Le conseguenze delle rivolte arabe. Un mosaico economico, sociale e digitale

di Damiano Greco –

tunisia primavera arabaIl periodo che ha caratterizzato le rivolte è stato uno dei più grandi sconvolgimenti storici del Mondo arabo degli ultimi decenni, con importanti effetti internazionali a livello economico e geopolitico. Le sommosse cominciarono il 18 dicembre 2010, in seguito alla protesta estrema del tunisino Mohamed Bouazizi, che si diede fuoco in risposta ai maltrattamenti subiti da parte della polizia, il cui gesto innescò l’intero moto di rivolta tramutatosi nella cosiddetta Primavera Araba o Rivoluzione dei gelsomini.
I disordini che ne seguirono sono entrati definitivamente nella storia, sfociati in una serie di proteste ed agitazioni nelle regioni del Medio Oriente e Vicino Oriente e del Nord Africa. Ciò che è
accaduto in queste terre rappresentò una protesta più che mai etica e morale.
Ma a distanza di questi anni la commemorazione di tali eventi offre solo una prospettiva limitata sulla più complessa e importante storia delle rivoluzioni (ancora in corso) e, più in generale, sulla storia del mondo arabo moderno; il nostro compito sarà dunque leggere il risultato delle primavere arabe a cinque anni di distanza togliendoci gli occhiali ideologici e indossando quelli della geopolitica, che di fatto farebbero perdere quell’aura da ‘Big Bang arabo del XXI secolo’, inscrivendosi piuttosto in una prospettiva storica di lungo corso che deve considerare simultaneamente molti fattori, passati, presenti e futuri:

– Conseguenze economiche della Primavera Araba;
– Crisi ideologica che ha investito l’Europa e come il tema della migrazione strettamente legato alle rivolte abbia bussato alle porte dell’Unione con rinnovato vigore proprio in un periodo di forti incertezze, (crisi economica e dei debiti sovrani, lo spettro del terrorismo islamico, la diffusione del
radicalismo);

La prospettiva italiana, dal punto di vista dell’interscambio commerciale e degli investimenti in Nord Africa.
L’effetto della Primavera Araba infatti si è fatto sentire anche sulla crescita economica. Le rivolte, la Primavera Araba, le elezioni, i nuovi regimi e la stabilizzazione democratica dei sistemi non sono un processo di breve durata.
L’evoluzione della situazione in quest’area è di grande interesse per l’Italia, che negli ultimi anni ha accresciuto la propria presenza, soprattutto economica, in questa zona.
Secondo i dati ISPI (Istituto per gli studi di politica internazionale) dagli anni Ottanta a oggi, i paesi del Nord Africa hanno visto progressivamente ridursi il loro peso sul commercio mondiale di merci, che nel 2011 era lo 0,9%. La rilevanza del Nord Africa come mercato di sbocco e come fornitore è però decisamente maggiore per l’Italia e per l’UE nel suo complesso. Le esportazioni italiane sono cresciute molto a partire dalla metà degli anni Novanta, accelerando nel decennio successivo, fino ad arrivare a un valore massimo di circa 13 miliardi di euro nel 2010. Nel 2011 l’Italia era il secondo paese esportatore verso il Nord Africa.
Il principale mercato di destinazione delle esportazioni italiane nell’area è la Tunisia; seguono Egitto, Algeria, Libia e Marocco. Una prima immediata conseguenza delle tensioni politiche iniziate nel 2011 è la riduzione nello stesso anno delle esportazioni italiane verso il Nord Africa, pari a circa il 20%, rispetto a un aumento di quasi il 15% delle esportazioni italiane extra-UE. La caduta del 2011 è maggiore rispetto all’effetto congiunturale della crisi nel 2009, e appare significativa soprattutto se confrontata con l’aumento delle esportazioni extra-comunitarie. L’effetto della Primavera Araba sulle esportazioni italiane sembra però esaurirsi già nel 2011, dato che nella prima parte del 2012 si osserva una ripresa degli scambi. Dopo le rivolte popolari, quindi, i dati stanno tornando alla normalità e si potrebbero aprire nuovi spiragli commerciali.

Futuro incerto.
Affrontare oggi il tema delle migrazioni internazionali significa analizzare un complesso mosaico di fenomeni che si trova in uno stato di continua evoluzione, il configurarsi di nuove realtà nazionali e sopranazionali comportano una profonda trasformazione delle appartenenze culturali, territoriali e politiche e tale situazione ci pone davanti ad un bivio, da un parte siamo chiamati a cogliere le
opportunità che si celano dietro, inutile ricordare come le grandi migrazioni internazionali siano state sin dalla scoperta dell’America il principale fattore che ha concorso alla formazione dell’attuale sistema mondiale. La mobilità è fisiologica perché funzionale all’equilibrio sociale, da sempre la dinamicità si contrappone alla staticità.
Mentre dall’altro lato della medaglia impossibile non evidenziare le problematiche vicine ad una serie di punti legati alle migrazioni indotte da una combinazione di fattori economici, politici e sociali, nel paese di origine del migrante (fattori di spinta) oppure nel paese di destinazione (fattori di attrazione), che porterebbero l’individuo ad effettuare tale scelta, finalizzate alla ricerca di migliori opportunità. Infine nel settore delle relazioni sociali, l’afflusso di persone di altre culture apre la sfida del multiculturalismo, ostacolato dai Paesi che rifiutano di trasformarsi in società multiculturali.
Alla luce di tali elementi e in un periodo storico in cui, sotto la duplice influenza del processo di globalizzazione e della necessità di una unificazione europea che ipotizzi una netta perdita di sovranità a favore dell’Unione da parte degli stati membri, le problematiche legate al tema dei flussi migratori fanno entrare in un periodo di forte crisi di tipo decisionale i leader europei.
Abbiamo infatti assistito ad una serie di cambi repentini di posizione con diversi dietrofront seguiti da importati aperture. Il tutto è avvenuto rapidamente e successivamente a degli eventi mediatici a cui i capi di stato non hanno potuto sottrarsi, basti pensare all’immagine tragica del bambino siriano annegato, la quale ha diretto la Germania ad adottare una nuova linea di solidarietà, dimostrando di voler contribuire con maggiore responsabilità alla sicurezza e alla stabilità del sistema internazionale, per poi riprendere una linea dura quando il caso degli stupri a Colonia ad opera di migranti di origine nordafricana ha indignato l’opinione pubblica, portando l’emergenza ad invadere non solo le coste e i territori ma anche gli schermi dei nostri smartphone e tablet.
Per non parlare dell’abbraccio dell’opinione pubblica mondiale nei confronti di una Parigi sotto shock dopo gli attentati terroristici di matrice islamica del 13 novembre 2015, rincuorata online da milioni di persone attraverso un tam-tam tra post, like e cinguettii. Un conforto che si tramuta in indifferenza per Ankara, che non ha suscitato le stesse “emozioni social” quando un’autobomba esplodeva lo scorso 13 marzo vicino a una fermata dei bus nel centro della città provocando almeno 37 morti e circa 125 feriti.

Knowledge is power.
La leadership si conquista e si mantiene sempre più attraverso i canali digitali. Dal punto di vista dei politici moderni i social media sono divenuti una vera piattaforma di intelligence politica per capire l’elettorato e pianificare la propria strategia, facendo divenire i politici dei veri e propri social media manager, adottando delle particolari strategie di comunicazione, con la finalità di fare tre cose: dichiarazioni (risposte e smentite incluse), diffondere la loro agenda, rilanciare clip dei loro interventi più riusciti nei talk show. Si può fare comunicazione politica scegliendo lo strumento più adatto alle proprie attitudini, con un tweet o con un post su facebook o addirittura con instagram, coniando di fatto un nuovo termine la “instagram diplomacy”.
Malgrado un’evoluzione sociale tanto complessa e multidimensionale, il processo decisivo nella formazione della società, sia a livello individuale che collettivo, corrisponde alle dinamiche dei rapporti di potere. Che, nell’attuale contesto sociale e tecnologico, sono in larga misura legati al processo di comunicazione socializzata.
Nella ricerca Prime social Ministers realizzata da Doing – consultabile online research.doing.com – sono stati raccolti ed elaborati i dati provenienti dai profili ufficiali Facebook, Twitter e Youtube di vari leader europei. Dal calcolo della popolarità ai social trend, dai flussi rispetto all’attualità politica all’analisi demografica e geografica, interessante analizzarne i risultati che ci invitano ad una attenta riflessione.
Renzi è il leader che ha il numero maggiore di follower su Twitter in termini assoluti (2.177.652 al 31 dicembre 2015) e che vanta la crescita maggiore (+659.818 seguito da Hollande a + 587.247, Rajoy a +409.439, Cameron a +353.394 e Tsipras a +234.986). Il tweet che ha fatto guadagnare più follower al premier è stato quello del 14 novembre (+6.900) in cui ha espresso solidarietà al popolo francese dopo gli attentati. A ridosso degli eventi terroristici a Parigi, François Hollande ha guadagnato oltre 100mila follower in un solo mese, evidenziando come i “seguaci” siano particolarmente sensibili alle prese di posizione dei propri leader politici.
A tal proposito è molto importante sottolineare come alcuni di loro adottino oltre al buonismo e alle solite frasi di rito, anche un modo peculiare ed efficacie di indirizzare quel generico sentimento di insicurezza che molti italiani stanno provando in questo momento storico, capaci di entusiasmare e aggregare il pubblico della Rete con messaggi dal sapore populista, trovano così terreno fertile diffondendosi grazie al consenso di gruppi che diventano anche attori protagonisti sulla scena, relazionato al potere politico dei social media.
Leggere la pagina ufficiale Facebook di Matteo Salvini “portavoce” negli ultimi anni per le battaglie contro l’immigrazione ne rappresenta un esempio molto importante. Senza cadere nella tentazione di sottolineare il populismo spicciolo del quale si serve quotidianamente il leader della Lega nord, enfatizziamo il potere di comunicazione in grado di creare un vero esercito di follower, ovvero i seguaci, compagni, discepoli ecc.
Ma cosa accade nel momento in cui nonostante la volontà di dire la propria o nei migliori dei casi di impegnarsi a livello civico vengono a mancare i giusti strumenti cognitivi per potersi esprimere, oppure per poter comprendere appieno e successivamente aderire ad un determinato pensiero politico?
L’Italia purtroppo detiene un ulteriore triste primato, il 47% degli abitanti del Belpaese infatti è un analfabeta funzionale, secondo uno studio dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). Con il termine “analfabetismo funzionale” si designa l’incapacità di un individuo di usare in modo efficiente le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni della vita quotidiana. Un analfabeta è anche una persona che sa scrivere il suo nome e che magari aggiorna il suo status su Facebook, ma che non è capace “di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere con testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità”. Una capacità di analisi, quindi, che non solo sfugge la complessità, ma che anche davanti ad un evento complesso (la crisi economica, le guerre, la politica nazionale o internazionale, le migrazioni) è capace di trarre solo una comprensione basilare.
I nuovi analfabeti usano i nuovi social, ma non sanno interpretare la realtà, divenendo delle vere e proprie mine vaganti pronte ad esplodere, e nei peggiori dei casi ad essere esplose da detonatori che prendono le forme delle nuove classi dirigenti.
Di facile intuizione comprendere come questo nuovo esercito possa essere utilizzato a favore dei politici che da qui a pochi anni si sono affacciati all’interno dell’arena mediatica, La poca capacità intellettiva è funzionale all’egemonia sotto culturale di certa politica, purtroppo stabile al posto di comando.

Mr. Robot.
In riferimento alle influenze che le rivolte arabe hanno portato a livello mediatico, interessante enfatizzare la recentissima serie di dieci episodi che ha entusiasmato il pubblico grazie all’intensità del personaggio interpretato da Rami Said Malek, egiziano ma nato e cresciuto a Los Angeles. Porta con se la rabbia il disagio e la voglia di rivincita che hanno caratterizzo i tanti giovani protagonisti delle primavere arabe stanchi del mondo e della società che gli stavano intorno. Il protagonista che utilizza il web per conoscere le persone, nasconde una doppia vita da solitario hacker a giustiziere digitale di estremo talento.
L’autore Sam Esmail (egiziano anche lui) spiega che la serie fresca vincitrice di 2 Golden Globes è stata ispirata dalla Primavera Araba. Un cyberpunk-thriller che urla con rabbia contro le diseguaglianze e le ingiustizie, sentimenti che hanno incanalato in maniera positiva e produttiva i dissidenti che hanno davvero fatto la differenza durante le rivolte arabe. Le similitudini con la serie sono tante, infatti nei mesi più concitati delle rivolte,
Social network come Facebook, Twitter e Youtube furono utilizzati per comunicare e divulgare gli eventi a dispetto dei tentativi di repressione statale, rappresentando di fatto una rivoluzione senza precedenti.

Fonti:
– SPI – Conseguenze economiche della Primavera Araba – La prospettiva italiana dal
punto di vista dell’interscambio commerciale e degli investimenti in Nord Africa;
– Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico);
– Ricerca Prime social Ministers realizzata da Doing;
– Tesi di laurea triennale – Damiano Greco – Rivoluzione per le Rivoluzioni – “Le
Rivolte di Facebook nella Primavera Araba e nel resto del Mondo”;
– La Repubblica.