La Tunisia in dissesto e il coraggio di un uomo chiamato Mohamed Brahmi: intervista al fratello, Saadi

di Enrico Oliari –

فارسیالعربية

brahmi saadi 2 grandeIl 25 luglio scorso è stato ucciso a Tunisi il 58enne dirigente del Fronte Popolare Mohamed Brahmi, uno delle figure di spicco di opposizione al governo islamico-moderato guidato da Ennahda, la versione tunisina dei Fratelli Musulmani.
Su Brahmi i due assassini a bordo di un motorino si sono accaniti con quattordici colpi di arma da fuoco davanti a casa, a Cité al-Ghazela, sotto gli occhi dei famigliari, tra cui la figlia. L’omicidio è arrivato pochi mesi dopo che dalla scena politica era stato eliminato, in circostanze del tutto simili, un altro esponente dello stesso Fronte Popolare, Chokri Belaid.
E’ difficile stabilire cosa e chi vi sia dietro ai due efferati omicidi. Se, come qualcuno dice, le formazioni di maggioranza o, come sta cercando di dimostrare Ennahda, gli estremisti delle formazioni salafite più radicali, come i militanti di Ansar al-Sharia.
Di certo la Tunisia di oggi è percorsa da tensioni politiche e sociali senza precedenti, frutto di una “Primavera araba” ancora non realizzata pienamente o addirittura, come pensano molti, indirizzata su un sentiero impervio fatto di estremismi, disoccupazione e crisi economica, cose che hanno trasformato l’entusiasmo per la fine della dittatura in delusione e incertezza.
E’ tuttavia un errore rifarsi alla figura di Mohamed Brahmi prendendo in considerazione esclusivamente il caso di cronaca, così come è stato fatto da diversi media occidentali. Mohamed Brahmi è stato un uomo la cui caparbietà di lottare per le proprie idee, la preparazione politica e culturale e la disponibilità verso gli altri si sono fuse nel coraggio esemplare di chi dà tutto, compreso se stesso, al proprio Paese.
Notizie Geopolitiche ne ha voluto parlare con il fratello, Saadi Brahmi, il quale, per quanto impegnato per motivi di lavoro all’estero, partecipa attivamente alla vita politica tunisina ed è portavoce in Italia di Corrente popolare, movimento che aderisce con altri undici partiti al Fronte popolare tunisino.
– Come prima cosa Le chiederei se la “Primavera araba” è servita alla Tunisia o se è fallita…
L’opposizione in Tunisia era già vivace ai tempi di Bourguiba, seppure repressa. La “Primavera araba” doveva quindi nascere, ed è nata bene. Non si trattava di proporre comunismo, socialismo, o islamismo bensì di insistere su tre principi, su tre richieste improcrastinabili del popolo: la libertà, specie di parola, la democrazia e la dignità. E’ stata deviata nel suo corso dall’influenza della rivoluzione libica e dagli interessi stranieri, basti pensare che il 13 gennaio (2011, ndr) la Francia sosteneva Ben Alì, mentre il 14 già convocava una riunione di Ennahda a Londra, dove era rifugiato Rashid al-Gannushi, attuale presidente di Ennahda. Il partito ha usato la religione, l’Islam, anche perché la gente riteneva che chi si rifaceva alla fede non si sarebbe corrotto, cosa che invece si è verificata. Ennahda ha quindi vinto le elezioni, risultato che noi tutti abbiamo riconosciuto, facendo forza sull’Islam. Ma mio fratello mi raccontava che mentre lui si portava in Parlamento la sajjada  per la preghiera, il 90% dei deputati di Ennahda neanche pregava.
Quanto alle elezioni, l’ho visto di persona, all’estero i voti sono stati spesso comprati: in Italia da 30 a 40 euro ad elettore, come pure c’è stato chi si è portato l’urna a casa. Tuttavia noi abbiamo lasciato correre, perché il regime di Ben Alì era caduto, perché i militanti di Ennahda erano più organizzati e soprattutto perché c’era un accordo firmato fra tutte le forze politiche che stabiliva che il 23 ottobre del 2012 sarebbe scaduto il termine per presentare la Costituzione, il governo provvisorio si sarebbe dimesso e vi sarebbero state nuove elezioni. Cose che non si sono realizzate”.
– Tuttavia Ennahda ha garantito il governo del paese in un momento di transizione complicatissimo…
Per prima cosa il governo guidato da Ennahda si è preoccupato di risarcire i prigionieri politici, quasi esclusivamente quelli aderenti alla stessa formazione. Sono stati chiesti soldi un po’ a tutti, in particolare al Qatar, alla Svizzera e al Giappone, cosa che ci vedeva fortemente contrari: i prestiti dovevano servire a rilanciare l’economia ed abbattere la disoccupazione. Per il risarcimento a chi era stato messo in carcere ingiustamente si avrebbe dovuto aspettare un secondo momento.
Il Qatar, in particolare, non si è sottratto alla richiesta di denaro, chiedendo però in cambio beni pubblici della Tunisia: si è parlato di 200 ettari di palmeti nella zona desertica di Tozeur, come pure del porto di Rades. Nell’estremo sud del paese, nei pressi di Borj el Khadra, gli Stati Uniti stanno progettando di costruire una base militare, ufficialmente per contrastare il traffico di armi, come pure di costituire col tempo un piccolo stato autonomo per le popolazioni berbere di quell’angolo in cui si congiungono Libia, Tunisia e Algeria. Di certo Ennahda ha utilizzato parte di quel denaro venuto da fuori per finanziare le associazioni sociali ad essa vicine, creando così un cartello di propri sostenitori e, di fatto, comprandosi il sostegno popolare. E non si è opposta, almeno fino a quando vi sono state le proteste, al traffico di giovani mandati in Libia per addestrarsi ed andare a combattere in Siria, per i quali il partito di maggioranza intascava soldi, fino a 2mila euro a persona. Persino centinaia di ragazze tunisine sono state mandate in Siria per quella che è stata definita la “jihad sessuale”, offrendo i loro corpi ai militanti islamici impegnati nel conflitto contro il regime di Bashar al-Assad. Denuncia proprio oggi il ministro degli Interni Ben Jeddou all’Assemblea costituente che molte di loro sono tornate in patria incinte”.
– Quali responsabilità politiche imputa ad Ennahda e a chi ha governato il paese fino ad oggi?
I problemi sono sotto gli occhi di tutti: il tasso di disoccupazione è elevatissimo, l’economia è in dissesto, le frontiere sono aperte al traffico di armi, il livello di sicurezza è ai minimi storici, paesi stranieri come il Qatar stanno allungando le mani su tutto, petrolio compreso. Si è poi sviluppato un fiorente mercato abusivo e parallelo di bancarelle che spesso finanziano proprio gli jihadisti e i Fratelli Musulmani. L’unico guadagno del dopo-rivoluzione è stata la libertà di parola, ma anche qui ultimamente si sono verificati arresti di giornalisti che si sono espressi contro il governo. Addirittura i miliziani che prima erano agli ordini di Ben Alì si sono fatti crescere la barba ed oggi sono alle dipendenze dirette di al-Ghannushi e proprio ieri il ministro dell’interno, Lotfi Ben Jeddou ha fatto sapere che non si riesce a sciogliere tale gruppo armato”.
– Perché Suo fratello, Mohamed, è stato ucciso?
Perché difendeva l’Islam vero, ed ha denunciato pubblicamente ed in Parlamento come la fede venisse strumentalizzata dai politici di maggioranza per drogare la società. E’ stato ucciso perché prendeva le parti dei poveri, dei contadini, degli studenti e difendeva strenuamente i diritti delle donne e la loro partecipazione attiva alla società. Al centro del suo pensiero vi era il concetto di “cittadinanza”, da tutelare indipendentemente dal credo religioso, dalle appartenenze politiche, dalla storia individuale. E’ stato ucciso soprattutto perché ha portato allo scoperto le bugie e le falsità di Ennahda, che dal 1941 è sul libro paga di Stati Uniti e Gran Bretagna, i quali da sempre lavorano per creare attriti fra le religioni e fra le confessioni”.
– Anche Lei ritiene, come ha detto il ministro dell’Interno, che la responsabilità dell’omicidio di Mohammed vada ricercata nelle frange estreme del gruppo salafita?
Mio fratello il 24 luglio alle 2 del mattino, in occasione di una riunione a Sfax, aveva detto che il nostro impegno politico è difficile e doloroso: chi non ha coraggio è meglio che rifletta e si ritiri. Ben Jeddou incolpa dell’omicidio i salafiti per calmare la piazza, ma le cose non stanno come sostiene: lo fa solo per salvare la faccia al governo”.
– Tuttavia il governo combatte i salafiti, ad esempio sul monte Chaambi, non lontano dal confine con l’Algeria, e molti sono uccisi, come in occasione delle irruzioni nelle case…
Quelli che non sono uccisi sono portati in prigione e dopo pochi giorni liberati. Persino il sospettato numero uno dell’omicidio di mio fratello è stato visto girare a duecento metri dalla sua casa”.
– Mi racconta qualcosa di Suo fratello?
Era una persona molto buona, pacata, capace di spendere il suo intero stipendio per aiutare i poveri, magari saltando le rate del mutuo per la casa. Ricordo che una volta mi telefonò per dirmi che era rimasto bloccato in autostrada, senza carburante… Ebbene, venimmo a sapere che aveva in tasca 50 dinari, ma che era andato a trovare un tale in ospedale. Passando davanti ad una camera, aveva visto uno sconosciuto, un malato, soffrire il caldo torrido: aveva dato quei 50 dinari che gli servivano per il gasolio al figlio del paziente, per comprare un ventilatore. Persino il sospettato del suo assassinio era stato aiutato dalla mia famiglia in passato, come molti che erano stati nascosti da noi quando vi erano le repressioni, gente che poi ci ha girato le spalle.
Poco prima della scomparsa di Mohamed nel partito avevamo parlato con lui per indurlo ad accettare una scorta, perché continuavano ad arrivare minacce di morte: lui si era rifiutato perché, diceva che anche Kennedy era stato ammazzato nonostante le sessanta guardie del corpo… Io gli avevo fatto notare che avrebbe lasciato una madre, me, una vedova e cinque figli orfani, ed un partito senza guida. Ma lui aveva risposto che la sua vita stava nelle mani di Dio”.
– Una delle critiche che vengono mosse all’opposizione, tuttavia, consiste nel fatto che le figure di Belaid e di Brahmi vengano esibite con troppa frequenza, quasi fossero una bandiera…
Si tratta di due esponenti di partito, di due parlamentari uccisi, di cui non sappiamo ancora chi sono gli assassini. Sono stati uccisi per motivi politici, non perché ladri o criminali, quindi lasciamo che diventino un esempio per la società… Qualcuno di Ennahda, mi riferisco al ministro del Patrimonio, ha detto, minimizzando, che Mohamed è morto, ma sarebbe potuto morire anche in un incidente stradale…”.
– Parte del Nordafrica e del Medio Oriente è in fiamme: visto il livello di tensione, teme che possa succede qualcosa anche in Tunisia?
Io penso che siamo vicinissimi ad una guerra civile. I segnali sono molti: continuano ad essere rinvenute armi ovunque; è risaputo che nella zona del monte Chaambi vi sia un campo di addestramento; il governo è di fatto bloccato ed ha contro la maggior parte della popolazione; vi sono ovunque fuochi d’artificio, quasi per abituare l’orecchio della gente alle esplosioni, che potrebbero così confondere i colpi di arma da fuoco”.