di Giuseppe Gagliano –
Khalifa Haftar, il signore della guerra libico che controlla la Cirenaica con pugno di ferro, ha scelto la Parata della Vittoria russa del 9 maggio per lanciare un messaggio al mondo: la sua alleanza con il Cremlino è più solida che mai. Accolto da cerimoniali militari e colloqui riservati con i vertici del ministero della Difesa, Haftar rinsalda un legame avviato nel 2017, quando siglò i primi accordi militari a bordo della nave ammiraglia russa Admiral Kuznetsov. Oggi però il suo obiettivo è più ambizioso: trasformare la Libia orientale in un hub strategico per gli interessi di Mosca in Africa, mentre la Russia, dopo il ridimensionamento siriano, cerca nuovi teatri d’influenza.
Dietro la retorica della “lotta al terrorismo”, il sostegno russo all’Esercito Nazionale Libico (LNA) si concretizza in aiuti tangibili: rifornimenti di equipaggiamenti via aerea, presenza di consulenti militari bielorussi nella base di Tamantat (Fezzan), e un rinnovato patto di cooperazione firmato dal figlio Khaled, capo delle sicurezza dell’LNA. Un sostegno che permette a Haftar di consolidare il controllo sul sud del Paese, ricco di risorse e corridoi migratori, mentre Mosca acquisisce un punto d’appoggio cruciale nel Mediterraneo.
La mossa più sorprendente, però, arriva da Ankara. Lo stesso Haftar che nel 2020 fu respinto da Tripoli grazie ai droni Bayraktar turchi, oggi invia il figlio Saddam a negoziare con Erdogan. L’accordo preliminare prevede forniture di droni, addestramento per 1.500 miliziani e esercitazioni navali congiunte. Una riconciliazione dettata dal pragmatismo: la Turchia, che mantiene basi nella Tripolitania rivale, cerca ora di porsi come mediatrice per unificare le fazioni libiche, mentre Haftar mira a diversificare gli alleati, riducendo la dipendenza da Egitto ed Emirati.
Haftar, 81 anni, delega ai figli il compito di tessere la trama diplomatica. Khaled, già al comando delle forze speciali, gestisce i rapporti con Mosca; Saddam, inviato in Turchia e recentemente a Washington, prova ad ammorbidire l’ostilità americana. Una strategia familiare che trasforma l’LNA in un clan militare, ma solleva dubbi sulla stabilità: fin dove può spingersi questa dinastia prima che le rivalità interne o le pressioni esterne la facciano collassare?
Il gioco di Haftar è rischioso: corteggiare simultaneamente Russia, Turchia e persino gli USA, mentre la Libia rimane spaccata tra governi rivali. Mosca ed Ankara, pur collaborando con Bengasi, non rinunciano ai propri interessi in Tripolitania. E se per il Cremlino l’LNA è un tramite per accaparrarsi contratti energetici, Erdogan vede nella riconciliazione un modo per legittimare la sua presenza militare. Intanto, la popolazione libica, stremata da un decennio di guerra, attende una pace che sembra sempre più un miraggio, mentre le potenze straniere trasformano il Paese in un campo di battaglia per procura.
Haftar naviga in acque tumultuose, bilanciando alleanze contraddittorie. Ma il suo successo dipende dalla capacità di mantenere attivi tutti i fronti diplomatici senza cedere a nessuno. Un errore di calcolo, un cambio di vento a Washington o Ankara, e il castello potrebbe crollare. La Libia, intanto, resta in bilico tra ricostruzione e nuova frammentazione, mentre il mondo osserva, consapevole che ogni mossa qui ridefinisce gli equilibri del Mediterraneo.