di Giovanni Caruselli * –
Le elezioni europee e la distrazione dell’opinione pubblica.
A pochi giorni dalle elezioni europee sembra che l’opinione pubblica sia interessata a seguire i conflitti in corso ai confini del continente più che al futuro dell’Unione. Il motivo più probabile di ciò consiste nell’aver constatato l’impotenza e la frammentazione della Ue in un contesto internazionale che richiederebbe maggiore unità, forza, autorevolezza, assertività, capacità d’intervento e di deterrenza. Tale percezione rafforza atteggiamenti di indifferenza, se non di dichiarato pessimismo, già presenti in molti Stati.
L’Unione Europea e le sue debolezze.
La lentezza e l’inconcludenza dei meccanismi decisionali, l’indebolimento dei legami transatlantici, la percezione di non essere più fra i principali attori sul palcoscenico planetario, spingono a guardare al passato. Il passato degli Stati nazione europei che vivevano la loro dialettica politica interna senza doverla adeguare a complessi equilibri continentali poco comprensibili. Improvvisamente l’Europa si è scoperta priva di fonti energetiche proprie, militarmente fragilissima senza la Nato, dipendente da nuove tecnologie che colossi industriali non europei come Apple e Google sviluppano e impongono al commercio mondiale.
Gli obiettivi mancati dell’Unione.
La stagnazione economica dell’Unione e il deperimento del regime di welfare, che costituiva il fiore all’occhiello dei Paesi europei, fanno temere un possibile declino complessivo che i leader continentali non sanno arrestare. Mentre a Bruxelles si parla del futuro dell’Unione, le opinioni pubbliche constatano tristemente la realtà di un crescente inverno demografico, cioè la più indiscutibile prova del fallimento di un modello di sviluppo troppo attento agli utili di cassa e indifferente di fronte alla quotidianità del cittadino medio. Poche e deboli risposte arrivano dai politici e la presenza di percentuali crescenti di immigrati sollecita in molti la sgradevole sensazione dell’assedio, di un caleidoscopico universo di “diversi” con cui convivere necessariamente.
Cambiamenti epocali, nazionalismi e populismi.
Insomma uno scenario che sembra costruito per favorire partiti nazionalisti e populisti di ogni sorta, che in grandi Paesi come la Francia, l’Italia e la Germania, giocano ormai un ruolo da protagonisti. Non siamo ancora all’Europa first, ma un certo risentimento nei confronti della classe politica che ha governato il continente si percepisce bene. La coscienza di non essere di fronte a emergenze circoscritte, come fu la pandemia di Covid–19, ma a cambiamenti epocali in corso, si fa strada fra gli opinionisti e non trova risposte convincenti fra i politici. Se a ciò si aggiunge il riapparire del pericolo di una guerra nucleare, si fa fatica a vedere ottimisticamente il futuro. Il bisogno di sicurezza diviene dominante e la paura di perdere la pace, cioè il bene sociale più prezioso, dato per scontato da due generazioni di europei, facilita l’ascesa dei partiti politici che si rifanno a esperienze di governo che nulla hanno avuto a che fare con i diritti, le libertà e la democrazia.
* Collaboratore di case editrici italiane (Einaudi, Rizzoli, Vallardi, Diakronia, etc.) per testi di storia e filosofia. Autore di saggi, “Il Pci da Gramsci a Occhetto”, “Cento anni di storia lombarda” (con altri), “La memoria e le notizie” (con altri).