La Sadc, Comunità di sviluppo dell’Africa Meridionale

Nascita ed evoluzione.

di Armando Donninnelli

La Comunità di sviluppo dell’Africa Meridionale (SADC), riconduce le sue origini alla creazione, avvenuta nel 1980 a Lusaka, nello Zambia, della Conferenza di coordinamento per lo sviluppo dell’Africa australe (SADCC).
Quest’ultima venne istituita per quattro ragioni. La prima è la lotta all’apartheid, la seconda è la creazione di collegamenti per facilitare l’integrazione regionale, la terza consiste nella mobilitazione delle risorse degli Stati membri per attuare le politiche nazionali, interstatali e di tale regione africana, la quarta è dovuta alla necessità di un’azione concertata per rendere più efficace il ruolo della cooperazione internazionale nel processo di emancipazione economica di quei paesi i quali, bisogna ricordare, avevano raggiunto l’indipendenza da poco.
Nel 1989 il vertice dei capi di Stato e di governo SADCC, riunitosi ad Harare, nello Zimbawe, decise di sostituire l’originario protocollo d’intesa con un accordo più forte che doveva essere contenuto in una carta o in un trattato.
Tale impegno venne a concretizzarsi nel 1992 ove, in un vertice dei capi di Stato e di governo SADCC tenutosi a Windohek, in Namibia, si decise di trasformare la SADCC in Comunità di sviluppo dell’Africa australe (SADC). Obbiettivo di quest’ultima è combattere la povertà, migliorare la qualità della vita, ciò attraverso l’integrazione regionale, l’affermarsi dei principi democratici e lo sviluppo equo e sostenibile.
Al fine di realizzare tali obbiettivi furono create, in parte riprendendole dal SADCC, cinque istituzioni. Vale a dire il vertice dei capi di Stato e di governo, il Consiglio dei ministri, il Comitato permanente dei funzionari, il Segretariato e il Tribunale.
In pratica si sostituiva ad un’organizzazione regionale liberamente costituita, qual era il SADCC, con un blocco economico regionale legalmente vincolante, vale a dire il SADC. Le motivazioni di tale sostituzione sono due.
La prima è da ricondurre, visto l’indebolimento dell’apartheid del Sudafrica, di prendere iniziative più incisive per abbattere la segregazione razziale analogamente a quanto avvenuto in Namibia ove, nel 1990 viene eletto il primo presidente di colore. Del resto di lì a poco, più precisamente nel 1994, l’apartheid crollò completamente e di conseguenza anche il Sudafrica entrò a far parte del SADC. La seconda motivazione consiste nel crollo del muro di Berlino e nella conseguente necessità, sentita particolarmente dai paesi in via di sviluppo, di ripensare le politiche economiche, ciò anche in un quadro di cooperazione regionale.
La struttura elaborata nel 1992 si rivelò, alla prova dei fatti, inadeguata a perseguire efficacemente un’azione di integrazione regionale. Ciò a causa, in particolar modo, del decentramento istituzionale il quale nel concreto, si traduceva nel cercare di favorire gli interessi nazionali rispetto a quelli del SADC. Come ha acutamente rilevato un commentatore, il vertice dei capi di Stato e di governo e il Consiglio dei ministri avevano assunto un ruolo di giocatore ed arbitro nel processo d’integrazione regionale.
La conseguenza fu la creazione, nel corso di un vertice tenutosi nel 2001 sempre a Windohek, di una struttura con poteri maggiormente centralizzati. Contemporaneamente furono varati due differenti piani strategici.
Il primo è il Regional Indicative Strategic Plan (RISDP), in tale ambito la SADC persegue i suoi obbiettivi socioeconomici. In tale ambito vengono evidenziate come particolarmente importanti la lotta alla povertà, l’uguaglianza di genere e la lotta all’HIV/AIDS.
Il secondo è lo Strategic Indicative Plan for the Organ (SIPO). La sua funzione è quella di assicurare la pace e la sicurezza nella regione, ciò al fine di consentire che la SADC raggiunga i suoi obbiettivi socioeconomici. La sua funzione, in tale ambito, è complementare a quella dell’Unione Africana, si concentra in particolare sul mantenimento della pace, sulla tutela della democrazia e dei diritti umani, ma anche nella lotta alla corruzione.
La nuova struttura dimostrò una certa efficacia nel risolvere crisi politiche in paesi della regione, si trattava di situazioni che potevano facilmente degenerare in conflitto armato ma che, grazie all’intervento del SADC, riuscirono ad essere superate, quanto meno per quanto riguarda la fase più grave. Si può fare l’esempio del Madagascar nel 2009, ma anche dello Zimbawe nel 2008 e 2009.
Considerazioni altrettanto positive non possono essere fatte per quanto riguarda il Tribunale SADC. Quest’ultimo ha competenze in sei punti. Il primo riguarda le controversie tra Stati membri, il secondo le controversie tra cittadini e Stati membri, previo esaurimento dei ricorsi interni, il terzo si incentra sulle controversie tra SADC e suoi dipendenti per questioni lavorative, il quarto si riferisce ai contrasti tra istituzioni e Stati, il quinto fa riferimento alle controversie tra cittadini e SADC, anche in tale caso si può adire il Tribunale SADC solo conclusi i ricorsi interni, il sesto è dato dai ricorsi sulle decisioni dei vertici dei capi di Stato e governo e sulle decisioni delle istituzioni delegate e dei loro atti applicativi.
Il Tribunale SADC è stato creato seguendo i modelli forniti da altre corti internazionali, in particolare quello della Corte di giustizia dell’Unione Europea. Il risultato finale appare non molto soddisfacente, in particolare per quanto riguarda il ricorso individuale e il rinvio pregiudiziale, chiaramente ispirati al modello europeo. Quest’ultimo, in ordine agli strumenti giurisdizionali appena citati, cerca non solo di risolvere le controversie ma altresì di assicurare la legalità, vale a dire l’applicazione del Trattato nelle modalità da esso previsto. Ciò nel caso della SADC appare difficile in quanto l’attribuzione delle sue competenze non risulta essere stata effettuata in modo netto e anche la ripartizione del potere decisionale appare imperfetta. In tale situazione di incertezza gli stessi Stati membri sono riluttanti a ricorrere al Tribunale SADC.
Anche il ruolo teoricamente molto importante della tutela dei diritti umani, difatti all’interno del Trattato SADC, non è previsto un catalogo dei diritti civili e politici. La conseguenza è che alcune sentenze emanate dal Tribunale SADC in tale materia sono state successivamente non applicate dai paesi membri. Sarebbe quindi opportuno che si venisse a creare un meccanismo di collaborazione tra Corti nazionali e Tribunale SADC in ordine all’esecutività delle pronunce giurisdizionali di quest’ultima.
Al fine di assicurare sviluppo economico ai paesi della regione, alcuni dei quali molto poveri, la SADC guarda con molta attenzione alla cooperazione internazionale, in particolare dell’Ue, ciò in considerazione anche dei legami createsi nel periodo coloniale.
In tale ottica nel 2014 l’Ue ha concluso con sei paesi SADC, vale a dire Botswana, Lesotho, Mozambico, Namibia e Swaziland Accordi di partenariato economico (APE); si tratta di uno strumento previsto dalla Convenzione di Coutonou del 2000. Tali APE sono stati ratificati ed entrati in vigore nel 2016, in Mozambico nel 2018, la loro funzione è di agevolare l’ingresso dei prodotti di tali paesi, per lo più agricoli o minerari, nel mercato Ue, ciò attraverso l’annullamento delle barriere tariffarie e senza alcun meccanismo di quote. Si deve ricordare che i paesi citati debbano fare la stessa cosa nei confronti delle merci provenienti dall’Ue.
Si può notare che lo sviluppo economico dei paesi della Comunità prosegua complessivamente bene, vi sono però alcuni paesi membri in maggiore difficoltà, ciò a causa del forte calo dell’intercambio regionale collegato alla notevole riduzione del prezzo delle materie prime che si è avuto negli ultimi anni. Per cercare di aiutare tali Stati la SADC sta cercando di creare dei collegamenti all’interno dei settori merceologici collocati in diversi paesi della regione. Tutto questo per attirare investimenti dall’estero e assicurare un’armonica crescita economica.
Va comunque notato che a detta di molti esperti, al fine di creare un clima ottimale per attirare gli investimenti si dovrebbe preventivamente cercare di armonizzare il quadro normativo. La creazione di quest’ultimo e in particolare il suo rispetto sembrano proseguire molto lentamente, ciò mettendo in difficoltà il processo d’integrazione regionale. Basti pensare al fatto che l’articolo 3 del Protocollo SADC sul commercio, il quale prevede deroghe alla riduzione delle barriere tariffarie se un paese non è in grado di adempiere, viene invocato dallo Zimbawe, che vuole rivitalizzare la sua industria nazionale. Quella che sembra mancare, a detta di alcuni autorevoli osservatori, è la volontà di proseguire nel percorso di armonizzazione e rispetto delle norme.
La SADC ha varato un piano per l’industrializzazione della regione i cui termini sono estremamente prolungati, la sua durata va dal 2015 al 2063, al suo interno possiamo distinguere un prima fase che va dal 2015 al 2030. Sono stati previsti investimenti in infrastrutture fino al 2027 per 500 miliardi di dollari. Gli sforzi sono concentrati nella creazione di strutture transfrontaliere in materia di energia, trasporti, turismo, tecnologia in materia di telecomunicazioni, gestione delle risorse idriche e meteorologia.
Alcuni risultati positivi sono stati già raggiunti. Basti pensare al fatto che la regione soffriva di carenza di energia elettrica alla fine del secolo scorso ma anche all’inizio di quello attuale, grazie ad un lavoro mirato si è giunti ad avere per la prima volta, nel 2017, un surplus di produzione di corrente, ciò anche molto lavoro è ancora necessario per modernizzare tale settore. Si tratta comunque di un importante successo che dimostra le potenzialità positive di un lavoro congiunto, in futuro l’intenzione è riprodurre tale cooperazione anche in altri settori, in particolare in materia di insicurezza e vulnerabilità degli alimenti.