di Giuseppe Gagliano –
Un’inchiesta pubblicata dal magazine Jeune Afrique e realizzata dal giornalista Yves Plumet Bobo ha rivelato una pratica inquietante e poco nota: il reclutamento di giovani africani da parte della Russia e della milizia Wagner per combattere in Ucraina. Questa indagine, condotta con rigore e supportata da testimonianze, documenti e video, espone un sistema ben organizzato che coinvolge carceri africane, contratti firmati sotto coercizione e la complicità di alcuni governi locali.
L’indagine è iniziata quando tre soldati camerunensi, impegnati nel conflitto ucraino per conto della Russia, hanno contattato le loro famiglie e alcuni giornalisti, denunciando condizioni disumane e un totale abbandono sul fronte. Dopo un primo articolo introduttivo, la redazione di Jeune Afrique ha deciso di approfondire il fenomeno, scoprendo una realtà molto più vasta di quanto inizialmente previsto.
Un caso simbolico è quello di Alain (nome di fantasia), un giovane centrafricano arrestato per un banale furto di moto e incarcerato. Durante la detenzione, Alain è stato avvicinato da un uomo russo che, con il supporto delle autorità locali, gli ha offerto una scelta: firmare un contratto per una presunta società di “guardiania” o rimanere in carcere. Il contratto, redatto in russo e incomprensibile per Alain, si è poi rivelato un accordo vincolante con la milizia Wagner.
Dopo la firma, Alain e altri detenuti sono stati trasferiti in Russia con un passaggio attraverso Dubai. Durante il viaggio, i detenuti sono stati trattati come prigionieri, incatenati e sorvegliati da personale russo. Arrivati in Russia, sono stati obbligati a firmare un secondo contratto, ancora più restrittivo, che li vincolava alla milizia Wagner senza possibilità di recesso.
Una volta inquadrati, questi giovani africani sono stati inviati direttamente al fronte in Ucraina, spesso senza alcuna formazione militare. Il loro compito principale è fungere da “esche” o esploratori, inviati in prima linea per individuare le posizioni nemiche. Questo ruolo li espone a un altissimo rischio di morte, tanto che vengono definiti “carne da cannone”.
Alain ha raccontato episodi drammatici: i bombardamenti gli causavano sanguinamenti alle orecchie e il terrore pervadeva ogni momento al fronte. Quando ha cercato di disertare, ha visto un video di propaganda in cui venivano mostrate brutali esecuzioni di altri combattenti che avevano tentato la fuga. Questo sistema di intimidazione rende quasi impossibile abbandonare la milizia Wagner.
Nonostante i rischi, alcuni africani sono riusciti a disertare. Alain, ad esempio, è fuggito durante una missione di ricognizione, attraversando il confine con la Lettonia. Qui ha trovato rifugio, ma le sue testimonianze confermano che i giovani africani vengono sfruttati senza scrupoli. Molti di loro muoiono, rimangono feriti o scompaiono, e le stime indicano già centinaia di vittime.
L’inchiesta ha rivelato che alcuni governi africani sono consapevoli di questi reclutamenti. Secondo Alain, il suo paese aveva firmato accordi con la Russia che permettevano tali pratiche. Questo aspetto solleva gravi interrogativi etici e politici, dato che le autorità locali sembrano disposte a collaborare pur di liberarsi di detenuti o giovani problematici.
La Russia promuove la sua presenza in Africa come un’alternativa “amica” alle potenze occidentali, presentandosi come un liberatore contro il colonialismo e lo sfruttamento. Tuttavia, il reclutamento forzato di giovani africani per combattere in Ucraina rivela una realtà opposta: la Russia utilizza questi giovani come strumenti sacrificabili in un conflitto lontano, senza rispetto per le loro vite.
La pubblicazione dell’inchiesta ha suscitato diverse reazioni. Nei paesi africani, molti cittadini hanno espresso rabbia e indignazione sui social media, denunciando il doppio standard russo. Tuttavia, la propaganda filorussa ha cercato di minimizzare, paragonando il reclutamento di africani a quello dei tirailleurs sénégalais da parte della Francia durante le due guerre mondiali.
Questo paragone è stato criticato da esperti e osservatori, poiché i tirailleurs erano veri soldati, integrati nei reggimenti francesi e riconosciuti come parte dell’esercito. Al contrario, i giovani africani reclutati dalla Wagner sono trattati come pedine sacrificabili, senza formazione o diritti.
Nonostante la portata dello scandalo, la risposta dei media occidentali è stata limitata. Alcune testate come Radio France Internationale e al-Jazeera hanno coperto la notizia, ma mancano reazioni significative da parte di media anglosassoni o istituzioni internazionali. Questo silenzio rappresenta un’opportunità mancata per utilizzare queste rivelazioni nella guerra dell’informazione contro la Russia.
L’inchiesta di Jeune Afrique non solo espone una pratica disumana, ma mette anche in discussione la narrativa russa in Africa. Presentandosi come alleata dei paesi africani, la Russia maschera un comportamento predatorio e sfruttatore, evidenziando una profonda ipocrisia. Questo scandalo dovrebbe servire da monito per i governi africani e da leva per l’occidente nella lotta informativa contro Mosca.