di Riccardo Renzi e Diego Borghi –
L’impiego di un approccio geo-centrato nell’indagine storica è, da tempo, oggetto di discussione tra gli studiosi. Da un lato, esso promette di gettare nuova luce sui legami profondi tra territorio e azione umana; dall’altro, solleva il timore, tutt’altro che infondat, di scivolare in un rigido determinismo geografico. Questa tensione metodologica si manifesta con particolare intensità quando si cerca di applicare le categorie della geopolitica, una disciplina storicamente legata alla politica di potenza, allo studio del mondo antico, e in particolare alla Grecia classica.
Il sospetto nei confronti della geopolitica nasce, in buona parte, dalla sua eredità novecentesca: essa è stata a lungo associata a dottrine espansionistiche e a visioni del mondo orientate alla conquista dello spazio. Tuttavia, a partire dal crollo dell’ordine bipolare nel 1991, la geopolitica ha conosciuto un deciso ritorno sulla scena analitica. Oggi, tutte le grandi potenze ne fanno uso, più o meno esplicito, nella definizione delle proprie strategie. In questo contesto, diventa lecito e metodologicamente proficuo discuterne anche in sede storica, a patto però di farlo con gli strumenti interpretativi adeguati.
La domanda che emerge, allora, è: la geopolitica è intrinsecamente determinista? La risposta non è necessariamente affermativa. Se definita come lo studio dell’influenza della geografia – fisica, ma anche umana e culturale – sulle dinamiche politiche, diplomatiche, economiche e militari, la geopolitica si configura come una chiave di lettura che può coesistere con approcci più flessibili. In particolare, una “nuova geopolitica” può trovare una solida base metodologica se riesce a tenere in equilibrio due tradizioni opposte: da un lato il determinismo ratzeliano e le sue elaborazioni ad opera di Rudolf Kjellen, dall’altro il possibilismo geografico teorizzato da Paul Vidal de la Blache e sostenuto da Lucien Febvre. Quest’ultimo, in particolare, invita a concepire la geografia non come una gabbia, ma come un insieme di condizioni che interagiscono con la volontà umana.
E gli antichi? Possiamo dire che i Greci pensavano “geopoliticamente”? In parte, sì. Non solo il pensiero geografico occidentale affonda le proprie radici nella riflessione ellenica, ma è proprio in quel contesto che vediamo emergere i primi tentativi di correlare ambiente e comportamento politico. A volte ciò avviene in chiave “ambientale”, come nel caso delle speculazioni sulla relazione tra clima e carattere dei popoli; altre volte, invece, il discorso assume un’impronta strategico-economica più marcata, dove la posizione geografica di una polis può determinare le sue vocazioni commerciali, la sua vulnerabilità militare o la sua capacità di proiezione marittima.
Con questa consapevolezza è possibile aprire la riflessione sul Periplo Massaliota, una delle testimonianze più remote della geografia nautica greca, e allo stesso tempo un esempio emblematico della transizione tra oralità e scrittura nella produzione del sapere antico. Questo resoconto di navigazione, originariamente in greco, si presenta come l’archetipo del genere letterario chiamato periplo (dal greco περίπλους, navigazione intorno a), utilizzato per documentare rotte, porti e condizioni marittime, con finalità tanto pratiche quanto conoscitive. L’opera, oggi perduta nella sua forma originale, è ricostruibile in parte grazie al poema geografico latino Ora Maritima di Rufo Festo Avieno, vissuto nel IV secolo d.C.
Il Periplo Massaliota si inserisce nel quadro della talassocrazia esercitata dalla città ionica di Focea (Ionia, attuale costa egea della Turchia) tra il VII e il VI secolo a.C. In questa fase, i Focesi avviarono una dinamica espansione marittima sia commerciale che coloniale, fondando empori e colonie su rotte strategiche del Mediterraneo occidentale. Una delle più importanti fu Massalia (odierna Marsiglia), fondata intorno al 600 a.C. e divenuta metropoli a sua volta dopo la fuga di gran parte della popolazione focese a seguito dell’espansionismo persiano sotto Ciro il Grande.
Il Periplo Massaliota, come suggerisce la denominazione, era un’opera che descriveva la circumnavigazione delle coste occidentali a partire da Massalia. Pur essendo anonimo e privo di un testo completo, il periplo è ricostruibile grazie all’Ora Maritima di Avieno, che riporta, sotto forma poetica, lunghi tratti del probabile originale greco. Si trattava verosimilmente di un diario di bordo o una guida nautica, contenente informazioni su distanze, scali, correnti e venti, ma anche su popolazioni, città e geografia costiera.
Il testo latino conserva toponimi non latinizzati (come Cypsela) e una struttura coerente dell’itinerario, da cui si deduce l’unitarietà e l’antichità della fonte greca. Le rotte documentate partivano da Massalia e giungevano fino a Tartesso, per poi proseguire oltre le Colonne d’Ercole (lo stretto di Gibilterra) lungo le coste atlantiche dell’Europa, fino alla Bretagna e Cornovaglia, le cosiddette terre dello stagno.
Il Periplo Massaliota è il primo documento che attesta con sistematicità la presenza di scambi commerciali tra Europa settentrionale e mondo mediterraneo, nonché l’esistenza di rotte atlantiche frequentate da navigatori greci. Queste rotte consentivano l’approvvigionamento di metalli strategici come stagno, rame, oro e argento, provenienti da regioni ricche come la Bretagna, la Galizia, la Cornovaglia e, soprattutto, la mitica Tartesso.
Tartesso, citata anche da Erodoto e da Aristotele, era una città (e forse anche una regione o un fiume) nella moderna Andalusia, ricca di giacimenti metalliferi. Essa rappresentava una tappa chiave nelle rotte dei metalli e costituiva il primo grande emporio oltre le Colonne d’Ercole. La sua scomparsa e la mancata localizzazione archeologica hanno contribuito alla sua aura leggendaria, ma le fonti convergono nel riconoscerle un ruolo centrale nella rete commerciale antica.
La datazione del Periplo Massaliota è complessa. Lo studioso A. Schulten propose una composizione intorno al 530 a.C., sulla base dell’assenza di menzione di alcune colonie massaliote posteriori (come Emporion) e in riferimento a eventi storici come la battaglia di Alalia (537 a.C.) e il trattato romano-cartaginese (509 a.C.). L’opera sarebbe dunque coeva o di poco successiva alla massima espansione della talassocrazia focese, ma anteriore alla piena affermazione di Cartagine come potenza marittima.
Il Periplo Massaliota aprì la strada a ulteriori esplorazioni, tra cui quelle di Pitea di Massalia (verso nord, fino al Baltico) e di Eutimene (verso sud, lungo le coste africane). Pitea in particolare è considerato un geografo scienziato per aver introdotto una misurazione astronomica delle latitudini, anticipando la geografia matematica sviluppata più tardi da Eratostene.
Eratostene, nel suo sistema cartografico, elaborò una rete di meridiani e paralleli fondata sulle osservazioni di Pitea, e collocò le Colonne d’Ercole (Calpe e Abyle) lungo l’eutheia, una linea retta da Occidente a Oriente che divideva l’ecumene in due metà simmetriche. Questo approccio, pur criticato da Artemidoro di Efeso per l’eccessivo astrattismo, costituì un passo decisivo verso la rappresentazione scientifica del mondo abitato.
I Greci concepivano due grandi categorie di mari: il mare interno (il Mediterraneo) e il mare esterno (l’Oceano), quest’ultimo pensato come un fiume fluviale che circondava l’ecumene. L’Oceano, divinità fluviale figlio di Urano e Gea, era personificato come un Titano, e nella cosmografia greca rappresentava la frontiera ultima dell’esplorazione.
Rufo Avieno, nel suo poema, riflette questa concezione, distinguendo il mare nostrum (il Mediterraneo) dal gurgite Hesperii (l’Atlantico), e ricorrendo a immagini mitiche (come Atlante, le Colonne d’Ercole, Tartesso) per definire lo spazio geografico dell’estremo Occidente. L’Ora Maritima non è quindi solo fonte geografica, ma anche documento di una mentalità ancora permeata di mitologia e simbolismo.
Il Periplo Massaliota, pur nella frammentarietà della sua trasmissione, rappresenta un nodo fondativo nella storia della geografia e della conoscenza nautica dell’Occidente. Esso testimonia un momento cruciale della transizione da un sapere empirico e orale a una registrazione scritta e sistematica dell’esperienza marittima, precorrendo la geografia scientifica ellenistica.
Tale tradizione storiografica deve, però, esser rivista alla luce di ritrovamenti di cultura materiale in situ (vasellame principalmente), risalenti almeno al 600 a.C. Anche un’attenta analisi filologica dei vv. 519-550 del poema geografico presenta non la conferma che lo Schulten dava alla sua tesi, bensì una revisione: quelle che l’archeologo tedesco prendeva come incongruenze a suo favore, nel testo latino sono tali solo a prima vista e dal raffronto tra il poema e la topografia emergono alcuni dati incontrovertibili.
Avieno scrive:
… Inde Tarraco oppidum
Et Barcilonum amoena sedes ditium,
Nam pandit illic tuta portus brachia,
Uvetque semper dulcibus tellus aquis.
Post Indigetes asperi se proferunt.
Gens ista dura, gens ferox venatibus,
Lustrisque inhaerens. Tum iugum Celebandicuin
In usque salsam dorsa porrigit Thetim.
Hic adstitisse civitatem Cypselam
iam fama tantum est, nulla nam vestigia
Prioris urbis asperum servat solum.
Dehiscit illic maximo portus sinu,
Cavumque. late caespitem inrepit salum;
Post quae recumbit litus indiceticum
Pyrenae ad usque prominentis verticem.
Post litus illud, quod iacere diximus
Tractu supino, se Malodes exerit
Mons; inter undas turnent sco(puli duo?)
Geminusque vertex celsa nubium petit.
Hos inter autem portus effuse iacet,
Nullisque flabris aequor est obnoxium.
Sic omne late, praelocatis rupibus,
Latus ambiere cautium cacumina,
Interque saxa immobilis gurges latet,
Quiescit aequor, pelagus inclusum stupet.
Stagnum, inde, Toni montium in radicibus,
Tononitaeque attollitur rupis iugum,
Per quae sonorus volvit aequor spumeun,
Anystus amnis et salum fluctu secat.
Haec propter undas atque salsa sunt freta.
(vv. 519-550)
… C’è poi la città fortificata diTarragona
E l’amena sede dei ricchi Barciloni;
Lì il porto protende i suoi bracci sicuri
E la terra sempre è bagnata da acque dolci.
Dopo si trovano gli aspri Indigeti,
popolo questo duro, popolo feroce nelle cacce,
abitante in caverne. Quindi il giogo Celebandico
spinge il dorso fin nel mare salato (sineddoche).
Che qui ci fosse la città di Cypsela
Ormai è solo una notizia, nessuna vestigia
Della città vecchia infatti l’aspro suolo.
Da lì si apre un porto in un vasto golfo,
e il mare penetra assai in fondo all’insenatura;
dopo questa prosegue basso il lido indigetico,
fino al vertice dei prominenti Pirenei.
Dopo quel lido, che abbiamo detto estendersi
Per un tratto in pendio, si innalza il monte
Malode: tra le onde si innalzano due scogli
E il vertice gemello si protende verso l’’alto.
Tra questi si trova un ampio porto,
e la distesa non è soggetta ad alcun vento.
Costì per tuta l’ampiezza, poste davanti delle rupi,
le sommità degli scogli circondano la distesa
e tra le rocce il gorgo immobile giace,
resta quieta la superficie, il mare, chiuso, si calma.
Quindi alle falde dei monti c’è lo stagno di Tono,
e si erge la punta della rupe di Tononito.
Attraverso essa sonoro fa scorrere il corso spumeggiante
Il fiume Anistro e taglia col flusso il mare.
A fronte di una prima e veloce lettura che evidenzierebbe l’assenza di Emprion nell’itinerario tra i Pirenei e l’attuale Costa Brava, una seconda e più attenta analisi del passo poetico non presenta le iniziali incongruenze. Notando la figura retorica dell’’hysteron proteron, i due vertices appaiono menzionati geograficamente al contrario rispetto al navigante proveniente da Massalia: Avieno cita per primo il secondo (geograficamente a sud e più lontano, cioè lo iugum Celebandicum), quindi il primo (più a nord e più vicino, cioè il mons Malodes). Fatta questa precisazione, rileviamo che in questo tratto di costa vi sia una città, Cypsela, definita urbs prior: Questo termine deve far supporre la contrapposizione ad una urbs posterior, cioè, in greco, una neapolis. Cypsela, pertanto, è il nome di una paleapolis, che per il suo sviluppo urbanistico venne in seguito e definitivamente “contrapposta” alla nuova entità. E qui appare Emporion.
Se l’eziologia di quest’ultimo toponimo deve rappresentare una definizione ex eventu – poiché è difficile immaginare che i fondatori avessero pronosticato ab origine, questo nomen omen -, sono quei ritrovamenti archeologici che motivano questa conclusione: il nucleo originario del centro urbano, sull’’isolotto antistante la costa, si colloca a ridosso dell’epoca della fondazione della stessa Massalia, risultando addirittura anteriore. Emporion, tuttavia, come le fonti tradizionalmente e concordemente attestano, era ubicata sulla zona continentale, inoltre ne attribuivano la maternità ai massalioti. Questa che sembra un’incongruenza che lascerebbe campo all’’argomentazione di Schulten si spiega accertando due fasi di espansione della colonia: la prima avvenne per diretta fondazione dei focesi, i quali seguirono i Rodii nella creazione della limitrofa Rhoden – VIII sec. a.C. -, dato che i reperti di cultura materiale più antichi presentano lo stesso parallelismo di antichità; in una seconda fase, a seguito dell’espansionismo massaliota e dell’esodo focese, la metropoli del Rodano provvide direttamente a potenziare quel punto di commercio, creando un emporio, a ridosso del vicino oppidum celtiberico. In questo secondo momento la paleapolis venne di fatto abbandonata, almeno nella toponomastica, e la neapolis ebbe il suo definitivo nome, Emporion.
Alla luce di questi elementi, l’ipotesi dello Schulten per la datazione del Periplo, come principale fonte dell’Ora Maritima, sganciata dalla fondazione di Emporion, perde di credibilità. Esso, ammettendo si tratti un’unica fonte e non della collezione di resoconti e informazioni eterogenee, deve retrodatato, almeno all’inizio del VI sec. a.C., «di pochi anni forse posteriore alla fondazione di Marsiglia, della cui esperienza marinara rappresenterebbe appunto la prima codificazione sistematica».
In un testo di fatto a noi perduto, per concludere, si scopre un mondo altrettanto perduto: come esso riaffiora tra le righe di un poema di cui fu fonte e archetipo, così nella geografia moderna vi sono quegli stessi elementi che osservava e annotava il navigatore di 2500 anni fa, identici non solo nell’orografia, ma spesso anche nella toponomastica. Ed il segreto di tante scoperte sta, sovente, nel sapere scovare (o, archeologicamente, scavare) quegli indizi che permettono la ricostruzione del mosaico più ampio, come è per il Periplo Massaliota.