L’ombra della questione di Taiwan sul G20 di Roma

di Francesco Cirillo

La prima giornata del G20, svoltosi nella capitale italiana, ha visto allungarsi sul consesso di alto livello l’ombra della questione di Taiwan. In giornata il governo cinese, per voce del suo ministro degli Esteri Wang Yi, ha affermato che qualunque paese che supporterà Taiwan ne pagherà il prezzo.
Negli ultimi due mesi, dopo il ritiro di Washington dall’Afghanistan, la questione di Taiwan ha riacceso i riflettori sulle delicate relazioni dello Stretto. Sia la Cina che gli Usa si stanno “combattendo” a suon di dichiarazioni, ma anche con prove di forza che vedono da una parte l’entrata di navi e aerei nella zona di controllo taiwanese, dall’altra la fornitura di armi e addestratori a Taipei e lo schieramento nell’area di portaerei quali la Uss Ronald Regan, la Uss Carl Winson, la Queen Elizabeth da parte della Gran Bretagna e il cacciatorpediniere nuovo di pacca JS Haguro del Giappone, tutti mezzi schierati con i vari convogli di appoggio.
Per le autorità cinesi la questione Taiwan resta un dossier interno, per cui nessuna potenza straniera avrebbe il diritto di interferire; al contrario Washington chiede a Pechino di rispettare l’integrità territoriale taiwanese ed evitare un ulteriore crescita della tensione.
Alla base del conflitto, al momento non cruento, vi è il fatto che Taiwan si è separata dalla Cina continentale nel 1949, e i due paesi riconoscono l’altro come secessionista: l’entrata della Repubblica Popolare Cinese nelle Nazioni Unite nel 1971 ha comportato il disconoscimento di Taiwan da parte di quasi tutti i paesi membri.
Il Libro Bianco stabilito al Congresso del Popolo del 2019 impostava la questione dei separatismi in chiave difensiva e metteva come possibile il contrattacco, cosa che ne avrebbe autorizzato l’impiego della forza, e il portavoce del ministero della Difesa Wu Qian aveva nell’occasione affermato che “L’esercito cinese combatterà chiunque osi separare Taiwan dalla Cina. Difenderemo l’unità sovrana del Paese e l’integrità territoriale”.
Le tensioni sono aumentate di recente con le continue violazioni della zona di difesa aerea di Taiwan da parte delle forze aeree dell’Esercito Popolare di Liberazione, mentre il presidente Usa Joe Biden ha dichiarato che il suo paese appoggerà Taiwan in caso di attacco, cosa confermata dalla collega taiwanese Tsai-Ing Wen.
Negli ultimi mesi diversi think tank, come il CNAS (Center for the New American Security) hanno sviluppato diverse simulazioni di crisi politico-militari (WarGaming) ipotizzando un possibile attacco con invasione anfibia di Taiwan da parte delle forze armate cinesi. Il ministro della difesa taiwanese ha dichiarato a metà ottobre che le forze armate di Pechino potrebbero ottenere le capacità logistiche e militari per attuare un’invasione dell’isola di Formosa entro il 2025.
Per gli Usa una preoccupazione ulteriore riguarda le capacità militari acquisite dai cinesi: di recente vi è stato il test di un missile ipersonico, in grado di portare una testata nucleare, che ha colto impreparati gli analisti del settore per le sue prestazioni.
Lo stato della tensione si è visto anche al G20 di Roma, dove non si è presentato il presidente Xi Jinping, quasi per respingere l’invito ad un approccio multilaterale del premier Mario Draghi finalizzato a stemperare le crisi.