove della biodiversità venne scoperta proprio in Sicilia, vicino Palermo) ma perché il suo patrimonio di biodiversità è tra i più importanti d’Europa: circa 1.169 briofite, 2.704 licheni e 8.195 piante vascolari, per ciò che riguarda la flora, per quanto riguarda la fauna si contano più di 60mila specie (per il 98 per cento invertebrati). Anche la ricchezza delle specie marine è eccezionale: 2.800 specie di flora e circa 9.300 per la fauna marina. Per questo motivo l’Italia è considerata dagli studiosi un hotspot di biodiversità.
Un patrimonio a rischio. Secondo l’IUCN, l’Unione mondiale per la conservazione della natura, il 43 per cento delle specie di flora tutelate sono minacciate o a rischio di estinzione. Tra gli animali rischiano l’estinzione il 21 per cento dei pesci cartilaginei, il 48 per cento dei pesci ossei di acqua dolce, il 2 per cento dei pesci ossei marini, il 19 per cento dei rettili, il 36 per cento degli anfibi, il 23 per cento dei mammiferi e il 27 per cento degli uccelli. Circa 240 le specie a forte rischio di estinzione.