di C. Alessandro Mauceri –
Sono in corso i lavori della COP16, la Conferenza delle Nazioni Unite per la lotta contro la desertificazione. Come per la COP29, i cui lavori si sono appena conclusi, non sono mancate le polemiche, a cominciare dalla scelta del paese ospitante: l’Arabia Saudita, paese ormai per buona parte desertico. Il tema degli incontri riguarde principalmente le misure da adottare per contrastare la desertificazione di vaste aree fino a pochi anni fa destinate alla produzione agricola. Un fenomeno che già oggi comporta grossi problemi. Ad essere a rischio non è solo la biodiversità, bensì i mezzi di sussistenza per tutta la popolazione mondiale. Una situazione che nei prossimi anni sarà destinata ad un netto peggioramento a causa dei cambiamenti climatici.
A presiedere gli incontri della COP16 è il ministro dell’Ambiente Abdulrahman Abdulmohsen al-Fadley.
In barba alle promesse fatte dai leader mondiali in tutte le altre COP, è ormai innegabile che la siccità “sta diventando una nuova normalità in tutto il mondo”, come si legge nel sito web dell’UNCCD. Per questo motivo, “la Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione (UNCCD) e il Centro comune di ricerca (JRC) della Commissione europea lanciano la pubblicazione globale più completa sui rischi e le soluzioni alla siccità come un urgente campanello d’allarme per i leader mondiali e i cittadini”.
I dibattiti traggono spunto dai risultati dell’Atlante Mondiale della Siccità 2024, appena pubblicato e che “descrive la natura sistemica dei rischi di siccità” con decine di mappe, info-grafiche e casi di studio. Nello studio sono stati analizzati i rischi connessi a lunghi periodi di siccità e il rapporto che questi fenomeni avranno con settori come l’energia, l’agricoltura, il trasporto fluviale e gli scambi internazionali di merci e persone. Un periodo prolungato di siccità può ridurre la produzione di energia idroelettrica, portando a un aumento dei prezzi dell’energia o a interruzioni di corrente (specie in un momento come quello attuale in cui la domanda di energia continua ad aumentare). Questi eventi possono causare interruzioni dei commerci internazionali a causa del calo dei livelli dell’acqua che ostacolano il trasporto sulle vie navigabili interne (come si è già verificato nel Canale di Panama).
Particolarmente importante l’attenzione agli “effetti a cascata” che spesso alimentano “disuguaglianze e conflitti e minacciando la salute pubblica”.
Gli autori dell’Atlante sottolineano la gravità delle conseguenze della siccità: è “uno dei pericoli più costosi e mortali al mondo”. Si prevede che entro il 2050 potrebbe colpire tre persone su quattro a livello globale. Eppure “molti paesi e settori non riescono ancora a predisporre azioni, politiche, investimenti e incentivi” per far fronte a questi cambiamenti.
“L’Atlante Mondiale della Siccità sfida i governi, i leader aziendali e i responsabili politici a tutti i livelli a ripensare radicalmente il modo in cui prendono decisioni e gestiscono il rischio di siccità”, ha dichiarato Ibrahim Thiaw, segretario esecutivo dell’UNCCD. “Invito tutte le nazioni, e in particolare le parti dell’UNCCD, a prendere sul serio i risultati dell’Atlante. Alla COP16 dell’UNCCD, le parti potrebbero cambiare il corso della storia verso la resilienza alla siccità. Cogliamo l’attimo con la consapevolezza che l’Atlante offre un percorso per un futuro più resiliente per tutti”.
Come abbiamo ripetuto più volte anche noi (nel 2016 ne parlammo nel libro Guerra all’Acqua ed. Rosemberg e Sellier), spesso gli effetti delle emergenze secondarie – come le siccità – sono meno visibili e attirano meno attenzione rispetto a eventi improvvisi come inondazioni, terremoti o tsunami. Eppure, nel medio lungo periodo i loro effetti sono devastanti. L’Atlante sottolinea la “necessità di piani nazionali per la siccità e di una cooperazione internazionale per mantenere a galla le comunità, le economie e gli ecosistemi di fronte a eventi più duri”.
Particolarmente importante il rapporto cibo-terra-acqua: l’agricoltura è responsabile di circa il 70 per cento del consumo di acqua dolce, a livello globale. Le conseguenze dei fenomeni prolungati di siccità gravano pesantemente sulla produzione di risorse alimentari (e di biocombustibili). I più colpiti da questi fenomeni, oltre ai beneficiari finali, sono i piccoli agricoltori e i gruppi emarginati a causa delle disparità nell’accesso all’acqua e della scarsità di risorse alternative per essere “resilienti” alla siccità.
“L’Atlante è una nuova potente risorsa per creare uno slancio politico per una gestione pro-attiva del rischio di siccità in vista della COP16 dell’UNCCD a Riyadh” aveva dichiarato il segretario di Stato per l’Ambiente della Spagna, che co-presiede l’Alleanza internazionale per la resilienza alla siccità (IDRA) insieme al Senegal. “Abbiamo le conoscenze e gli strumenti per costruire la nostra resilienza alla siccità. Ora è nostra responsabilità collettiva, e nel nostro interesse, agire per un futuro resiliente alla siccità”.
Due anni fa, in Costa d’Avorio, i lavori dell’ultima COP desertificazione si chiusero con un accordo che avrebbe dovuto permettere di “accelerare la bonifica di un miliardo di ettari di terre degradate”, danneggiate dalle attività umane (dall’inquinamento alla deforestazione) entro il 2030. Oggi la stessa UNCCD afferma che per preservare la biodiversità ed evitare conseguenze catastrofiche per l’umanità intera, questo intervento non basterebbe: occorrerebbe intervenire almeno su 1,5 miliardi di ettari entro la fine del decennio. “Abbiamo già perso il 40 per cento delle nostre terre”, ha ricordato Thiaw. Che ha aggiunto: “In gioco c’è la sicurezza mondiale, e non soltanto in Africa o in Medio Oriente”. Lo studio ha calcolato che il mondo “ha bisogno di un miliardo di dollari al giorno per lottare contro la desertificazione, il degrado dei suoli e la siccità, nel periodo tra il 2025 e il 2030”.
I lavori della COP16 si protrarranno fino al 13 dicembre 2024. Secondo gli organizzatori si tratta della più grande conferenza delle Nazioni Unite sul territorio e la prima COP dell’UNCCD nella regione del Medio Oriente e del Nord Africa a discutere concretamente gli impatti della desertificazione, del degrado del suolo e della siccità.
Una sfida su scala mondiale che (come per la COP29 appena conclusa) della quale ai grandi paesi non sembra importare molto.