L’Ucraina, l’occidente: 4 libri per riflettere

di Dario Rivolta *

“Quando una società smette di sperimentare opposizioni diventa unidimensionale. L’orientamento totalitario della società a una dimensione è del tutto compatibile con i diritti civili, una stampa libera e libere elezioni”. Così scriveva Herbert Marcuse alla fine degli anni ’60 nel suo “L’uomo a una dimensione”. Fu un libro all’epoca molto citato, magari anche da chi nemmeno lo aveva letto, anche se oggi lo si può considerare oramai “passato”. Tuttavia ciò che resta ancora attuale è la presenza invadente di un “pensiero unico” diffuso, e praticamente imposto, da istituzioni, pseudo-esperti e principali media. Che la verità sia una sola e non si accettano dissensi o distinguo è diventato evidente e macroscopico a proposito delle vaccinazioni anti-covid e continua con la fola della responsabilità umana dei cambiamenti climatici. Il peggio molto recente, però, riguarda la questione della guerra in Ucraina, ove nella narrazione dei fatti si nascondono le pregresse responsabilità Occidentali, le malefatte del governo di Kiev sul Donbass sin dal 2014 e si fa di tutto per far credere che la Russia sia per noi un pericolo e ambisca a conquistare l’Europa. Perfino cercando di seminare il panico con l’invenzione del Kit di sopravvivenza al fine di convincere tutti della necessità di ri-armarsi e di fare debito per comprare nuove armi (necessariamente soprattutto americane).
Per chi volesse, invece, avere accesso a letture non conformiste degli eventi e consentirsi di vedere le cose anche da un altro punto di vista mi permetto di suggerire almeno quattro libri di abbastanza recente pubblicazione. Non sarà necessario condividerne tutti i contenuti ma penso sia utile vedere che le verità possono essere più di una, nonostante la propaganda martellante vorrebbe impedircelo.
Eccoli:
SOTTO LA PELLE DEL MONDO di Dario Fabbri (editore Feltrinelli)
L’autore, vero esperto di geopolitica, ci offre la lettura dei più recenti e importanti eventi mondiali, bellici e non, cercando di evidenziare la filigrana dei sentimenti delle popolazioni coinvolte anche andando oltre i fatti immediati. Si possono vedere, attraverso una lettura storica e psico-sociale dei popoli, le ragioni culturali che stanno dietro le scelte dei governi e, soprattutto, si cerca di capire come “loro” vedono “noi” Ciò di là dalla retorica che ci sommerge e che ci convince che il modo di vita Occidentale sia un mito cui tutti vorrebbero aspirare. “Gli altri umani non hanno intenzione di rinnegare il proprio “costume” per vivere come noi. Non perché interdetti da qualcuno o inabili a comprendere la nostra (presunta) superiorità…Non segnalano alcun apprezzamento per l’inglese, né riconoscono prerogative e democrazia distillate quaggiù, costruzioni che sovente giudicano neo-coloniali”.

C’E’ DEL MARCIO IN OCCIDENTE di Piergiorgio Odifreddi (editore Raffaello Cortina)
Odifreddi è un filosofo matematico e saggista ben conosciuto. Ha scritto di storia della scienza, filosofia, politica, religione, esegesi, filologia e altro. In questo suo libro riflette sull’arroganza dell’Occidente citando testi di autori di varie epoche che hanno guardato a noi in modo diverso da come noi stessi ci vediamo. La sua critica alla supposta superiorità dell’Occidente si basa su di una analisi critica documentatissima. Medita sulle parole di venti grandi pensatori che ci hanno criticati: da Dostoevskij a Saramago, da Gandhi a papa Francesco, da Einstein a Konrad Lorenz. Analizza i nostri dieci peccati capitali: occidentalismo, cristianesimo, colonialismo, militarismo, razzismo, classicismo, idealismo, capitalismo, populismo, mediaticità. Ai nostri giorni e grazie al martellamento continuo qualsiasi critica al nostro sistema viene sdegnosamente respinta con l’argomentazione che l’alternativa è Putin. Odifreddi ci offre una lettura alternativa della realtà. La sua è una critica radicale che contesta alla radice le convinzioni sulla superiorità occidentale, dimostrandoci che tanto di quello che c’è stato di esecrabile nella storia è fatto o è stato fatto proprio dall’Occidente politico.

RUSSOFOBIA, Mille anni di diffidenza di Guy Mettan (editore Sandro Teti). Introduzione di Franco Cardini
Mettan è un giornalista e storico svizzero che ha fatto una documentatissima ricerca (alla fine del volume c’è una ricca bibliografia) sulle origini del sentimento anti russo in Europa e negli USA. Tutto nasce dalla scissione della chiesa (poi) detta cattolica da quella ortodossa, scissione attuata per ragioni politiche da parte dei vescovi di Roma che volevano sottrarsi al controllo del potere di Costantinopoli. Furono loro che cominciarono a demonizzare i russi di allora al fine di affermare la superiorità totale di Roma e dei regni via via succedutisi nell’Europa occidentale. In seguito, il potere presente in Russia continuò poi ad essere descritto come antagonista politico nonostante i cambiamenti che avvenivano da entrambi i lati. Interessante le analisi di come e perché la russofobia si sia sviluppata in Francia, in Polonia e soprattutto in Inghilterra (ricordate “Il grande gioco” in Asia Centrale?). La russofobia veniva messa a tacere per poco tempo solo quando la Russia era considerata indispensabile per combattere un nemico comune (Napoleone e poi Hitler) e ripresa immediatamente dopo lo scampato pericolo. La russofobia è arrivata persino a far considerare non-esattamente-europei anche i letterati e i musicisti nati in quell’area del mondo. Degli USA si analizza come, dall’inizio del secolo XX, l’obiettivo degli americani fu sempre quello di impedire un qualunque avvicinamento tra Germania e Russia, così come volevano anche gli inglesi, poiché non si doveva permettere che nessuno Stato potesse diventare troppo forte da solo nel nostro continente. A un certo punto nacque anche la teoria che chi avesse controllato l’Asia Centrale avrebbe potuto controllare il mondo e da qui la necessità di smembrare l’enorme Stato russo. Il sistema sovietico e la guerra fredda hanno poi legittimato e diffuso in tutto l’Occidente l’odio verso Mosca. Odio che, con la Russia uscita dall’anarchia grazie a Putin e desiderosa di far valere le sue ricchezze naturali e la sua dimensione geografica, è stato rilanciato in gran fulgore. Un capitolo è dedicato all’uso del linguaggio anti russo tra intellettuali e giornalisti occidentali e a come le parole e i concetti siano usati im nodo subdolo per incoraggiare nei lettori (e nei telespettatori n.d.r.) i sentimenti di ostilità verso la Russia.

VITE AL FRONTE – Donbass, Libano, Siria, Nagorno Karabakh, Israele e Gaza di Luca Steinmann (Rizzoli editore)
Steinmann è un giovane e coraggioso giornalista svizzero-italiano che ha passato settimane intere nelle zone ove attualmente ci sono conflitti cercando di entrare in contatto non solo con i militari al fronte ma anche con le popolazioni coinvolte, sia da una parte che dall’altra dei fronti. Con capitoli densi e relativamente brevi Steinmann riesce a farci vedere cosa i conflitti in corso significhino davvero per chi ne è oggetto passivo e per chi ne è attore. Attraverso i suoi resoconti di prima mano ci apre anche uno sguardo, non fazioso, sugli interessi e le logiche, spesso molto lontane geograficamente, che hanno innescato quelle guerre.
Una cosa è descrivere gli scontri tra i vari combattenti e vedere le immagini delle distruzioni causate, un’altra è cogliere ciò che questo significa per chi ne è vittima quotidiana.
Non mi risulta che alcun altro giornalista abbia voluto, o saputo, rendere meglio e dall’interno quali siano i pensieri e quali le conseguenze di queste guerre per le persone qualunque.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.