di Giovanni Caruselli –
Se la guerra in Ucraina non fosse una vera tragedia, potrebbe essere definita come un festival delle ambiguità. Incomincia con una colonna di mezzi corazzati di Mosca che puntano su Kiev, ma Putin da ordine che nessuno usi il termine “guerra”, perchè si tratta di una “operazione militare speciale” in un Paese confinante … che non esiste. L’Ucraina non è mai esistita, tuona dal Cremlino, è un’invenzione non si sa bene se di Kruscev o di Stalin (il capo si contraddice spesso). Washington chiede pubblicamente qual è l’obiettivo dell’operazione speciale e la risposta è: la denazificazione dell’Ucraina (come se si fosse nel 1945) e il disarmo che fermi l’avanzata della Nato verso Est. Questa forse è l’unica argomentazione che ha un qualche senso. Gli Usa e l’Unione Europea iniziano a sostenere l’Ucraina con massicci aiuti militari, ma, al tempo stesso, non si considera in guerra con la Russia, condividendo di fatto la definizione dello zar. L’Unione Europea, più confusa che persuasa, come al solito da vita a inconcludenti discussioni interne per capire quale posizione prendere all’unanimità … che non c’è. Nel frattempo si tracciano linee rosse al di là delle quali i russi non devono andare, ma se ci vanno nessuno sa bene cosa fare. Putin e la sua corte decidono di procedere con l’operazione militare e per due anni puntano su obiettivi civili, uccidendo e distruggendo.
Ma è iniziata anche un’altra guerra, che ha poco a che fare con l’Ucraina. Gli Usa e la Ue incominciano a promulgare sanzioni di carattere economico commerciale e i Paesi europei dichiarano che non importeranno più petrolio e gas russo. Lo fanno subito, in parte, e si ripromettono di rendersi autonomi completamente dal brent siberiano appena possibile. Per chiarire meglio il concetto qualcuno fa esplodere in alcuni punti cruciali i gasdotti Nord Stream 1 e 2, facendo riversare in mare circa 778 milioni di metri cubi di gas metano, cioè una catastrofe ecologica a cui i mezzi di informazione dedicano poche parole. Malgrado le inchieste i responsabili restano ignoti fino ad oggi. Poi la Corte dell’Aja mette sotto accusa Putin e alcuni suoi collaboratori, rendendo di fatto impossibili, o almeno molto difficili eventuali e improbabili trattative di pace.
La guerra continua.
I russi incominciano a vendere alla Cina il petrolio prima diretto all’Europa per fronteggiare una svolta commerciale senza ritorno, mentre a Bruxelles si decide di accelerare quanto più possibile sulle fonti alternative e, per il momento, rifornirsi di combustibili fossili in Africa o dovunque essi si trovino. Si discute anche sul nucleare di ultima generazione ma non c’è chiarezza su questo punto. Invece la chiarezza c’è su un’altra svolta altrettanto importante. Ci si accorge finalmente che gli Usa non possono proteggere militarmente l’Europa sine die. Washington non può fare il gendarme armato dappertutto nel XXI secolo, perchè deve fronteggiare la Cina dall’altra parte del mondo e l’aggressività di Pechino spaventa più di quella di Mosca. Al Congresso repubblicani e democratici su questo sono concordi, quindi l’Europa si deve armare. Servono tempo e soldi e in ambedue i casi ce n’è poco. Bisogna fare accettare ai popoli del Vecchio Continente che forse sarà necessario rinunciare a un po’ di welfare per fronteggiare l’armata russa nell’eventualità che decida di attaccare un Paese dell’Unione Europea. Putin ripete che questa eventualità non esiste, ma la sua credibilità appare debole, in primo luogo perchè prima o poi anche lui dovrà andare in pensione – e i suoi sostituti non sembrano colombe desiderose di pace – e in secondo luogo perchè i leader del Cremlino cambiano idea con una frequenza che non da alcuna tranquillità.
Allora siamo arrivati al punto per noi cruciale e possiamo accorgerci dell’elefante nella stanza, come si dice in gergo diplomatico: l’indipendenza dell’Europa. Per dirla chiaramente, se gli Usa ci segnalano in vari modi che non sono più disponibili a farci da balia armata, dobbiamo riaprire il triste e costoso capitolo delle armi, che nel 1945 era un tabù e che tale è restato per i decenni successivi. Anche se la guerra d’Ucraina finisse magicamente domani, nulla cambierebbe sul punto che abbiamo evidenziato. Il problema è che l’Unione Europea non è così unita come vorremmo e se già è difficile fare accettare al popolo di uno Stato nazionale una politica di riarmo – che prevederebbe ad esempio il ripristino del servizio di leva obbligatorio – figuriamoci quanto più difficile sia una svolta di questo genere per una trentina di Paesi ciascuno con la sua economia. La quale, per altro, nella maggioranza dei casi naviga in acque che potrebbero essere migliori.
Ce n’è abbastanza per i dietrologi che qualche volta potrebbero avere ragione. Forse Mosca e Washington si sono messi d’accordo per indebolire l’Europa in maniera che faccia meno concorrenza sui mercati americani e sia meno invadente nell’Europa dell’Est ? E in questo caso la guerra in Ucraina farebbe parte di un piano strategico più ampio ? Non lo crediamo, non lo sappiamo e comunque non ci interessa molto perchè, in ogni caso, l’Europa deve decidere quale ruolo vuole giocare nel grande scacchiere internazionale. L’escalation in corso è la strada giusta per approdare a un mondo pacificato ? Certamente no perchè comunque, a guerra finita, la corsa alle armi non avrà termine e l’Occidente dovrà sostenerla con sacrifici economici pesantissimi. La risposta potrebbe essere che ci si è costretti. Purtroppo può accadere, ma in questo caso che i popoli ne siano al corrente e possano esprimersi. L’ambiguità non giova, gli Usa e la Ue devono prendere decisioni storiche. E non saranno decisioni facili.












