L’influenza del soft power cinese sta plasmando una Pax Sinica in Medio Oriente

di Alessandro Pompei

La Cina ha svolto un ruolo chiave nel mediare il recente accordo diplomatico tra l’Arabia Saudita e l’Iran lo scorso 10 marzo, il quale pone particolare attenzione al commercio e alle infrastrutture tecnologiche. I commentatori occidentali sono rimasti sorpresi dall’annuncio dell’accordo, poiché la presenza della Cina in Medio Oriente è stata tradizionalmente minima. Tuttavia il crescente soft power della Cina nella regione, in particolare nel settore del commercio e in quello tecnologico, le ha permesso di ottenere una vittoria diplomatica senza precedenti.
L’accordo è un successo significativo per l’Arabia Saudita, da tempo impegnata in una guerra per procura con l’Iran. La cessazione delle ostilità comporterà probabilmente il ritiro dell’Iran e dei suoi alleati, riducendo le tensioni nella regione.
Gli Stati Uniti hanno accolto con favore l’accordo, con il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale che ha osservato che qualsiasi sforzo per ridurre le tensioni è nel loro interesse.
Il successo della Cina nel Golfo Persico suggerisce anche che i tentativi americani di contenere la leadership cinese nelle telecomunicazioni e nella tecnologia dell’intelligenza artificiale (AI) stanno fallendo. La capacità della Cina di trasformare sotto il profilo tecnologico le economie regionali è stata un fattore cruciale nei suoi sforzi diplomatici, ma l’interesse della Cina per la stabilità regionale è guidato innanzitutto dalla sua dipendenza dal petrolio del Medio Oriente.
Nonostante la sorpresa degli analisti occidentali per l’annuncio, la diplomazia cinese stava preparando da diversi mesi il comunicato congiunto saudita-iraniano, e la dichiarazione ha elogiato la “nobile iniziativa” del presidente Xi Jinping, ed anchela Turchia, che ha migliorato le relazioni sia con gli Stati del Golfo che con Israele, svolge un ruolo centrale nel piano della Cina.
I dati commerciali rivelano anche la crescente influenza della Cina nella regione, con le sue esportazioni verso i paesi chiave che sono raddoppiate negli ultimi tre anni.
Secondo l’articolo di Seth Frantzman sul Jerusalem Post dell’11 marzo, alcuni osservatori israeliani sono cautamente ottimisti sull’accordo Iran-Arabia Saudita: Frantzman osserva che la Turchia si è riconciliata con i paesi verso i quali era precedentemente ostile, tra cui Israele e le nazioni del Golfo, e ciò suggerisce che la diplomazia, piuttosto che il conflitto, sta diventando la norma in Medio Oriente. L’articolo cita vari accordi, inclusi gli Accordi di Abramo, il Negev Forum ed il summit I2U2, come prova di questa tendenza.
Lo scorso dicembre la Cina ha rilasciato una dichiarazione congiunta con l’Arabia Saudita e altri membri del Consiglio di cooperazione del Golfo (GCC) che ha condannando l’Iran come sostenitore di organizzazioni terroristiche regionali; la dichiarazione ha chiesto di agire sulle ambizioni nucleari dell’Iran e sulle sue attività regionali destabilizzanti, e questa è stata la prima volta che la Cina si è schierata nel conflitto di lunga data tra Arabia Saudita e Iran, che ha coinvolto i ribelli Houthi. Il 14 Settembre 2019 i ribelli filo-iraniani Houthi hanno lanciato con successo un attacco con droni kamikaze contro le strutture petrolifere saudite del giacimento Hijra Khurais, il secondo per dimensioni, bloccando metà della produzione Saudita per alcune settimane; nel marzo 2022 hanno preso di mira una raffineria Aramco a Riyadh. La dichiarazione congiunta ha quindi sottolineato la necessità di prevenire tali attacchi, di garantire la sicurezza della navigazione internazionale e delle installazioni petrolifere, e di aderire alle risoluzioni delle Nazioni Unite e alla legittimità internazionale.
Questa affermazione suggerisce che una sorta di “Pax Sinica” sta prendendo forma in Medio Oriente.
Restano poco chiari i dettagli degli incentivi offerti dalla Cina all’Iran per la firma dell’accordo con l’Arabia Saudita, ma sembra che si sia trattato di un’offerta che Teheran non poteva rifiutare.
L’Iran fa molto affidamento sulla Cina per i manufatti, comprese le armi e la tecnologia missilistica, dando a Pechino un’enorme influenza su Teheran. Nonostante l’opposizione pubblica della Cina alle sanzioni occidentali contro l’Iran, il regime delle sanzioni ha concesso alla Cina un quasi monopolio sulle importazioni iraniane.
Anche la recente svolta economica della Turchia ha avuto un ruolo nel processo decisionale dell’Iran: le esportazioni cinesi in Turchia sono triplicate dal 2019 e il finanziamento commerciale cinese ha aiutato il governo turco a superare una crisi valutaria che minacciava di causare iperinflazione solo un anno fa.
La Turchia, con il più grande esercito della regione, rappresenta un contrappeso alle aspirazioni regionali dell’Iran, e le sue relazioni ristabilite con Israele e gli Stati del Golfo suggeriscono che potrebbe diventare una forza stabilizzatrice.
La Cina ha attualmente una sola base militare nell’area, situata a Gibuti, con meno di 2mila membri del personale e solo 200 truppe da combattimento.
Gli Stati Uniti al contrari, hanno 7mila dipendenti presso il quartier generale del Bahrein della 5a flotta, 10mila presso la base aerea di al-Udeid in Qatar, 3.800 presso la base aerea di al-Dhafra negli Emirati Arabi Uniti, 2.500 presso la base aerea di Incirlik in Turchia, così come altri 4mila soldati a Gibuti.
Ciò che la Cina ha, e gli Stati Uniti no, è un piano per trasformare le economie della regione con infrastrutture digitali, porti, ferrovie, energia solare guidata dall’intelligenza artificiale e mezzi per salvare le economie in crisi.
Nel dicembre 2022, quando Xi Jinping si è recato in visita in Arabia Saudita, la Reuters ha riferito che è stato firmato un memorandum di intesa con la cinese Huawei Technologies per il cloud computing e la costruzione di complessi avanzati nelle città saudite.
Nonostante le preoccupazioni sollevate dagli Stati Uniti sui rischi per la sicurezza associati all’utilizzo della tecnologia Huawei, l’accordo è stato raggiunto e Huawei è già stata coinvolta nella costruzione di reti 5G nella maggior parte delle nazioni del Golfo.
Nel 2022, prima della visita in Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti avevano interrotto i negoziati per l’acquisto del caccia stealth americano F-35, poiché Washington aveva insistito affinché gli Emirati Arabi Uniti escludessero i sistemi a banda larga mobile 5G che gli emiratini prevedevano di acquistare da Huawei; gli statunitensi asserivano che la rete 5G civile di Huawei poteva essere utilizzata per raccogliere informazioni sugli aerei americani, così gli Emirati Arabi Uniti avevano deciso di mantenere l’accordo con Huawei optando per l’acquisto di 80 caccia multiruolo Rafale francesi, che non soffrivano di tale pretestuoso disturbo.
Il Red Sea Project di Huawei, firmato nel 2019, è in procinto di costruire una rete di energia solare abilitata all’intelligenza artificiale per fornire elettricità a una città di un milione di persone.
E di recente, al World Mobile Congress di Barcellona, Huawei è stata la protagonista indiscussa, ed anche qui alti funzionari americani avvertivano che Huawei avrebbe potuto aiutare le spie cinesi a raccogliere informazioni attraverso le sue reti 5G. Durante una conferenza stampa del 1 marzo, il cyber chief del Dipartimento di Stato, Robert Strayer, ha esortato altri governi e il settore privato a prendere in considerazione la minaccia rappresentata da Huawei e da altre società di tecnologia dell’informazione cinese, sostenendo che la società fosse “duplicata e ingannevole”.
Probabilmente quanto asserito da Strayer sarà anche una possibilità realistica, tuttavia è curioso notare come nessuno sollevi mai domande ai dirigenti pubblici americani sull’effettiva natura di collaborazioni internazionali come i Five-Eyes o su programmi come il Prism i quali, a detta di certi esuli americani, nascono proprio per spiare “tutti”, dai semplici cittadini fino alle aziende concorrenti di nazioni alleate e non alleate.
Nel frattempo all’Exhibition Hall One i rappresentanti di Turkcell, il più grande operatore di telefonia mobile della Turchia, hanno presidiato uno stand all’interno del padiglione Huawei per pubblicizzare la loro partnership con l’azienda cinese, che fornisce la maggior parte dell’infrastruttura a banda larga della Turchia.
I funzionari di Huawei hanno affermato che le restrizioni statunitensi sui chip per computer più avanzati con larghezze di transistor di 7 nanometri o meno non influiranno sul loro business delle infrastrutture globali, poiché si basa su tecnologie mature che la Cina può produrre a livello nazionale.