L’Isis distrugge l’arte e colpisce l’umanità. Intervista all’archeologo Manlio Lilli

a cura di Enrico Oliari –

lilli manlioLa violenza dei jihadisti dell’Isis non è solo fatta di teste mozzate e di donne frustate. Colpisce l’umanità tutta ed arriva nel midollo della cultura, con interi siti archeologici devastati, musei distrutti e antiche biblioteche date alle fiamme, testimonianze vive che rappresentano la storia di tutti e che sono lì, ferme da millenni, ossequiosamente rispettate dagli imperi e dalle civiltà che si sono susseguite.
Ha fatto scalpore la distruzione delle antiche opere presso il Museo nazionale di Mosul, ma negli ultimi tempi ruspe ed esplosivi sono entrati in azione a Ninive, del VI secolo a.C., Nimrud, antica di 3.500 anni, Hatra, del III secolo a.C., Khorsabad, 16 chilometri a nord di Mosul ed edificata dal re di Assiria Sargon II, nell’VIII a. C.
Notizie Geopolitiche ne ha voluto parlare con Manlio Lilli, archeologo, docente di archeologia ed autore di testi a tema.

– Dott. Lilli, le città antiche che una ad una vengono oggi distrutte dalla furia dei miliziani dell’Isis risalgono ad epoche differenti: perché è essenziale conservale?
Perché i templi, le grandi statue, gli edifici “civili”, gli assi stradali e le mura che recingono quei centri urbani non costituiscono soltanto una testimonianza del popolamento antico di quelle aree. Bensì sono a tutti gli effetti tessere imprescindibili per ricostruire il quadro di fasi storiche di grandi civiltà. Ancor più costituiscono il vissuto culturale che dovrebbe unificare il popolo. La distruzione di quelle architetture è molto di più che un osceno abominio. E’ un vero e proprio “crimine di guerra”, come lo ha definito Irina Bokova, direttrice generale dell’Unesco. Più che altrove il valore di quelle “pietre” polverizzate dalla furia jihadista è grandissimo. Direi, incalcolabile”.

– L’Iraq è un paese che anche nella sua storia recente è stato sconvolto da guerre: a suo giudizio le autorità di Baghdad sono riuscite comunque a tutelare i beni archeologici?
Il ministro del Turismo e delle Antichità iracheno Adel Shirshab, in occasione delle distruzioni di Nimrud, ha dichiarato che le politiche di salvaguardia appaiono insufficienti. Inadeguate alle necessità. L’Iraq è un paese nel quale gli accadimenti più recenti costituiscono soltanto il caso più eclatante di distruzione. Non bisogna infatti ignorare che ai danni provocati dall’occupazione anglo-americana si debbono aggiungere quelli meno pubblicizzati dai media, degli scavi clandestini, estesi e sistematici, in siti archeologici anche di primaria importanza, come Isin, Umma e Larsa”.

– Le distruzioni ad opera dell’Isis sono motivate dal fatto che rappresenterebbero, nella logica dei jihadisti, una forma di idolatria. E’ una tesi che la convince o c’è altro?
Certo, l’odio ideologico che prende di mira distruggendo le testimonianze di un passato che non si condivide e non si riconosce, per cancellare ogni traccia di una cultura che si percepisce come esterna dalla propria, può essere indicato come uno dei “motori” della distruzione. E’ accaduto in Mali, in Libia, in Afghanistan con la distruzione delle statue di Buddha nel distretto archeologico di Bamiyan. Ma quanto questa motivazione non debba essere considerata come sola responsabile, lo indicano le distruzioni che hanno colpito anche testimonianze del credo islamico. Penso all’incendio appiccato all’Istituto Ahmed Baba, ma anche alla distruzione nella città libica di Zlitan del mausoleo del sufi Abd es-Salem el-Asmar del XV secolo e di una vicina moschea con importanti manoscritti arabi. Insomma, ritengo che le motivazioni siano diverse, in alcuni casi economiche: la questione più complessa”.

– Spesso si tratta di tesori tutelati dall’Unesco: nei giorni scorsi il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha sollecitato l’intervento della comunità internazionale per fermare la distruzione dei siti archeologici: viste le difficoltà sul posto a contrastare i jihadisti e le loro violenze sulla popolazione, ritiene questa una presa di posizione concreta oppure di forma?
Credo che l’intervento dell’Unesco dovrebbe essere più fermo. Non diversamente da quel che dovrebbero fare gli organismi internazionali. Il rischio di devastazione esteso ormai all’intero patrimonio storico-archeologico di una vasta area geografica, suggerirebbe che l’Onu si pronunciasse in proposito. Lo facesse non soltanto enunciando propositi ma anche promuovendo azioni. Ma in ogni caso sembra questo il momento di ripensare ad organi di tutela più efficaci, con il coinvolgimento del maggior numero di Paesi possibili”.

– I jihadisti, come Lei ha osservato, contrabbandano le opere d’arte per alimentare la loro attività, esattamente come fanno con il petrolio: ritiene che sia possibile un domani rintracciare le opere d’arte vendute?
Così come ormai appare chiaro che il commercio delle opere d’arte costituisce per lo Stato islamico una delle principali fonti di sostentamento, altrettanto difficile risulta seguire le tracce di quei tesori, ricostruirne i percorsi. Se nell’Ottocento i tesori dell’Impero assiro viaggiavano in grandi casse di legno, ammassati nelle stive dei vascelli, destinati ai saloni del Louvre e del British Museum, oggi quel che i predatori riescono a rimuovere viaggia sotto i teloni, nelle jeep che raggiungono il confine con la Turchia. Lì arrivano agli intermediari internazionali che smistano la “preziosa mercanzia” nelle grandi piazze del mercato nero dell’arte. Cioè Tokyo, New York e Londra. Ma rintracciare le opere d’arte in Musei, soprattutto ma non soltanto, privati di mezzo mondo, non può di certo ritenersi un’operazione agevole”.