L’ICIJ apre il vaso di “Pandora Papers”

a cura di C. Alessandro Mauceri * –

Qualche anno fa i Panama Papers misero in luce numeri e misfatti di decine di membri del jet set internazionale. Ora è la volta dei Pandora Papers. ICIJ, un consorzio di giornalisti investigativi (600 di 90 paesi) ha ricostruito i giri di denaro sporco o sfuggito all’erario nel paese di provenienza e capitalizzato grazie a compagnie off shore e intermediari senza scrupoli. L’inchiesta giornalistica ha scoperchiato un vero e proprio vaso di Pandora mettendo in luce un’economia sommersa della quale beneficiano ricchi e benestanti, a scapito di tutti gli altri. L’International Consortium of Investigative Journalists ha spulciato oltre 11,9 milioni di file riservati dai quali sono saltati fuori i segreti di centinaia di leader mondiali, politici e funzionari pubblici di alto livello in 91 paesi e territori e una schiera di personaggi discutibili. Come l’erede di una delle famiglie più potenti del Guatemala che controlla il mercato del sapone e dei rossetti, già accusato di danneggiare i lavoratori e la terra: sarebbero suoi i 13 milioni di dollari nascosti in un fondo segreto negli Stati Uniti. Della lista fanno parte un numero impressionante di nomi famosi. Come il re di Giordania (tre ville sulla spiaggia a Malibù acquistate utilizzando tre società offshore per 68 milioni di dollari): si è giustificato dicendo che, in virtù del suo rango, non è tenuto a rendere conto ai propri cittadini del modo in cui gestisce i propri capitali. “Se il monarca giordano mostrasse la sua ricchezza in modo più pubblico, non solo si inimicherebbe il suo popolo, ma farebbe arrabbiare i donatori occidentali che gli hanno dato soldi”, ha detto all’ICIJ Annelle Sheline, esperta di autorità politica in Medio Oriente.
In Libano, paese povero a causa di guerre e migrazioni, alcune figure politiche di spicco avrebbero abbracciato i paradisi offshore. Tra loro, secondo ICIJ, l’attuale primo ministro Najib Mikati e il suo predecessore Hassan Diab. E poi Riad Salameh, governatore della banca centrale libanese, indagato in Francia per presunto riciclaggio di denaro. Nei file comparirebbe anche il nome di Marwan Kheireddine, ex ministro libanese e presidente della al-Mawarid Bank. Nel 2019 aveva rimproverato gli ex colleghi parlamentari per l’inazione durante la crisi economica: “C’è l’evasione fiscale e il governo deve affrontarla”, aveva dichiarato Kheireddine. Secondo i Pandora Papers, lo stesso anno, Kheireddine avrebbe firmato i documenti come proprietario di una società BVI, che possiede tra l’altro uno yacht da 2 milioni di dollari. Kheireddine e Diab non hanno risposto all’invito di ICIJ di commentare questi documenti. Salameh ha detto di dichiarare i propri beni e di aver ottemperato agli obblighi di legge libanesi. Il figlio di Mikati, Maher, ha affermato che è comune per le persone in Libano utilizzare società offshore “a causa del facile processo di costituzione” piuttosto che per il desiderio di evadere le tasse.
Alcuni anni fa, i Panama Papers avevano rivelato che i figli dell’allora primo ministro pachistano, Nawaz Sharif, avevano legami con società offshore. Il suo oppositore politico, Khan, cavalcò questa notizia per attaccare Sharif parlando di “coalizione dei corrotti” che stava devastando il Pakistan: “È disgustoso il modo in cui il denaro viene depredato nel mondo in via di sviluppo da persone che sono già private dei servizi di base: salute, istruzione, giustizia e occupazione”, dichiarò Khan, nel 2016. “Questo denaro viene messo in conti offshore o anche in paesi occidentali, banche occidentali. I poveri diventano più poveri. I paesi poveri diventano più poveri e i paesi ricchi diventano più ricchi. I conti offshore proteggono questi truffatori”. La corte suprema del Pakistan rimosse Sharif dall’incarico. Ora, l’ultima indagine dell’ICIJ, rivela che anche persone vicine a Khan (il suo ministro delle finanze e un importante finanziatore) beneficiano di proprietà offshore.
Situazione analoga per il “primo ministro populista della Repubblica Ceca, un miliardario che si è scagliato contro la corruzione delle élite economiche e politiche”, Andrej Babis. Tra gli uomini più ricchi del suo paese, era salito al potere promettendo di reprimere l’evasione fiscale e la corruzione. Nel 2011, Babis promise agli elettori che avrebbe creato un paese “in cui gli imprenditori faranno affari e saranno felici di pagare le tasse”. Gli ultimi documenti trapelati mostrano che, nel 2009, Babis ha investito 22 milioni di dollari in una serie di società di comodo per acquistare, grazie a una proprietà tentacolare, Chateau Bigaud, un castello da 22 milioni di dollari con tanto di cinema e due piscine in un villaggio in cima a una collina a Mougins, in Francia, vicino a Cannes.
E poi l’ex primo ministro britannico Tony Blair. Secondo i Pandora Papers, nel 2017, Blair e sua moglie, Cherie, sarebbero diventati proprietari di un edificio vittoriano da 8,8 milioni di dollari acquisendo la società delle Isole Vergini britanniche che ne deteneva la proprietà. Blair avrebbe acquistato la società offshore dalla famiglia del ministro dell’Industria e del turismo del Bahrain, Zayed bin Rashid al-Zayani. Così facendo, i Blair avrebbero beneficiato di un accordo legale che permetteva loro di evitare di dover pagare oltre 400.000 dollari di tasse sulla proprietà. I Blair e gli al-Zayani hanno dichiarato di non essere a conoscenza del coinvolgimento reciproco nell’accordo e “Cherie Blair ha affermato che suo marito non era coinvolto nella transazione” e che il suo scopo era “riportare la società e l’edificio nel regime fiscale e normativo del Regno Unito”.
La lista dei soggetti presenti nei Pandora Papers è lunga. Lunghissima. Arriva fino al “ministro della propaganda non ufficiale” del presidente russo Vladimir Putin.
Lo strumento più usato sono le società offshore dove i vip furbetti depositano centinaia di milioni di dollari. Dall’indagine di ICIJ sono emersi i legami e gli intrighi tra che partendo da poco più di una decina di società offshore collegano ben 956 società in vari paradisi fiscali. Più di due terzi di queste società si trovano in paesi dove la legge tutela la privacy e offre ampi spazi di manovra a chi non vuole essere scoperto. Chiusa per sempre la moda dei conti svizzeri, ora il nuovo paradiso per chi vuole evadere il fisco sono le Isole Vergini britanniche. Secondo ICIJ, all’ex Beatles Ringo Star sarebbero riconducibili non una, ma quasi una mezza dozzina di società offshore in questo paese. Lo stesso dicasi per l’ex modella Claudia Schiffer. Tra i nomi che compaiono nei Pandora Papers anche la superstar indiana del cricket Sachin Tendulkar, la diva della musica pop Shakira e Julio Iglesias.
Spulciare a fondo tutti questi file ha richiesto due anni e mezzo di lavoro. A causa della complessità e della segretezza del sistema offshore, spesso è difficile sapere quanto di quella ricchezza sia legata all’evasione fiscale e ad altri reati e quanta di essa riguardi fondi che provengono da fonti legittime e sono stati segnalati alle autorità competenti. E poi ville e castelli, conti bancari in incognito, jet privati, yacht e persino opere d’arte di Picasso, Banksy e altri maestri.
In un’epoca caratterizzata da autoritarismo e disuguaglianza, i Pandora Papers hanno fatto emergere uno dei lati sporchi della finanza internazionale. Dove denaro e potere spesso riescono ad eludere tasse e leggi che valgono per i “normali” cittadini. In tutto il mondo. Anche nei paesi poveri. Del resto per farlo non ci vuole molto: per poche centinaia o poche migliaia di dollari, i fornitori offshore possono aiutare i propri “clienti” a creare una società che garantisca l’anonimato (pardon: la “privacy”). Con poco di più possono creare un trust che, in alcuni casi, consente ai beneficiari di controllare i propri soldi da remoto senza essere scoperti dal fisco.
Contattati da IGIJ per chiedere spiegazioni, molti dei soggetti emersi dall’inchiesta giornalistica hanno preferito non rispondere. Altri, come l’avvocato di Tendulkar, hanno detto che si tratta di investimenti legittimi. L’avvocato di Shakira ha detto che le società della cantante non forniscono vantaggi fiscali. I rappresentanti della Schiffer hanno affermato che la ex top model paga correttamente le tasse nel Regno Unito, dove vive.
Il punto è che in molti paesi non è illegale detenere attività offshore o utilizzare società di comodo per fare affari oltre i confini nazionali. La giustificazione è che spesso gli uomini d’affari che operano a livello mondiale “hanno bisogno” di società offshore per condurre i propri affari. Purtroppo il confine tra affari trasparenti e trasferire i propri profitti dai paesi ad alta tassazione, dove vengono guadagnati, a società che esistono solo sulla carta, in giurisdizioni a bassa tassazione è incredibilmente sottile.
I Pandora Papers hanno mostrato e dimostrato che esiste una “macchina da soldi offshore” che copre ogni angolo del pianeta. Nelle Isole Vergini britanniche. Nelle Cayman o in Lussemburgo. O negli USA: nell’ultimo decennio il South Dakota, il Nevada e altri stati degli Stati Uniti d’America si sono trasformati in leader nel settore della vendita del segreto finanziario. Nel 2014 gli Usa si sono rifiutati di aderire a un accordo che richiederebbe alle istituzioni finanziarie americane di condividere le informazioni in loro possesso sui beni degli stranieri. Oggi sono uno dei maggiori attori nel mondo offshore.
Qualche anno fa i Panama Papers misero in luce i legami che esistevano tra evasione e fuga dei capitali all’estero. Ma i Panama Papers provenivano dagli archivi di un unico fornitore di servizi offshore: lo studio legale panamense Mossack Fonseca. Ora i Pandora Papers fanno luce su uno spaccato molto più ampio fatto di avvocati e intermediari che sono al vertice dell’industria offshore. I Pandora Papers rivelano i veri proprietari di oltre 29.000 società offshore, soggetti provenienti da oltre 200 paesi, dalla Russia, al Regno Unito, dall’Argentina alla Cina. Attività offshore che non lavorano in isolamento: collaborano tra loro e con altri “fornitori di segretezza” in tutto il mondo per creare strati interconnessi di società e trust. Reti complesse e protette per garantire la privacy dei clienti. Soldi che passano da un computer all’altro eludend o i controlli del fisco.
“Un paradiso di truffe”, come lo ha definito ICIJ, molte delle quali rimarranno impunite: avere aperto questo vaso di Pandora non cambierà questo modo di fare. “Per coloro che possono assumere i contabili giusti, il sistema fiscale è un paradiso di truffe, vantaggi … e profitti”. A dichiararlo fu Blair.
Un modo di essere diversi dagli altri cittadini al quale i governi non sanno (o non vogliono) porre fine. A Giugno, il Ministro dell’Economia brasiliano, Paulo Guedes, aveva proposto un pacchetto di riforma fiscale che includeva un’imposta del 30% sui profitti ottenuti tramite entità offshore (gli esperti stimano che le persone più ricche del Brasile detengano quasi 200 miliardi di dollari in fondi non tassati al di fuori del paese). “Non puoi vergognarti di essere ricco”, aveva detto Guedes. “Bisogna vergognarsi di non pagare le tasse”. Poi, dopo le pressioni di banchieri e leader della finanza, lo stesso Guedes ha deciso di cancellare la sua proposta. Non prima, però, di aver creato la propria società offshore, la Dreadnoughts International Group, nelle Isole Vergini britanniche.

* I dati riportati nell’articolo sono contenuti nel rapporto dell’ICIJ Pandora Papers – ICIJ.