a cura di Giuliano Bifolchi –
La Russia ha riottenuto negli ultimi anni quel ruolo di primo piano nel panorama internazionale che era in passato dell’Unione Sovietica, riuscendo a far valere tutto il suo peso politico, economico e militare. Partendo dalla Crisi ucraina ed arrivando alla guerra civile siriana, la Federazione Russa si è contrapposta e scontrata spesso con l’occidente fino a subire le sanzioni dell’Unione Europea per l’annessione della Crimea e per quelle azioni giudicate “illegali” in Ucraina; elementi che hanno portato i media e gli esperti a riesumare il termine “Guerra Fredda” per descrivere questo clima di sospetti ed inimicizia tra Mosca, Washington e Bruxelles. È la Russia un nemico da temere, che minaccia le nostre libertà ed il nostro sviluppo? L’espansione russa a livello economico e politico si avvale anche anche la promozione culturale? Per rispondere a queste domande abbiamo incontrato Oleg Osipov, direttore del Centro russo di Scienza e Cultura a Roma, ed in passato corrispondente all’estero per l’agenzia ITAR-TASS.
– Direttore Osipov, può dirci quali furono le motivazioni che spinsero all’apertura del Centro russo di Scienza e Cultura e quali le attività che lo contraddistinguono?
“La ringrazio per la domanda a cui non sempre sono state fornite risposte: perché in Italia fino al 2011 non è esistito un Centro culturale russo? Una “Casa russa” statale non esisteva nella Penisola ne’ sotto gli zar ne’ durante l’era sovietica. E questo è molto strano visti gli stretti legami culturali che ricorrono tra i due paesi. Tuttavia, molto probabilmente, Italia e Russia essendo amici non avevano bisogno di una struttura formale ed ufficiale.
Occorre dire che sia a Roma che in altre città dell’Italia esistono diversi centri di attrazione del pensiero russo: nel XIX secolo aristocratici e scrittori russi si recavano di sovente a Villa Wolkonskiy nella Città Eterna, nel 1902 fu aperta una Sala di Lettura tributata a Nikolay Gogol dal nome Biblioteka-Chital’nya imeni Gogolya ed in generale a Merano, Firenze, Napoli e alter città esistevano centri spirituali ed educativi russi.
L’accordo ufficiale tra il governo della Federazione Russa e il governo della Repubblica Italiana in merito alla costituzione ed alle attività del Centro russo di Scienza e Cultura (CRSC) di Roma e l’Istituto Italiano di Cultura (IIC) di Mosca è stato firmato nella capitale russa il 30 novembre 1998 dal ministro degli Affari esteri russo Igor Ivanov e dal ministro degli Affari esteri italiano Lamberto Dini.
All’epoca lavoravo come corrispondente diplomatico per la ITAR-TASS a Mosca e trasmisi le informazioni in merito alla firma dell’accordo tra i ministri alla mia agenzia. Chi avrebbe immaginato nel 1998 e successivamente, nel 2010, che avrei avuto l’onore di attuare tale accordo e aprire un centro culturale russo a Roma?
È ovvio quale sia stata la motivazione della firma di questo accordo e dell’apertura di centri culturali: la necessità di migliorare le relazioni russo-italiane a livello di governo nel campo della cultura, dell’educazione e della scienza.
Il CRSC a Roma e l’IIC in Russia non rappresentano un monopolio nella cooperazione culturale tra i due paesi (senza il supporto dei due centri ogni anno vengono lo stesso organizzati in Russia e viceversa in Italia concerti di musica italiana o russa, mostre, presentazioni, etc). Ma abbiamo alcuni problemi sulla formazione di un’immagine della Russia distorta in Italia e quindi la necessità di contrastare quegli stereotipi imposti dai nemici”.
– Recentemente il Centro russo ha festeggiato i cinque anni di attività. Ripercorrendo brevemente il suo percorso storico, potrebbe dire quali secondo Lei sono stati i traguardi raggiunti nella promozione della cultura russa in Italia e nello sviluppo delle relazioni italo-russe?
È stato molto interessante vedere come in questi ultimi cinque anni – anno dopo anno – l’atteggiamento verso di noi sia cambiato. Quando il CRSC aveva appena aperto, nessuno sapeva di noi e venivamo confusi con altre associazioni di cooperazione culturale. Ma questo era normale visto che, come tutte le cose nuove, non si è tenuti a conoscerle immediatamente. Nel corso del tempo è divenuta “abitudine” vedere il nostro attivismo e quello che stavamo facendo: sono giunte lodi, critiche, consigli, primo e vero segnale del fatto di essere stati notati.
Oggigiorno abbiamo contatti in diversi settori e livelli: municipi di città, università, scuole, teatri di tutta Italia, associazioni di amicizia Italia-Russia (tra cui le associazioni ex URSS-Italia), organizzazioni di compatrioti russi, ambasciate straniere, aziende commerciali, banche.
Le persone si rivolgono a noi con richieste di trovare partner in Italia, persone fisiche e giuridiche dalla Russia: artisti, giornalisti, imprenditori, musei, fondazioni, comuni, università. Cerchiamo di aiutare in qualsiasi modo possiamo e condividere tutte le informazioni raccolte a sostegno di queste attività.
Lavoriamo per favorire l’avvicinamento tra municipalità russe ed italiane aiutandole a concludere accordi di gemellaggio. Ogni anno inviamo i giovani italiani a studiare nelle università russe ed i figli dei compatrioti russi in Italia a conoscere i luoghi interessanti della loro patria storica”.
– Considerando anche gli eventi geopolitici che hanno interessato la Federazione Russa ed i rapporti con l’occidente, ed in special modo con l’Italia, Lei crede che le sanzioni ed il recente clima da “Guerra Fredda” tra Bruxelles ed il Cremlino abbiano influito anche sull’operato e sulla fiducia verso il Centro russo? Percepisce in Italia una diffidenza o paura verso la Russia e tutto quello che la riguarda?
“Sulle attività del CRSC le sanzioni economiche imposte dall’occidente alla Russia non hanno avuto effetto. In molti casi, coloro che sono solidali verso la Russia si sono apertamente pentiti delle decisioni prese da Bruxelles ed oltremare, che si sono rivelate dannose, controproduttive e motivate politicamente.
So personalmente di imprenditori italiani, in particolare nel settore del turismo, che hanno avuto perdite finanziarie dirette a seguito della politica delle sanzioni dell’occidente. Di conseguenza le barriere economiche colpiscono maggiormente e più duramente le imprese straniere che la Russia. E questa è pura politica. La Russia di oggi non è l’Unione Sovietica frammentata degli anni ’90, perché ci siamo rialzati e abbiamo continuato a svilupparci, ma non a discapito degli stati vicini e con fare minaccioso.
Le sanzioni introdotte contro di noi sono degli strumenti che si possono collegare all’epoca della “Guerra Fredda” e rappresentano un vano tentativo di esercitare pressioni. Tentativo che del resto non ha funzionato: attraverso i divieti e le sanzioni l’economia russa ha acquisito slancio per lo sviluppo”.
– Prima delle sanzioni la Russia per l’Italia era un partner commerciale di primo livello, ma, a seguito della crisi ucraina, nel 2015 il valore delle esportazioni italiane verso il Suo paese è calato di ben 3,7 miliardi di euro rispetto al 2013. Secondo Lei esistono ancora dei margini di miglioramento e ripresa dei rapporti italo-russi a livello commerciale oppure il clima che si è andato ad instaurare rischia di affliggere maggiormente il mondo del commercio e dell’economia tra Italia e Russia? Ed in che modo l’operato del Centro potrebbe favorire il superamento di questa situazione di stallo?
“Senza interferenze nelle imprese e nel loro modo di stabilire e sviluppare i contatti il fatturato crescerà di per sé. Le economie dei nostri due paesi, infatti, si completano in molti modi a vicenda e questo rappresenta un potenziale di crescita enorme.
Le attività del CRSC sono incentrate sul favorire la visione della Russia come un paese amico e partner. Questo lavoro, però, non ha risultati immediati, il suo risultato si manifesterà negli anni a seguire.
Per decenni la Russia è stata diffamata a causa della paura di quanto possa essere potente un concorrente onesto e quindi sono stati utilizzati tutti i mezzi disponibili in tale diffamazione, compresi quelli discutibili dal punto di vista morale.
Contro di noi esiste una guerra ideologica che è stata condotta per molto tempo ed ha dato risultati negativi. Coloro che l’hanno ideata sono malati di questa guerra ideologica. Attualmente noi russi stiamo applicando il “soft power”, invenzione dell’occidente a cui tutti erano predisposti fino a quando la Russia non lo possedeva. Non appena la Russia ha iniziato ad influenzare il mondo intorno a lei con questa “arma”, tutti hanno cominciato a gridare efficacemente “I russi stanno venendo”.
La denuncia dei tentativi di alcuni governi di ostruire il lavoro del canale televisivo russo RT, di altri media ed anche del Rossotrudnichestvo sono la prova dell’efficacia del nostro lavoro. Nel 2016 la Russia per la prima volta è entrata nella lista dei 30 paesi più influenti per quel che concerne il “soft power”. Questi sono i risultati di una ricerca condotta dell’agenzia britannica di PR Portland. Per “soft power” si intende l’abilità di influenzare gli altri stati non con i soldi o con le armi, ma con la cultura ed i valori della società civile”.
– Recentemente Strasburgo ha approvato una risoluzione in cui accusa il Cremlino di utilizzare think tank, centri di cultura, agenzie di stampa multilingue e social media per promuovere la propria politica all’estero contrastando quella dell’Unione Europea. Come risponde Lei a tali accuse essendo il direttore di un Centro russo?
“Una dichiarazione così senza senso, non mi aspettavo di vederla da parte di questa organizzazione. Sono caduti così in basso a livello professionale i funzionari di Strasburgo? Accusando i media russi ed il Rossotrudnichestvo di attività sovversive, questi funzionari equiparano automaticamente i loro mezzi ai centri sovversivi ed allo stesso tempo accusano anche la rete di organizzazioni ed istituti come Goethe Institute, Institut Français, British Council, Istituto Cervantes, Istituti Italiano di Cultura e simili.
Da quanto io sappia a promuovere tale documento sono stati i nuovi membri provenienti dall’Europa orientale mentre i rappresentanti italiani al Parlamento europeo hanno votato contro. Una volta che questa “accusa” a nostro carico è stata promossa, Strasburgo è divenuto un organismo da temere per la sua capacità di monopolizzare le menti altrui. In precedenza queste dichiarazioni non esistevano, ma poi con il tempo a Strasburgo si sono sentiti a proprio agio con esse”.
– In passato Lei ha lavorato come giornalista, ed annovera l’attività di corrispondete diplomatico per l’Agenzia TASS. Come definirebbe, quindi, il panorama dei media e dell’informazione in Italia ed in generale in Europa?
“Ho lavorato come corrispondete diplomatico di ITAR-TASS per alcuni mesi a Mosca nel 1998 e come corrispondente all’estero dell’agenzia per quasi 18 anni in Zimbabwe, Costa d’Avorio e Italia (a Roma per sette anni). Al Dipartimento internazionale della Facoltà di Giornalismo ho studiato la stampa di Gran Bretagna e Stati Uniti. Dalla nascita a 8 anni ho vissuto con i miei genitori, anche loro giornalisti a Nuova Delhi e Londra.
Confrontando i media di lingua inglese, francese e italiana, posso dire che questi sono tre mondi e scuole di report giornalistici diverse. È possibile approfondire i loro diversi modi di presentare il materiale e le loro somiglianze, analizzare le caratteristiche semantiche di metafore e riferimenti alla Bibbia. Esiste un odio patologico nei confronti delle edizioni russe. Loro non scrivono mai di un evento positivo che è avvenuto in Russia ed esiste una ristrettezza dei media a tal punto da menzionare a denti stretti i nostri successi. In Russia invece c’è una cura particolare per i media stranieri.
Un esempio tipico è la campagna di PR internazionale pianificata contro la Russia e l’organizzazione dei Giochi olimpici di Sochi 2014. Il nostro paese è stato quello che ha lavorato meglio in tutta la storia delle competizioni sportive, sono state investite enormi risorse finanziare e mentali. Chiunque abbia visitato Sochi era felice dell’organizzazione della competizione e degli eventi che la accompagnavano. E molti media stranieri hanno preferito parlare soltanto delle “lacune negli hotel” e dell’“inospitalità degli abitanti di Sochi”.