La corsa (al ribasso) del petrolio. Intervista a Michele Marsiglia, FederPetroli

a cura di Orizzontenergia –

Marsiglia MicheleIl costo dei carburanti è crollato, in un’azione di carattere geopolitico determinata da vari fattori. E mentre produrre olio di scisto (shale oil) continua a costare caro, paesi produttori non Opec soffrono la riduzione delle entrate. Già quando le quotazioni erano scese del 30% (oggi quasi al 50%), il ministro russo delle Finanze Anton Sulianov aveva spiegato che “oggi la Russia perde 40 miliardi all’anno a causa delle sanzioni e 100 miliardi all’anno a causa del calo del prezzo del petrolio”.
Le ultime quotazioni danno il Brent a 57,80 dollari al barile, mene il Wti a 51,60.
Ne parliamo con Michele Marsiglia, presidente di FederPetroli.

– Presidente, quali sono le cause economiche e geopolitiche dell’attuale trend al ribasso del prezzo del petrolio?
“Più che definirle “cause” indicherei l’attuale situazione petrolifera internazionale come un richiamo all’ordine da parte dell’Opec nei confronti di altri paesi non membri del Cartello.
Certamente il fenomeno americano dello shale (olio e gas di scisto, ndr.) ha dato una scossa al mercato, ma non è stata del tutto positiva visto che illustri analisti hanno basato le proprie previsioni su un boom petrolifero di shale e tight oil and gas, con indicizzazioni e numeri che alla fine hanno solo ed esclusivamente destabilizzato i mercati e gli operatori internazionali, creando un’enorme soglia di incertezza che ha dato vita ad una bolla ed ha fatto sì che Oil Companies americane siano arrivate in pochi mesi a chiedere procedure di fallimento.
Abbiamo due scenari che possiamo analizzare; una politica diretta dell’Opec, non è una politica di prezzi, ma un gioco geopolitico di quote di mercato ben definite e da rispettare. Segnale evidente nei confronti dei Paesi Non-Opec, decidendo di non modificare le proprie quote sul mercato di greggio e tenendo sotto controllo il mercato per i prossimi mesi.
Il secondo scenario è quello degli Stati Uniti d’America dove riscontriamo un eccesso di produzione di shale e tight (Oil & Gas). Ma qui i costi lievitano per le tecniche di trivellazioni usate, come il fracking e dove un break-even è molto difficile da raggiungere con un prezzo del greggio così basso.
Non dimentichiamo anche un’importante offerta di greggio a livello mondiale, cresciuta più della domanda già da qualche anno e, le vicende belliche dei territori del Medio Oriente, variabili importanti ed influenti sulle dinamiche internazionali, ma spesso dimenticate.
Il ruolo più importante ed ambiguo e, che resta ancora sotto osservazione è quello dell’Arabia Saudita, anche dopo la scomparsa del sovrano saudita re Adullah bin Abdulaziz, paese membro Opec non sempre d’accordo con le strategie del Cartello di Vienna.
Possiamo dire che l’Opec ha messo in atto una pura e trasparente “strategia geopolitica economica difensiva”, giocando sulle proprie riserve e su quelle degli altri. Era prevedibile, nell’esercizio delle proprie funzioni”.

– Crolleranno ulteriormente i prezzi, e se sì fino a che punto, o ritiene che le quotazioni del greggio abbiano quasi raggiunto il fondo?
Certamente non penso che il petrolio potrà essere regalato, come ho già detto, le quotazioni saliranno, gradualmente ma saliranno. Abbiamo avuto shock petroliferi in passato dove il costo del petrolio è sceso a livelli bassissimi, ma eravamo anche in tempi ed anni diversi.
Il rimbalzo sarà dettato sia dall’industria petrolifera ma anche dal mercato delle contrattazione e dalle politiche che l’Opec annuncerà per giugno nel prossimo meeting. E’ fondamentale una possibile immissione sul mercato di greggio o un stazionamento del livello produttivo. Analisi ben definite e significative potremmo farle solo nei prossimi mesi o meglio dalla seconda metà del 2015.
Un prezzo di stabilizzazione del greggio dovrebbe essere tra 95 e 115 dollari a barile almeno per dare un segnale e poi assestarsi su livelli diversi
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– Cosa ne pensa della dichiarazione che il segretario generale dell’Opec Abdullah al-Badri ha rilasciato a Londra lo scorso 26 gennaio, secondo cui “il petrolio potrebbe arrivare anche a 200 dollari se la mancanza di investimenti darà luogo a una vera carenza di offerta”?
Nel 2009 attraverso una nota stampa di FederPetroli Italia avevamo già dichiarato che “l’unica ricetta da seguire nell’immediato, era il dialogo con l’Opec”, in una situazione di crisi Libica. L’Opec resta il baricentro del petrolio mondiale. Il Cartello è una fonte di regolamentazione del mercato petrolifero internazionale.
La visione che riesce ad avere l’Opec è quella che riguarda l’industria del petrolio nel suo insieme e complessità, non dimenticando che, escluso alcuni paesi, i membri dell’Opec sono le maggiori regioni del Medio Oriente, con alti tassi di presenze di idrocarburi provati ed ancora da sfruttare con tecniche convenzionali.
Il Segretario Generale el-Badri deve assolutamente mantenete in questo momento una posizione di equilibrio, in modo da non scoraggiare gli investimenti e, parlo di ricerca e produzione di idrocarburi, raffinazione, logistica e linee di trasporto generali, mi riferisco a grandi gasdotti ed oleodotti di collegamento internazionale. Le parole di el-Badri sono anche un “balance” dei mercati borsistici. Certo con uno stop degli investimenti potrebbe mancare in futuro la “risorsa prodotto”, e questo potrebbe far lievitare il prezzo del crude oil, ma a mio avviso siamo lontani da questo rischio, almeno che non guardiamo agli Usa dove le criticità sono evidenti”.

– Previsioni sul mercato dello shale oil statunitense? E’ un mercato destinato al fallimento?
Le tecniche di shale sono una rivoluzione dell’industria petrolifera moderna, dove si riesce a sfruttare un giacimento al massimo delle potenzialità, ovviamente dobbiamo essere in presenza di rocce con morfologie indicate al fracking.
Il problema sta nel costo di questo tipo di perforazione che è nettamente superiore alle tecniche di trivellazione convenzionali.
Sarebbe stato un grande errore non ricorrere al fracking per recuperare shale oil e gas però questo crash di Brent e Wti (i riferimenti europei e americani del greggio) non era stato previsto. Risultato: in pochi mesi gli investimenti delle aziende di drilling (perforazioni) sono saltati.
Non reputo che “l’era shale” sia destinata al fallimento, ma ad una massiccia correzione di politica industriale da parte delle compagnie petrolifere. Penso che bisognava usare meno ingordigia petrolifera, se mi passa questo termine. In questo modo gli Stati Uniti avrebbe avuto una graduale perdita economica ma senza arrivare al disastro a cui stiamo assistendo.
Fenomeno che deve far riflettere è la nuova linea del presidente degli Stati Uniti d’America, Obama, nel dar corso a nuove esplorazioni nel Golfo del Messico, dopo anni di restrittive normative, seguite al disastro della British Petroleum (Bp) con Macondo e ad una nuova politica degli Usa nell’esportazione di greggio (anche se ancora non è chiaro quello che il Congresso voterà nelle prossime settimane).
Queste nuove linee di politiche energetiche americane sicuramente sono un pronto soccorso per la delicata situazione dell’industria petrolifera d’oltreoceano”.

– Barile -53% in un anno, benzina -14%. Un altro paradosso solo italiano?
”Paradosso no, ma italiano sì. Intendo dire che la tassazione italiana è famosa in tutto il modo, poi sui carburanti abbiamo il primato.
Non possiamo pensare a diminuzioni di prezzo alle stazioni di servizio o tutta la rete carburanti proporzionate tra costo del barile e carburanti per la vendita finale come benzine e gasoli.
Abbiamo un prezzo del petrolio espresso in dollari, un tasso di scambio monetario che incide notevolmente, la tassazione e accise sul litro di benzina con incidenza di oltre il 50% sul prezzo finale (mercato Italia) e, tante altre variabili che condizionano il prezzo iniziale del greggio sino alla sua raffinazione e trasformazione in prodotto finale quale le benzine.
FederPetroli Italia da alcuni feed-back della rete carburanti negli ultimi mesi evidenzia qualche soddisfazione; anche con poco margine, gli automobilisti italiani sono più contenti di fare il pieno e accennano a qualche sorriso”.

Articolo in media partnership con orizzontenergia