La Russia non molla la Siria

di Daniela Binello

L’agenzia di stampa internazionale Reuters riferisce in una sua esclusiva di una riunione, avvenuta a porte chiuse il 13 marzo scorso a Damasco, fra esponenti della nuova leadership siriana e l’ambasciatore russo presso le Nazioni Unite, Vasilij Alekseevič Nebenzja. Nominato in quel ruolo dal presidente Vladimir Putin nel 2017, in passato Nebenzja è stato il vice del ministro degli esteri russo Lavrov.
Mosca, attraverso Nebenzja, ha criticato duramente i nuovi leader siriani paragonando le uccisioni brutali e settarie di alawiti al genocidio del Ruanda.
Le critiche di Mosca agli attuali governanti islamisti della Siria non confliggono però con gli sforzi russi di mantenere le due basi militari chiave nella Siria costiera, che è la stessa regione in cui centinaia di persone della minoranza alawita sono state uccise negli giorni scorsi.
La violenta ritorsione era stata innescata il 6 marzo da un attacco alle nuove forze di sicurezza governative attribuito a ex militari fedeli al deposto leader Bashar al-Assad, che è alawita.
L’attribuzione dell’attacco agli ex militari alawiti ha scatenato quindi le violente uccisioni ritorsive sulla minoranza alawita, anche civile, in diverse province da parte di vari gruppi armati accusati di legami con il nuovo governo siriano ad interim.
Il Cremlino, che ha sostenuto al-Assad prima che venisse rovesciato e trovasse riparo in Russia nel dicembre del 2024, nel briefing del 13 marzo, così come riporta la Reuters, ha chiesto alla Siria di rimanere unita in tutte le componenti, aggiungendo di essere in contatto “con altri paesi sulla questione”. Da tutto ciò si può intuire qualcosa della strategia di Mosca per riaffermare la propria influenza sul futuro della Siria.
Fonti interne che hanno chiesto di rimanere anonime hanno affermato che quando l’inviato di Mosca Nebenzja ha paragonato l’uccisione settaria degli alawiti con il genocidio ruandese del 1994, quando i tutsi e gli hutu moderati furono sistematicamente massacrati da estremisti hutu, guidati dall’esercito ruandese e da una milizia nota come Interahamwe, è stato chiesto allo stesso Nebenzja perché paragonasse la violenza in Siria al genocidio ruandese. L’inviato di Mosca ha risposto seccamente ai giornalisti della Reuters: “Dico quello che voglio nelle consultazioni a porte chiuse, basandomi sul fatto che si tratta appunto di consultazioni a porte chiuse e non ne esce nulla”.
Poi, alla domanda sul perché la Russia appaia più critica in privato che in pubblico, Anna Borshchevskaya, esperta di Russia presso il Washington Institute, ha detto che Mosca adotta la sua strategia per raggiungere gli obiettivi. “Vogliono ripristinare la loro influenza in Siria – ha spiegato la Borshchevskaya – e stanno cercando un modo per farlo. Se criticassero pubblicamente il governo siriano ad interim, non si andrebbe da nessuna parte”. Ha anche aggiunto: “La Russia vuole essere considerata come una grande potenza e alla pari degli Stati Uniti vuole risolvere le crisi insieme a Washington. Lavora in privato con gli Stati Uniti, perché questa tattica offre alla Russia ulteriori vantaggi”.
Proseguendo nella lettura dell’esclusiva della Reuters, si apprende che Nebenzja ha criticato lo scioglimento dell’esercito siriano e il massiccio taglio della forza lavoro pubblica da parte dei nuovi governanti islamisti, avvertendo che così facendo “lo scenario iracheno” potrebbe ripetersi. E’ stato un chiaro riferimento agli anni del pantano iracheno, con l’estrema violenza settaria seguita alla caduta di Saddam Hussein e lo smantellamento delle istituzioni statali irachene.
I licenziamenti nel settore pubblico avvenuti in Siria sono mirati ovviamente a escludere i lavoratori alawiti.
Dopo avere esautorato al-Assad con l’offensiva guidata da Hayat Tahrir al-Sham, un ex affiliato di al-Qaeda, i nuovi governanti islamisti della Siria hanno introdotto alcuni combattenti stranieri all’interno di una nuova infrastruttura militare. I resoconti dei testimoni delle uccisioni di massa sulla costa siriana hanno infatti fatto riferimento a combattenti non di madrelingua araba, il che indica che i contractor stranieri potrebbero avere preso parte alla violenza contro gli alawiti.
Anche gli inviati di Stati Uniti, Francia e Cina hanno sottolineato le loro preoccupazioni sulla presenza di combattenti stranieri in Siria e sullo stato della transizione politica del paese nel briefing a porte chiuse. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, composto da 15 membri, sta attualmente negoziando una dichiarazione che condannerebbe la violenza, esprimerebbe preoccupazione per l’impatto sulle crescenti tensioni tra le diverse comunità siriane e chiederebbe alle autorità siriane provvisorie di proteggere tutti i siriani, indipendentemente dall’etnia o dalla religione.
La comunità internazionale ha condizionato gran parte del suo rinnovato impegno nei confronti della Siria al modo in cui procede la transizione, compreso il grado di inclusione delle diverse comunità religiose ed etniche del Paese.
Nonostante l’evidenza di certi accadimenti, il presidente ad interim della Siria Ahmed al-Sharaa aveva detto a Reuters in un’intervista che la sua amministrazione non vuole distribuire le posizioni lavorative pubbliche in modo settario e che il governo allargato in corso di definizione potrebbe includere anche degli alawiti. Ha poi dichiarato di non volere “una frattura tra Siria e Russia” e che Damasco vuole preservare le sue “profonde relazioni strategiche” con Mosca.