di Tommaso Conte –
La Serbia, o meglio lo spazio etnico proprio dei serbi, è ora più che mai un’area particolarmente calda nel contesto strategico europeo. La Serbia è attualmente uno dei pochissimi stati europei non allineati con il blocco militare a conduzione occidentale. Il legame storico, strategico e culturale che lega Belgrado alla Russia non è mai venuto meno. Gli anni 1990 e 2000 hanno visto ridurre di molto l’estensione di controllo statale e di influenza serba: nel 1995 infatti la Jugoslavia Federale si limitava a comprendere Serbia e Montenegro e nel 2009, anche il Kosovo attuava unilateralmente la secessione. Incastonata in uno spazio strategico caratterizzato da ex-nemici o paesi NATO, la Serbia non può e non vuole rinunciare alla sua storica amicizia con Mosca.
Lo spazio etnico che occupa il popolo serbo è ben più esteso rispetto a quello della Serbia: proprio come accadeva ad altri popoli ex-jugoslavi, migliaia di serbi vivevano e vivono in regioni comprese in altri stati oggi indipendenti. Bosnia-Erzegovina, Croazia e l’autoproclamata repubblica kosovara sono gli stati che ospitano la maggior parte delle popolazioni serbe d’oltre-Drina. Le politiche di Belgrado riguardo l’inclusione dell’elemento etnico nei confini di uno stato serbo sono state diverse e determinate da questioni nazionali, militari e real-politik. I leader nazionalisti e la JNA hanno cercato più o meno realisticamente di assicurare una continuità statale alla compagine etnica serba, distribuita su quasi tutto il territorio jugoslavo. Tentando di attuare piani strategici al fine di ritagliare una più o meno estesa “Grande Serbia”, Belgrado cercava fino all’ultimo di giocare la “carta jugoslava” contro i separatisti, apponendo una ormai poco credibile ragione di diritto comune federale contro le realtà scissioniste. Questa politica proseguì fino alla morte della Jugoslavia socialista, avvenuta nel 1992. Lo stesso anno, Milošević dava vita alla Federazione Jugoslava che, più o meno direttamente, aiutava i piccoli stati fratelli della Krajina e della Republika Srpska, entità serbe autoproclamatesi in Croazia e Bosnia che speravano in un ricongiungimento con la madre-patria. Gli accordi di Dayton vedevano sfumare i sogni di una costituzione di una “Grande Serbia”: La Srpska sopravvisse allo scontro militare perdendo parte dei suoi territori ed acquisendone altri, mentre il piccolo stato della Krajina veniva annientato. Oggi le aspirazioni riguardo una qualsivoglia risorta “unione serba” possono essere attuate nei soli territori di Kosovo, Montenegro e Bosnia. Oltre ai gravi problemi politici interni alla Serbia, la società serba considera cruciale la questione etnica che è ovviamente una potente arma politica eteronomica. Lo svolgersi di un conflitto continentale come quello attuale, presenterebbe anche problematiche ideologiche, filosofiche e morali oltre che etniche e militari: la società serba infatti incarna valori e ideologie opposte rispetto a quelle proprie dell’occidente. Bisogna ricordare che i serbi hanno sempre creduto di incarnare un’essenza ribelle, giusta, dominante nel senso sano del termine. Un vero e proprio “Davide” che si scaglia contro i giganti che lo circondano: i serbi sono quelli che ottengono “vittorie celesti” venendo sconfitti in battaglia. Anche tra le frange estremiste della politica serba c’è spazio per diverse ideologie quali vetero-comunismo, anarchia, fascismo, ideologia cetnica, nazionalismo. Questa molteplicità di voci anti-occidentali, è assente in realtà come quella croata. Questi filoni ideologici avversano l’occidente e l’atlantismo, rei di aver smembrato l’unità etnica serba. Le chiese ortodosse hanno anch’esse un grande impatto sulle società dell’Europa centro-orientale poiché si lasciano credere detentrici di valori tradizionali ormai morti nel mondo occidentale. Spesso ambienti legati a movimenti religiosi est-europei promuovono una lotta contro ciò che ritengono di matrice liberale, propagandando una deprecabile resistenza anche verso campagne di vaccinazione o misure di contenimento settico. E’ arduo prevedere i risvolti geopolitici dell’enclave serba nel quadro di un conflitto allargato. Sotto un punto di vista militare, la Serbia è certamente rilevante, potendo contare sui resti dell’apparato bellico jugoslavo.
Strategicamente parlando, i confini terrestri serbi sono quasi completamente circondati da paesi NATO, fatta eccezione per Bosnia e Kossovo. I rapporti di cooperazione militare tra Belgrado e Mosca sono sempre più stretti, ed il Cremlino si è sempre erto a difensore della causa serba in Kosovo, mantenendo per anni un contingente nel quadro della missione KFOR. Foreing fighters serbi sono attualmente impegnati nel Donbass. Nel contesto politico e strategico attuale, è naturale che Belgrado sviluppi una particolare simpatia per la politica BRICS: effettivamente l’atteggiamento di opposizione verso le politiche dell’occidente tipico di questo apparato in piena espansione è particolarmente allettante per la Serbia, da sempre grande alleata della Russia e della Cina. Anche il presidente della Srpska promuove una politica favorevole all’ingresso della Bosnia nei BRICS.