L’Europa tra frugalità e dumping fiscale

di Antonio Carbonelli * –

Lo scorso 11 aprile nell’articolo “A chi conviene l’Europa?” rilevavo che le tensioni di questi giorni in merito ai coronabond rischiano di far saltare per aria l’Europa, eppure paesi in surplus come la Germania non possono permettersi di trovarsene fuori: senza la moneta comune bloccata, le loro monete andrebbero alle stelle, e addio esportazioni di Mercedes, Audi, Bmw.
Si può aggiungere che sarebbe ora di cominciare a riflettere anche sulla fragilità di economie in cui bisogna correre sempre di più, per produrre sempre di più, e per poter spendere sempre di più, almeno per la maggior parte delle persone, o per poter accumulare sempre di più, per pochi privilegiati… poi, però, bastano un paio di mesi di contenimento delle attività, per un’epidemia di portata mondiale, e si rischia il collasso economico di interi paesi. Ma com’è possibile? L’economia è così fragile?
In questo contesto, pochi giorni fa arriva notizia per cui Francia e Germania propongono la novità rilevante di un fondo europeo di recupero di 500 miliardi di euro da distribuire ai paesi UE più colpiti dall’epidemia e reperiti dalla Commissione Ue sui mercati attraverso l’emissione di titoli comuni.
Oggi invece arriva la doccia fredda di Austria, Paesi Bassi, Danimarca e Svezia, che pretenderebbero un recovery fund alternativo a quello ipotizzato da Francia e Germania, e in un documento inviato alle capitali Ue e a Bruxelles prospettano un fondo di emergenza solo temporaneo, una tantum e limitato a due anni, per sostenere “la ripresa economica e i settori sanitari”, ma consistente in “prestiti a condizioni favorevoli”, senza “alcuna mutualizzazione del debito”, e alla condizione ricattatoria di “un forte impegno per le riforme” nazionali da parte dei beneficiari, leggi nuovi interventi liberisti su lavoro e pensioni.
I bilanci degli stati sono fatti di entrate e di uscite, esattamente come quelli delle famiglie e delle imprese. Ma se l’Europa legittima al suo interno la concorrenza sleale in materia fiscale, per cui importanti società possono trasferire la propria sede in altri paesi dell’Unione per pagare meno tasse, si privano i paesi dai quali partono effettivamente la produzione e la commercializzazione di importanti prodotti, come automobili, autocarri, creme alla nocciola, tanto per fare degli esempi a caso, di parte delle loro entrate fiscali, a vantaggio di paesi che possono dirsi frugali anche perché affluiscono nelle casse dei loro bilanci i proventi fiscali del lavoro degli altri.
Allora si giunge alla situazione paradossale per cui i bilanci di alcuni paesi vengono privati delle entrate fiscali relative a una parte dei prodotti realizzati sul loro territorio, e nello stesso tempo devono essere puniti per la mancanza di entrate fiscali nei loro bilanci statali.
Se si vuol veder sfumare il sogno dell’Europa, siamo sulla buona strada.

* Avvocato giuslavorista e filosofo a Brescia.