Le realtà contrastanti della Cop29 e i confini delle rivalità globali

di Grigor Ghazaryan

I passi falsi dell’occidente.
In un’era in cui le alleanze e le rivalità globali si spostano a velocità senza precedenti, l’occidente sembra aver perso di vista le vere minacce all’ordine internazionale, sempre che tale ordine sia veramente desiderabile o realizzabile. Invece di identificare e affrontare le crescenti coalizioni tra stati autoritari e antidemocratici, le potenze occidentali hanno spesso descritto erroneamente alcuni attori come partner o minimizzato i rischi che essi rappresentano. Tuttavia, mentre i regimi autocratici si uniscono, un preoccupante asse di influenza minaccia di rimodellare il tessuto politico entro e oltre l’Eurasia.
In prima linea in questo allineamento emergente ci sono nazioni come Russia e Bielorussia, i cui legami politici e militari con Turchia e Azerbaigian costituiscono una solida base per l’autoritarismo. Insieme questi stati si oppongono agli ideali democratici dell’Europa e per estensione ai valori democratici a livello mondiale. Senza controllo, mettono da parte i principi liberali a favore di un potere e di un’influenza consolidati. Anche lo stato di Israele ha dato il suo sostegno, criticato per azioni percepite come alimentanti politiche aggressive che indeboliscono le popolazioni autoctone nel perseguimento dei suoi obiettivi strategici.
Da nessuna parte questa dinamica è più evidente che nella relazione tra Israele e Azerbaigian. Gli stretti legami di Israele con Baku offrono al regime azerbaigiano supporto militare e conoscenza tattica, abilità che, secondo gli analisti, hanno incoraggiato Baku nella sua posizione contro l’Armenia, facendo eco alle tattiche viste nel conflitto israelo-palestinese. Con la Turchia che funge da sostenitore storico e ideologico dell’oppressione delle popolazioni autoctone locali, un’alleanza inequivocabile sembra favorire l’instabilità e erodere ogni speranza per un pacifico equilibrio regionale.

Un contrappunto complesso.
L’Iran nel frattempo costituisce un contrappunto notevole nella sua complessità a queste potenze emergenti. Nonostante la repressione interna e le continue sfide ai diritti umani all’interno dei suoi confini, l’Iran è emerso come un attore relativamente stabile per i suoi cittadini, se non necessariamente un alleato del liberalismo. Il suo isolamento politico e il conservatorismo religioso ne limitano l’attrattiva, ma man mano che le forze autocratiche guadagnano forza a nord e a ovest, il ruolo dell’Iran nell’equilibrio regionale merita un’attenta rivalutazione.
In questo intricato panorama geopolitico, è imperativo che l’occidente riesamini le sue alleanze e riconosca le minacce più gravi all’ordine democratico. Con una più profonda consapevolezza di queste dinamiche mutevoli, la comunità internazionale può fare passi avanti verso un quadro globale più equilibrato e giusto.

L’allarmante alleanza: sostegno ai dittatori nella campagna contro gli armeni.
In una svolta preoccupante l’Italia ha scelto di allinearsi con i regimi autoritari in una massiccia campagna contro gli armeni, in seguito alla devastante pulizia etnica di 120mila armeni dell’Artsakh, il Nagorno-Karabakh, nel settembre 2023. In un momento in cui la vera democrazia si riflette nella protesta globale delle iniziative civiche e nel sostegno ecumenico delle chiese cristiane agli armeni, ancora una volta privati di una parte della loro patria storica, questa posizione è non solo scoraggiante, ma pericolosa e grave.
L’Azerbaigian rappresenta uno dei “punti più bui” del mondo per i diritti umani, un “buco nero” in cui il vero attivismo civico è praticamente inesistente. Per crudele ironia, le uniche manifestazioni pubbliche sono state orchestrate dai servizi speciali di Baku, in particolare il blocco totale nel dicembre 2022 del Corridoio di Lachin, che collegava direttamente la popolazione dell’exclave dell’Artsakh al territorio della Repubblica d’Armenia. Questa messinscena è stata progettata per isolare e terrorizzare la popolazione armena dell’Artsakh nel periodo precedente all’assalto finale dell’Azerbaigian, culminato nell’esodo forzato degli armeni dalla loro terra ancestrale.

Eventi contrastanti in simultaneità.
Come anticipato, l’Azerbaigian ha sfruttato ancora una volta la COP29 come piattaforma per la propaganda anti-armena, portando avanti programmi di estrazione di combustibili fossili che sono in diretta opposizione a ogni principio ambientale. La dittatura si è assicurata il diritto di ospitare l’evento internazionale, in parte grazie alla decisione dell’Armenia di rinunciare alla propria candidatura di ospitarlo. Eppure, invece di esprimere gratitudine, il leader del regime autocratico si è vantato della pulizia etnica dell’Artsakh, per poi rivolgere una serie di accuse infondate contro l’Armenia.
Il rappresentante del ministro degli Esteri dell’Azerbaijan Hajizada, capo del dipartimento del servizio stampa, è arrivato addirittura ad accusare l’Armenia di inquinare il Mar Caspio attraverso piccoli corsi d’acqua che sfociano nel fiume Arax, nonostante questi corsi d’acqua provengano da centinaia di chilometri di distanza. Neppure una volta però ha menzionato i decenni di inquinamento sistematico provocato dall’industria estrattiva del petrolio in Azerbaigian, che continua a devastare il bacino del Caspio.
Chiaramente, la COP29 è diventata una presa in giro dell’ambientalismo, poiché la nazione ospitante ha uno dei peggiori record al mondo in materia di diritti umani.
In netto contrasto, voci di spicco e veri attivisti ambientali come Greta Thunberg in questi giorni sono in visita in Armenia. Durante una conferenza internazionale tenutasi all’Università Americana dell’Armenia, Thunberg ha denunciato la COP29 attualmente in corso a Baku, come nient’altro che “greenwashing”, evidenziando l’assurdità di ospitare una conferenza ambientale in uno Stato autoritario che non solo è complice della distruzione del pianeta, ma anche responsabile della pulizia etnica contro gli armeni.
Gli ambientalisti hanno manifestato davanti alla rappresentanza dell’Onu a Yerevan e si sono recati anche nella città in prima linea di Jermuk, gran parte della quale è sotto l’occupazione illegale delle forze turche-azere.
Ricordiamoci che quattro anni dopo la seconda guerra del Karabakh, dozzine di prigionieri di guerra armeni rimangono illegalmente detenuti in Azerbaigian. Queste detenzioni sfidano ogni principio del diritto internazionale e ignorano palesemente l’accordo trilaterale del 9 novembre, che ha “provvisoriamente” posto fine al conflitto armato.
Dunque, la COP29 di quest’anno è maggiormente uno spettacolo di “greenwashing”, che funge da ulteriore strumento di branding e propaganda esercitato da una dittatura ereditaria. È una realtà inquietante che le piattaforme climatiche globali, apparentemente destinate ad affrontare le crisi ambientali, stiano invece sostenendo i combustibili fossili e altre “soluzioni” ecologicamente dannose. Inoltre, scegliendo la capitale di questa dittatura neo-ottomana come ospite, la piattaforma rischia di diventare complice della propaganda razzista, mettendo a tacere i diritti umani e dando un nuovo marchio ad un regime dittatoriale che, solo un anno fa, ha espulso la popolazione autoctona armena dell’Artsakh dalla propria patria impiegando strategie palesemente genocide e usando armi vietate come bombe a grappolo e fosforo bianco forniti anche dall’Ucraina.