“La Giovine Italia”: il periodico mazziniano che incendiò il popolo italiano oppresso

di Yari Lepre Marrani

Ripercorrere le tappe risorgimentali che hanno condotto all’Unità e all’Indipendenza italiane significa percorrere un arco storico la cui genesi resta tutt’ora incerta ma le cui tappe politiche, propagandistiche e patriottiche sono incise nel grande libro della Storia italiana come monumenti d’imperitura e vitale memoria. Molte le menti attive che in quel periodo di oppressione austriaca lavorarono per far evolvere in un popolo italiano sottomesso, le idee di libertà che, maturandosi progressivamente, crearono uno Stato unitario. E tra queste menti di idealisti e patrioti che, nascosti o in trincea, lavorarono per il grande scopo dell’Italia unita, Giuseppe Mazzini occupa un posto a sé, perché l’agitatore genovese fu quell’apostolo della libertà italiana che maggiormente seppe lavorare in segretezza, nei duri esili, nella miseria e nella lotta per diffondere quegli ideali di emancipazione culturale prima che sociale, ideali atti a risvegliare un popolo oppresso. Protagonista vitale della Carboneria, Mazzini andò oltre quest’ultima di cui criticò sempre l’astrattezza programmatica, il vuoto simbolismo di idee e riti, creando nei primi Anni ’30 dell’800 una grande novità politica che sarebbe diventata un validissimo veicolo di diffusione delle idee risorgimentali. Parliamo dell’associazione Giovine Italia, creata da Mazzini per “superare” la Carboneria con un’originale programma di azione e reazione che si rivelò se non decisivo sicuramente efficace come strumento di risveglio civile, sociale.
La Giovine Italia fu un’associazione politica insurrezionale fondata da Giuseppe Mazzini a Marsiglia nel 1831 con l’obiettivo di rendere l’Italia una nazione una, indipendente e repubblicana. A differenza della Carboneria, mirava a coinvolgere un numero maggiore di persone, inclusi i ceti popolari, attraverso la propaganda e l’educazione, promuovendo l’insurrezione armata per ottenere l’indipendenza dallo straniero. L’associazione, che pubblicava un periodico omonimo, fu sciolta da Mazzini nel 1848 per fondare l’Associazione Nazionale Italiana. La Giovine Italia si sciolse, ma la diffusione dell’omonimo periodico ebbe effetti notevoli che occorre riportare alla luce anche per comprendere l’enorme potere della propaganda politica, sempre valido in ogni tempo, anche nel nostro.
La propaganda è quella spinta propulsiva intesa a conquistare il favore o l’adesione di un pubblico sempre più vasto mediante ogni mezzo idoneo a influire sulla psicologia collettiva e sul comportamento delle masse. E fu quanto fece il periodico La Giovine Italia, infiammato divulgatore di idee libertarie.
Il periodico politico Giovine Italia fu fondato da Giuseppe Mazzini per diffondere quelle idee di indipendenza e unità nazionali propugnate dall’omonima Associazione mazziniana. Annunciata con manifesto nel novembre 1831(anno della fondazione dell’associazione), il periodico uscì a Marsiglia il 18 marzo 1832, il primo e secondo fascicolo contemporaneamente, dalla stamperia Dufort diretta dal nizzardo Giulio Barile. Erano densi quaderni che dovevano contenere, a detta del fondatore, “una serie di scritti attorno alla condizione politica, morale e letteraria dell’Italia, tendenti alla sua rigenerazione”. Sul frontespizio, spiccava il virgiliano “Italiam! Italiam!”, seguito dalle ardimentose parole del Foscolo: “Ma voi, che solitari o perseguitati su le antiche sciagure della nostra patria fremete, perché non raccontate alla posterità i nostri mali? Alzate la voce in nome di tutti e dite al mondo che siamo sfortunati ma né ciechi né vili… scrivete… perseguitate con la verità i vostri persecutori”. Conformemente al precetto foscoliano, Mazzini, con foga appassionata, prometteva: “Noi nuderemo le nostre ferite: mostreremo allo straniero di qual sangue grondi quella pace alla quale ci sacrificarono le codardie diplomatiche; diremo gli obblighi che correvano al popolo verso di noi, e gli inganni che ci àn posto in fondo: trarremo dalle carceri e dalle tenebre del dispotismo i documenti della nostra condizione, delle nostre passioni e delle nostre virtù: scenderemo nelle fosse riempite dalle ossa dei nostri martiri e scompiglieremo quelle ossa, ed evocheremo quei grandi sconosciuti ponendoli davanti alle nazioni come testimoni muti dei nostri infortuni, della nostra costanza e della loro colpevole indifferenza… E diremo ai popoli: queste sono le anime che voi avete trafficate finora: questa è la terra che avete condannata alla solitudine e all’eternità del servaggio!”.
Posto al bando da tutti i governi italiani, malgrado la rigorosa sorveglianza ai confini, il periodico mazziniano penetrava progressivamente in tutta la penisola per opera del contrabbando politico e diffondeva in ogni ceto sociale i principi del dovere e della morale fondata sul sacrificio. Il rinvenimento di una copia della La Giovine Italia recava come conseguenza, specialmente nei domini austriaci e negli Stati sardi, arresti, processi e severissime condanne.
Oltre al Mazzini, che vi stampò alcune delle sue cose più significative, collaborarono all’incendiario periodico il fiore dell’intelligenza e del patriottismo italiano dell’epoca: Pietro Giannone, Vincenzo Gioberti, Paolo Pallia, Tiberio Borgia, Giovanni La Cecilia, Giuseppe Gherardi, lo storico svizzero Sismondi, Filippo Buonarroti, Gustavo Modena, l’abate Francesco Bonardi, Carlo Pepoli, Jacopo Ruffini, il Guerrazzi, Alberto Bono.
Il programma del La Giovine Italia trascendeva le determinazioni politiche particolari per restare soprattutto italiano. Infatti, subito dopo la sua costituzione, il Mazzini scriverà allo storico Sismondi: “Mi adatterei alla monarchia se un re del Piemonte o di Napoli, per esempio, ci desse a questo prezzo un nucleo di eserciti o di arsenali. Io voglio l’indipendenza e perciò tengo alla forza più che alla libertà; ma accetterei anche la libertà senza la forza, se ce la dessero, perché l’una sarebbe un gran mezzo per acquistare più tardi l’altra e sapercene servire”.
L’espulsione del Mazzini dalla Francia, i sequestri dei fascicoli e le persecuzioni ai rivenditori e ai lettori, la mancanza di fondi ecc., determinarono la morte del periodico il cui ultimo fascicolo, il sesto, uscì nel luglio del 1834. La collezione del Giovine Italia è rarissima; una ristampa integrale di essa è stata curata da Mario Menghini (Roma, 1902 – 1925).