La vittoria del democratico Joe Biden potrebbe cambiare il destino dell’Iran

Ma quali sono gli ostacoli interni con i quali la repubblica Islamica dovrà confrontarsi?

di Tiziana Della Ragione *

TEL AVIV (ISRAELE). Tra la normalizzazione dei rapporti di alcuni paesi del Golfo con Israele, le trattative di pace tra il governo afgano e i talebani e le innumerevoli sanzioni statunitensi inflitte all’Iran e ai suoi alleati, l’amministrazione Trump si è decisamente distinta per la sua postura anti-iraniana. Le tensioni tra i due stati continuano ad inasprirsi e l’Iran si trova attualmente in una posizione critica, con una politica estera messa ormai a dura prova e una marcata instabilità politica a livello locale, la cui manifestazione più evidente è l’inarrestabile malcontento popolare. I risultati elettorali delle elezioni americane sono ormai agli sgoccioli e, in caso di vittoria da parte del democratico Joe Biden, è probabile che l’Iran abbia una possibilità per cambiare il suo destino, anche se gli ostacoli da superare per una riapertura al dialogo tra le due nazioni sono notevoli e non dipendono solo dagli Stati Uniti.
La strategia adottata dall’amministrazione Trump è stata capace di indebolire le pretese egemoniche della Repubblica Islamica al di là dei suoi confini regionali. Le sanzioni in particolare si sono dimostrate uno degli strumenti più efficaci adottati dal governo statunitense per paralizzare l’economia della repubblica islamica. In aggiunta a quelle già esistenti, gli Stati Uniti ne hanno infatti adottate delle nuove, rivolte contro le banche iraniane e contro la vendita dei derivati del petrolio. Inoltre è importante sottolineare che la campagna statunitense di massima pressione contro l’Iran non ha preso di mira solo Teheran ma anche tutti i suoi potenziali “alleati”, tra i quali il presidente venezuelano Nicolás Maduro, a ragione del suo sostegno al programma nucleare iraniana e dell’approvvigionamento di benzina, necessaria al paese sudamericano per far fronte alla grave crisi energetica in corso.

Il presidente iraniano Hassan Rohani.

Gli effetti negativi scaturiti dall’isolamento economico hanno inasprito le tensioni tra i due paesi, tensioni già sostanziali da quando, nel maggio 2018, gli Stati Uniti avevano smesso di appoggiare “l’accordo sul nucleare iraniano”, considerando Teheran il principale sponsor del terrorismo mondiale.
La strategia statunitense anti-iraniana non ha mirato però solo ad indebolire la sfera economica della repubblica islamica ma si è prefissa un obiettivo ben più ambizioso che è stato quello di controllare l’accesso iraniano ai suoi interessi strategici nello Yemen, nel Golfo Persico e nel Mediterraneo. La normalizzazione tra Israele e gli stati arabi del Golfo va letta anche come tentativo per bloccare l’influenza iraniana tra le popolazioni sciite del Golfo che collegano i suoi vari punti di interesse strategico nella regione. L’Iran ha difficoltà anche in Siria, Libano e Iraq dove le proteste contro i delegati iraniani indicano che l’Iran sta perdendo la sua influenza.
l’Iran si trova attualmente in una posizione critica, non soltanto perché la sua politica estera è stata messa a dura prova, ma anche perché il paese è animato da innumerevoli vicissitudini interne che minano la sua stabilità politica. Le questioni della successione, della leadership e della legittimità storica del Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche (IRGC) affliggono il sistema politico iraniano e rappresentano una fonte di costante preoccupazione per il leader supremo iraniano Ali Khamenei. Nelle elezioni del febbraio 2020, al fallimento dei riformisti è corrisposta la vittoria schiacciante del fronte conservatore, riunitosi nella Coalizione del Consiglio delle Forze della Rivoluzione Islamica (Shura-ye Ettelaf-e Niruha-ye Enqelab-e Eslami) e i cambiamenti militari che Khamenei ha fatto nell’IRGC non hanno raggiunto l’attesa stabilità interna.
Ad una politica estera messa a dura prova ed una instabilità crescente in politica interna, si aggiungono poi i problemi economici, sociali e sanitari estremi, prodotti del fallimento del governo iraniano nel combattere gli effetti negativi della pandemia del Coronavirus. Le proteste antigovernative, divenute sempre più frequenti, sono spesso silenziate con il ricorso alla violenza da parte delle forze dell’ordine. Gli strumenti coercitivi adottati dalla repubblica islamica continuano ad alimentare il risentimento della popolazione iraniana e quello della comunità internazionale che, neanche due mesi, fa ha assistito all’ingiusta esecuzione di un giovane dissidente, Navid Afkari, per un crimine confessato sotto tortura, riconducibile alle proteste antigovernative del 2018.

Joe Biden. (Foto: Facebook).

I risultati delle elezioni presidenziali americane sono ormai piuttosto chiari e, in caso di vittoria da parte del democratico Joe Biden, è probabile che l’Iran abbia una possibilità per cambiare il suo destino. Come ha spiegato il presidente della commissione affari internazionali del Consiglio della Federazione Russa, Konstantin Kosachev, gli Stati Uniti potrebbero infatti voler tornare al precedente approccio, adottato dall’amministrazione Obama riguardo all’accordo nucleare con l’Iran del 2015, accordo da cui l’amministrazione Trump decise di uscire nel 2018. Allo stesso tempo non bisogna però dimenticare che Israele rimane un partner strategico in questa regione e che cercherà sicuramente di influenzare gli Stati Uniti in modo che esercitino pressioni sull’Iran.
Inoltre l’eventuale apertura verso una politica del dialogo e della ragione non dipenderà solo dagli Stati Uniti ma evidentemente anche dall’Iran che, almeno per il momento, sembra essere incapace di parlare con un’unica voce. Il supremo leader Ali Khamenei continua a ripetere che, indipendentemente da chi vincerà le elezioni presidenziali, l’America cadrà in quanto potenza oppressiva, ingiusta, ignorante e barbara e che ogni nuovo alleato di Israele e degli Stati Uniti sarà trattato come nemico della repubblica Islamica. Questa posizione anti-americana è però in dissonanza con quella del presidente iraniano Hassan Rohani, considerato portatore di istanze più moderate e oggetto, a questo proposito, di numerosi attacchi da parte dei conservatori che accusano il governo di essere incapace di gestire l’attuale crisi economica, cercando di delegittimarne il potere. Lì dove il governo iraniano di Hassan Rouhani fosse quindi capace e pronto a riaprire un dialogo con gli Stati Uniti, cosa piuttosto improbabile alla luce dei dissidi interni, il tutto dovrebbe avvenire in tempi ragionevolmente brevi, dato che con la vittoria alle parlamentari iraniane di Febbraio 2020, gli ultraconservatori hanno creato le basi per poter affermarsi anche nelle presidenziali del 2021.

* Analista geopolitico.