Libia. Cosa c’è dietro la “riconciliazione” tra Misurata e Zintan?

di Vanessa Tomassini – 

Mercoledì 28 marzo i rappresentanti della città di Misurata si sono recati a Zintan, città nord-occidentale della Libia, nel distretto di al-Jabal al-Gharbi, a circa 160 km a sud-ovest dalla capitale. Nell’occasione il sindaco di Zintan, Mustafa al-Barouni, ha parlato di riconciliazione nazionale come unica via per la ricostruzione della Libia. “Noi siamo libici e dobbiamo riconciliarci tra noi” ha affermato il primo cittadino. Le due città hanno condiviso la necessità di mettere fine ad un passato di ostilità, evitando scontri e violenze. Facendosi promotrici di un messaggio di pace e di speranza, le due hanno espresso la fervida volontà di ricostruire lo stato, unificare le forze armate e le istituzioni, di sottomettere l’esercito e la polizia alle istituzioni civili rinnovando l’impegno nella lotta al terrorismo. Uno spirito di patriottismo che vedrà impegnate Zintan e Misurata nella costituzione di un comitato speciale che si occuperà, tra le varie questioni, del destino dei prigionieri e di quanti dal 2011 ad oggi siano stati vittime di sparizioni forzate. Comitato che verrà costituito senza perdere tempo prima del prossimo incontro a Misurata in programma nei prossimi mesi. Un’accordo ben accolto anche dall’Ambasciata d’Italia a Tripoli che in un tweet ha fatto sapere: “Benvenuta la riconciliazione annunciata ieri da Misurata e Zintan. Costituisce un esempio di risoluzione delle controversie passate, attraverso il dialogo e la creazione di grafici sulla via da seguire verso la pace, lo stato di diritto, il dominio civile. Questa è la strada da percorrere per superare il conflitto e la divisione”. Eppure, nonostante il bel messaggio e l’espressione di idee largamente condivisibili, l’accordo tra le due città ha suscitato non poche perplessità a chi si occupa della scena libica.
Ma andiamo per gradi: innanzitutto, va detto che attraverso l’area di Zintan passa l’oleodotto che unisce i giacimenti petroliferi nel sud-ovest a Tripoli. Zintan con le sue milizie, compreso il Consiglio militare sotto l’egida di Osama al-Juwaili, si sono sempre sentiti indipendenti sia dal Governo di Accordo Nazionale, sia dalle forze orientali di Tobruk del generale Khalifa Haftar. Osama al-Juwaily è una figura emblematica per comprendere la vicenda: 59enne è stato un membro dell’esercito durante gli anni del regime, per poi dedicarsi all’attività di tassista, tuttavia in molti sostengono sia stato uno degli informatori della Nato sul campo durante la guerra civile scoppiata nel 2011. È stato il primo ministro della Difesa dell’era post-Gheddafi nel Consiglio nazionale di transizione libico (TNC), che raccoglieva le varie forze che si opponevano all’ex Rais e alcuni ex membri del Comitato generale popolare di Libia e dell’Esercito libico, passati dalla parte delle forze di opposizione, tutti riconducibili più o meno apertamente alla Fratellanza Musulmana, oggi spesso definiti dai meno diplomatici: islamisti . Osama al-Juwaili ha condotto un’offensiva nel territorio di Wershefana nell’entroterra di Tripoli nel novembre 2017 coalizzandosi con Haytham al-Tajouri in un’operazione spacciata come anti-crimine, ma che ha minato notevolmente la presenza dell’esercito nazionale. Haytham al-Tajouri è il capo della più grande milizia della capitale, la Tripoli Revolutionaries Brigade (TRB) che ha minacciato e intimidito i funzionari politici e bancari dal 2012 per proteggere i considerevoli interessi che ha accumulato nella capitale anche attraverso la firma di contratti stipulati con ricatti e rapimenti.
Le milizie di Zintan sono state responsabili della chiusura di oleodotti vitali che collegano i giacimenti di Sharara e El Feel nel sud-ovest della Libia ai terminali costieri dalla fine del 2014, costando oltre 20 miliardi di dollari di entrate perse, secondo la National Oil Corporation.
Misurata è la terza città per importanza della Libia, situata nella zona costiera del Golfo della Sirte, conta oltre 400.000 abitanti. Anche Misurata, così come Zintan, ha mantenuto una sua indipendenza ed è stata una delle prime città a sollevarsi contro il Rais. È stata infatti teatro di una cruenta battaglia tra gli oppositori al regime di Muammar Gheddafi e le forze lealiste, cadde stabilmente sotto il controllo dei ribelli il 23 aprile 2011 dopo mesi di assedio da parte dei governativi. È stata considerata per anni la base degli islamisti che si propongono al mondo come moderati. Diverse figure politiche e imprenditoriali di spicco a Misurata sostengono il governo di Accordo Nazionale, incluso l’uomo d’affari e vice primo ministro Ahmed Maiteeq. Ciò ha contribuito a garantire il sostegno di alcuni dei principali gruppi armati della città, comprese le brigate più grandi Halbous e Mahjoub. Le tensioni sono cresciute nel corso degli anni anche tra il consiglio militare della città e il suo consiglio municipale, con diversi tentativi di spodestare quest’ultimo. Dopo la rivoluzione, le milizie di Zintan e Misurata hanno provato più e più volte a prendere il controllo della capitale, scontri culminati con la distruzione dell’aeroporto internazionale di Tripoli, ora in fase di ristrutturazione. Entrambe le città tuttavia hanno perso la loro influenza nella capitale, Zintan che ha visto distrutto l’aeroporto che era divenuto la base logistica dei suoi affari, e Misurata di fatto sconfitta dalle milizie fedeli al Governo di Accordo Nazionale.
Un analisi del momento storico in cui giunge l’accordo tra questi due centri, da sempre rivali, mostra che esso si colloca esattamente ad una settimana dai meeting al Cairo, in cui si è discussa l’unificazione dell’esercito, che hanno visto partecipare sia le brigate di Tripoli, legate al Consiglio presidenziale, che gli ufficiali facenti capo all’autoproclamato Libyan National Army del generale Khalifa Haftar, il quale mira a divenire capo del futuro esercito unificato. La scorsa settimana, Mohammed Gnaidi, capo dell’intelligence militare del gruppo Bunyan al-Marsous (BAM) ha coinvolto le milizie di Zintan e Misurata, ma anche altri gruppi della regione occidentale, in colloqui aventi sempre per obiettivo l’unificazione dell’esercito escludendo però, a differenza di quelli ufficiali condotti al Cairo, le forze di Haftar. Altra coincidenza è che l’accordo di riconciliazione giunge in seguito al discorso dell’Alto Rappresentante delle Nazioni Unite in Libia, Ghassan Salamè, al Consiglio di Sicurezza che denunciava un’incapacità delle istituzioni di fornire servizi ai cittadini. In molti hanno visto, forse erroneamente, un chiaro riferimento al Governo di Accordo Nazionale di Fayez al-Serraj, che continua ad avere problemi anche al suo interno con accuse reciproche tra presidente e ministri. A rivelare la natura tutt’altro che benevola dell’accordo di Riconciliazione sono poi le benedizioni che questo ha ricevuto, quelle del Gran Mufti Sadiq al-Ghariani e quelle di Abdelhakim Belhadj e Alì Salabi, membri del gruppo terroristico dei combattenti islamici libici Al-Jama’a al-Islamiyyah al-Muqatilah bi-Libya, meglio noto come LIFG. Il supporto di questi elementi lascia intravedere il reale scopo della finta riconciliazione: interrompere lo sforzo per l’unificazione dell’esercito, fare in modo che questa avvenga senza di loro, oppure unire le proprie forze non tanto contro il Governo di Tripoli, ma bensì per creare caos al fine di sostenere gli esponenti che li hanno da sempre finanziati. Tutto ciò troverebbe conferma nell’ondata di rapimenti che ha sconvolto la capitale, la quale ha riguardato nei giorni scorsi anche il sindaco di Tripoli e precedentemente il ministero dell’Interno, accompagnato dall’assalto dalle forze di Zintan al checkpoint 27, ad ovest della capitale, e l’avanzamento verso l’aeroporto, anch’esso ripetutamente teatro di scontri. Sembra chiaro che tali segnali potrebbero essere un campanello d’allarme che annuncia un prossimo peggioramento della situazione nella zona nord-occidentale.