di Giuseppe Gagliano –
Quando si parla di Medio Oriente l’illusione che la diplomazia possa risolvere magicamente le tensioni in atto si scontra spesso con la realtà sul campo. L’ultimo capitolo di questa lunga storia arriva dal sud del Libano, dove Israele ha respinto la proposta della Francia di dispiegare truppe nelle aree ancora occupate dalle sue forze. Un rifiuto che non sorprende, ma che porta con sé implicazioni geopolitiche di rilievo, a partire dal futuro del Libano, dalla posizione di Hezbollah e dal ruolo sempre più marginale dell’Europa nella regione.
La proposta francese nasceva dalla necessità di risolvere una situazione rimasta in sospeso dopo l’ultima guerra tra Israele e Hezbollah. Dopo due mesi di conflitto, un accordo di cessate-il-fuoco mediato da Washington e Parigi aveva portato a un ritiro israeliano dal sud del Libano. Ma come spesso accade, gli accordi sulla carta non si sono tradotti in azioni concrete. Le forze israeliane infatti hanno mantenuto il controllo di cinque postazioni strategiche, ignorando le pressioni di Beirut per un ritiro totale. È qui che entra in scena la Francia, con la sua proposta di inviare un contingente militare per facilitare la transizione e garantire la sicurezza nella zona.
Ma per Israele l’idea di cedere il controllo di quelle postazioni non era nemmeno in discussione. Da un lato c’è la convinzione, radicata nella leadership politica e militare di Tel Aviv, che qualsiasi concessione su questioni di sicurezza venga percepita come un segnale di debolezza. Dall’altro c’è la concreta realtà del terreno: quelle postazioni non sono semplici avamposti, ma punti strategici che permettono di monitorare i movimenti di Hezbollah e, soprattutto, di impedire che il gruppo sciita libanese rafforzi ulteriormente le proprie posizioni lungo il confine settentrionale di Israele.
L’esperienza del passato gioca un ruolo fondamentale nelle decisioni israeliane. Dal 2006 Hezbollah ha dimostrato di essere un attore sempre più capace, ben armato e finanziato dall’Iran. Israele considera il gruppo libanese una minaccia ben più seria di Hamas, con un arsenale missilistico e una capacità operativa che potrebbero trasformare un conflitto locale in una guerra regionale. Per questo cedere il controllo di quelle postazioni significherebbe, agli occhi di Tel Aviv, lasciare campo libero a Hezbollah e rischiare di trovarsi un problema ancora più grande tra qualche anno.
La bocciatura della proposta francese, però, non è solo una questione di sicurezza militare. È anche un chiaro segnale politico: Israele non riconosce alla Francia – e, più in generale, all’Europa – alcuna reale influenza nelle dinamiche della regione. L’Unione Europea ha cercato più volte di ritagliarsi un ruolo da mediatore in Medio Oriente, ma la realtà è che le decisioni chiave vengono prese altrove: a Washington, a Riyadh, a Teheran e, ovviamente, a Tel Aviv. La Francia, nonostante la sua storica presenza in Libano e il coinvolgimento nell’UNIFIL, viene percepita come un attore privo di reali strumenti di pressione su Israele.
Nel frattempo il Libano continua a navigare in acque agitate. Il presidente libanese Joseph Aoun si è recato in Arabia Saudita per cercare aiuti finanziari per il suo esercito, un’istituzione che da anni fatica a mantenere una parvenza di controllo nel Paese. La crisi economica che ha travolto il Libano ha reso l’esercito ancora più fragile, mentre Hezbollah continua a consolidare il proprio potere, diventando di fatto l’unica forza militare realmente efficace nel Paese. La richiesta di Aoun a Riyadh è chiara: riattivare il pacchetto di aiuti da 3 miliardi di dollari che l’Arabia Saudita aveva sospeso nel 2016, quando Beirut si era rifiutata di condannare l’attacco alle missioni diplomatiche saudite in Iran.
Tuttavia l’Arabia Saudita, così come Israele e gli Stati Uniti, sa bene che qualsiasi aiuto al Libano potrebbe finire, direttamente o indirettamente, nelle mani di Hezbollah. Ed è proprio questo il nodo centrale della questione: mentre Israele gioca la sua partita per la sicurezza, mantenendo il controllo delle postazioni nel sud del Libano, Hezbollah usa il rifiuto israeliano come strumento di propaganda per rafforzare la propria posizione. Il gruppo sciita continua a presentarsi come il vero difensore della sovranità libanese, sfruttando il vuoto lasciato dallo Stato centrale per legittimare la sua esistenza e la sua agenda politica.
In tutto questo l’Europa rimane spettatrice di un gioco che non controlla. La Francia aveva tentato di rilanciare la sua influenza nella regione con questa proposta, ma il rifiuto di Israele dimostra quanto sia ormai marginale il suo ruolo. Mentre gli equilibri geopolitici si ridefiniscono tra Washington, Tel Aviv e le potenze del Golfo, l’Europa rischia di rimanere sempre più un osservatore impotente, incapace di incidere nelle dinamiche del Medio Oriente.
Alla fine il sud del Libano rimane un’area contesa, un punto caldo che potrebbe riaccendere il conflitto in qualsiasi momento. Israele ha deciso di mantenere il controllo della situazione con la forza, rifiutando soluzioni diplomatiche che considera inefficaci. Hezbollah, dal canto suo, continuerà a rafforzarsi, in attesa del momento opportuno per riaffermare la propria presenza. E il Libano, come sempre, rischia di essere l’anello debole di un confronto che va ben oltre i suoi confini.












