Libia. La partita per il petrolio e il gas

di Daniel Pescini – 

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Geopolitica italiana – La Libia ha 48 miliardi di barili di riserve provate di petrolio, le più grandi di tutta l’Africa. Una ricchezza immensa, che ai prezzi di oggi può essere stimata in oltre 300 miliardi di dollari. Ma occorre saperla sfruttare. Posto che solo le grandi compagnie petrolifere americane ed europee hanno il capitale e le tecnologie necessarie per accollarsi il rischio delle esplorazioni e la fase di sfruttamento dei giacimenti, la Libia deve al più presto varare una legge sul petrolio e sul gas che stabilisca chi fa che cosa, con quale retribuzione, come spendere i soldi che entreranno nelle casse dello stato e come saranno redistribuiti alle regioni di produzione. Gli Stati Uniti hanno già le idee chiare, ma il paese è sull’orlo della guerra civile.

Un tesoro da “Mille e una notte”. Le compagnie petrolifere internazionali mostrano molto interesse alla situazione politica della Libia per tre motivi. Innanzi tutto perchè ci sono trenta major (tra cui Eni, Royal Dutch Shell, Exxon Mobil, Repsol, Total e Gazprom) che tra il 2005 e il 2007 hanno ottenuto licenze di sfruttamento che possono essere utilizzate solo se a garantirle è uno stato legittimo, riconosciuto e sovrano (per una mappa della presenza delle multinazionali petrolifere in Libia si veda la tabella riportata qui sotto, tratta dal sito della US Energy Information Agency).

In secondo luogo perchè il paese è considerato con grandi capacità estrattive. Venti anni di sanzioni internazionali, terminate nel 2004, hanno rallentato l’attività di sfruttamento, l’ammodernamento delle infrastrutture di estrazione e trasporto, le attività di esplorazione di nuovi giacimenti. La Libia, così, si ritrova ad ad avere oggi 48 miliardi di barili di riserve provate di petrolio, le più grandi di tutta l’Africa, il 38% di tutto il continente. Circa l’80% si trovano nel bacino della Sirte (nell’entroterra desertico della Cirenaica), dal quale già proviene la maggior parte della produzione petrolifera. Nel paese esistono sei grandi bacini sedimentari ancora da esplorare del tutto: Sirte, Murzuk, Ghadames, Cirenaica, Kufra e la piattaforma continentale di fronte alle coste (si veda mappa all’inizio di questa analisi). Il terzo motivo sta nelle caratteristiche naturali del petrolio libico. Si tratta di petrolio “light”, ovvero con bassa densità e bassa viscosità, che ne facilita il trasporto via oleodotto. Dal “light”, inoltre, si estrae una maggiore percentuale di carburanti rispetto ad altri tipi di petrolio. Il greggio libico è anche “sweet” (dolce) ovvero ha un basso tenore di zolfo, per cui non è necessario depurarlo con costosi processi chimici. Un petrolio “light” e “sweet” è più apprezzato dalle compagnie perchè permette di produrre carburanti a prezzi più bassi. Insomma, la corsa al petrolio libico promette un premio eccezionale ai suoi concorrenti (1).

Scioperi, blocchi e attacchi: un paese sull’orlo della guerra civile. Il governo libico dopo aver annunciato il rilascio di nuove licenze di sfruttamento per il 2013 continua a rinviare la prossima asta, ma
Lo scorso 2 marzo 2014, la sede del parlamento transitorio a Tripoli è stata letteralmente assalta da dozzine di uomini armati. Le uccisioni di ex ufficiali del regime di Gheddafi, di giornalisti e stranieri continuano senza sosta, in particolare nell’est del paese. La città di Derna è considerata una roccaforte di Al Qaeda e il principale centro di divulgazione delle idee islamiste nel paese. Le elezioni per una nuova assemblea costituente dello scorso 20 febbraio sono state caratterizzate da feroci episodi di violenza che hanno impedito l’elezione di 13 membri sui 60 totali (2). Dall’estate del 2013 il settore petrolifero della Libia è di fatto quasi completamente bloccato. In luglio ed agosto scioperi e proteste dei lavoratori nei principali porti della Cirenaica e in alcuni campi petroliferi, per ottenere salari più alti e migliori condizioni di lavoro, hanno causato la caduta della produzione a un milione di barili al giorno a luglio e a 600mila barili al giorno in agosto. Nella primavera del 2013 la produzione era stata riportata ai livelli pre-bellici: circa 1,5 milioni di barili al giorno (il massimo è stato di 1,8 milioni di barili al giorno, nel 2008). Protagonista principale del blocco è la Petroleum Facilities Guard, milizia che dipende dal Ministero del petrolio e che avrebbe il compito di proteggere le installazioni petrolifere libiche. Sotto la guida di Ibrahim Jadhran, i miliziani hanno imposto il blocco ai porti petroliferi della Cirenaica, tra cui Brega e Zueitina, impedendo di fatto l’esportazione di greggio. Jadhran accusa il governo di Tripoli di corruzione e recentemente ha stretto un’alleanza con i movimenti che vogliono l’autonomia della Cirenaica. Si stima che le forze a disposizione di questo blocco siano consistenti: circa 17mila uomini. Alla fine di agosto 2013, membri della milizia Zintan hanno bloccato gli oleodotti che collegano i giacimenti di El Sharara e di El Feel (nell’ovest del paese) ai terminali di esportazione di Zawiya e di Mellitah, chiudendo l’attività estrattiva e facendo crollare, da settembre 2013, la produzione a 200-240mila barili al giorno. Fino al giugno 2013 la Libia incassava 4 miliardi di dollari al mese dalle esportazioni di petrolio. Ora si stima che la perdita giornaliera sia di 130 milioni di dollari al giorno.

Verso una nuova legge sul petrolio e sul gas. Si capisce quindi perchè al paese serva anche una profonda riforma del settore petrolifero e una nuova legge sul petrolio e sul gas. La redazione della nuova legge è affidata al Libya’s Petroleum Law Review Committee, che ha iniziato i suoi lavori nel marzo 2013. A presiedere il comitato, formato da esperti di finanza, economia, ingegneria petrolifera e tasse, è Najmi Karem. Ben poco però si sa del lavoro condotto fino ad oggi. Esiste una proposta di legge che punta a riordinare tutti gli aspetti del settore degli idrocarburi. In particolare sono quattro i punti che devono essere affrontati con maggiore attenzione: potenziare le capacità di raffinazione e allargare la distribuzione sul mercato libico; la riforma dei sussidi statali; la ristrutturazione della compagnia petrolifera statale libica (NOC); le nuove condizioni con cui stipulare i contratti di esplorazione e produzione. Resta tuttavia un nodo difficile da dipanare: quale bilanciamento fare tra potere del governo centrale e attori regionali? La situazione politica non aiuta l’elaborazione della legge. Il 22 gennaio 2014, Abdulbari Al-Arusi, ministro libico del petrolio, si è dimesso dalla carica in seguito alla decisione del suo partito, il Justice and Construction Party (JCP), di togliere la fiducia al primo ministro Ali Zeidan. Quattro giorni dopo, all’incertezza sulla sua successione si è aggiunta anche la più totale confusione quando il governo è riuscito a trovare un accordo con il JCP per mantenere in carica il ministro fino a che non sarà individuato un sostituto (4).

Il punto di vista degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti hanno già le idee chiare su che cosa dovrà stabilire la nuova legge libica sul petrolio sul gas. Washington vuole regole chiare e competitive sulle procedure con cui saranno assegnati diritti di esplorazione e di produzione. Allo stesso modo, deve essere chiaro quale sarà il ruolo del govenro libica e delle compagnie di stato nel settore. La legge dovrà inoltre richiedere precise garanzie sull’impatto sociale e ambientale dell’attività petrolifera e prevedere i meccanismi di redistribuzione dei proventi petroliferi sia verso i vari livelli di governo (nazionale e regionale) sia verso le singole regioni di produzione. Gli Stati Uniti, inoltre, rivendicano un ruolo determinante per il Fondo monetario internazionale e per la Banca mondiale, vincolando la riforma dell’industria petrolifiera a più ampie riforme nella gestione della finanza pubblica libica che i due istituti dovranno guidare. Inoltre, gli Stati Uniti vogliono che la Libia aderisca agli standard della Extractive Industries Transparency

Initiative (EITI). I paesi che si impegnano ad osservare le regole della EITI assicurano la piena trasparenza sull’utilizzo dei soldi che le compagnie petrolifere versano ai governi. Un report annuale certifica tale utilizzo e permette ai cittadini di verificare da soli come tali soldi, derivanti dallo sfruttamento delle risorse naturali del paese, siano stati utilizzati. L’Iraq è l’esempio di un paese uscito da un conflitto che ha aderito alla EITI. La strada politica per raggiungere questi obiettivi è il pieno appoggio americano agli sforzi del governo di Tripoli per pacificare il paese e ad accompagnare il processo di stabilizzazione post bellico, ma al momento è proprio l’inpasse che la Libia sta attraversando a rendere più difficile una riofrma adeguata del settore petrolifero. Gli Stati Uniti, comuque, hanno già fatto sapere che considerano un furto al popolo libico l’acquisto di petrolio da qualsiasi altro soggetto che non sia la Libyan National Oil Corporation (5).

Conclusioni. In Libia esiste un circolo vizioso. Le compagnie petrolifere internazionali hanno bisogno di regole certe e fissate una volta per tutte e di un governo capace di garantirne il rispetto. Nessuno governo libico può garantire il rispetto delle leggi senza le entrate derivati dalle esportazioni petrolifere. Le esportazioni petrolifere sono a rischio perchè il territorio è in mano alle milizie locali. Senza sicurezza le compagnie petrolifere difficilmente investiranno. Gli occhi sono puntati sulla conferenza sulla Libia che si terrà a Roma il prossimo 6 marzo a cui sono stati invitati anche i ”protagonisti della regione non previsti nella prima conferenza (quella di Parigi)”. Che sia l’inizio di un nuovo approccio per riconciliare il paese?

Note
1. Per un quadro completo sulla situazione dell’industria degli idrocarburi in Libia si veda il report “Libya” della Us Energy Information organization.
2. Maher Chmaytelli. Libya May Sweeten Terms to Entice More Crude Oil Exploration, Bloomberg.com, 17 set 2013; David Kirkpatrick, Frustrated With the Pace of Change, Rioters Storm Parliament Building in Libya, New York Times, 2 marzo 2014.
3. Committee to Revise Libyan Oil Law Meets. Libyaninvestment.com, 21 marzo 2013.
4. Stuart Elliott, Libyan oil minister Arousi resigns, latest blow to sector, Platts.com, 22 gennaio 2014; Ahmed Elumami, J&C Party ministers to remain in post until replacements found, Libyaherald.com, 26 gennaio 2014
5. Intervento dell’amabasciatrice statunitense in Libia Deborah K. Jones al Libya Forum di Istanbul del 10 febbraio 2014. L’intervento è reperibile per intero sulla pagina Fecebook dell’Ambasciata, tra i post dell’11 febbraio 2014.