Marocco. Labat, ‘anche nel sud la libertà di stampa è garantita’

Intervista a Edkhil Labat, direttore dell’Ufficio regionale del ministero della Comunicazione, ‘i giornalisti sono liberi, ma tutela della donna e no all’incitamento all’odio’.

di Enrico Oliari e Matteo Meloni

DAKHLA (Marocco). La libertà di stampa nel sud del Marocco. A sentire Reporters Sans Frontières il Regno di Mohammed VI si piazzerebbe al 123mo posto, comunque in miglioramento rispetto allo scorso anno in cui galleggiava al 144mo. Da notare che in tema di penna libera la democraticissima e pluralissima Italia si è portata quest’anno al 46mo posto su 180, in peggioramento rispetto al 41mo dell’anno scorso, e anche gli Usa sono passati dalla 45ma posizione del 2023 alla 55ma.
Tuttavia più dei rapporti, sempre sindacabili, parlano i fatti oggettivi, cioè il numero di giornalisti costretti al silenzio o in carcere, la struttura degli ordini professionali e le leggi dei singoli paesi, basti pensare che in Ucraina sono stati da tempo chiusi i giornali in lingua russa e quelli dell’opposizione, o che in questi giorni in Georgia è al vaglio una legge volta a contrastare la proprietà straniera, anche parziale, dei media.
Siamo a Dakhla, dove incontriamo Edkhil Labat, a capo della direzione regionale de ministero delle Comunicazioni.

– Un ufficio regionale del ministero praticamente in pieno deserto. Di che vi occupate?
“Ci occupiamo di sviluppare il settore della comunicazione, garantendo la libertà di informazione. Abbiamo diversi compiti volti all’incremento dell’informazione, ma andiamo con ordine. Nel 2016 è stato approvato il nuovo Codice della stampa e dell’editoria, il quale prevede l’autoregolamentazione del settore garantendo la libertà di espressione. E’ stato inoltre creato il Consiglio nazionale della stampa in modo da favorire l’informazione libera e professionale, ma che prevede anche la formazione dei giornalisti al fine di contrastare le cosiddette fake news, l’incitamento all’odio e a garantire la tutela di genere, come prevedono gli standard internazionali”.

– Qual è la realtà dei media in questa regione?
”Vi sono tv, giornali cartacei e on line, radio ufficiali e testate indipendenti, per un totale di 22. Un buon numero, se ci pensate. Questo è dovuto al fatto che abbiamo lavorato e continuiamo a farlo per facilitare l’impegno del giornalista, anche nei rapporti con le istituzioni, con la società civile e con il mondo associativo. Abbiamo anche un servizio biblioteca e organizziamo eventi come mostre fotografiche e fiere per sensibilizzare sulla realtà e sulla storia locale e nazionale. Inoltre favoriamo la nascita di nuove testate, come prevede la legge 88/3”.

– Vi sono quindi media vicini all’opposizione e di carattere religioso?
“Noi non interferiamo con le linee editoriali delle testate, quello che a noi interessa è che non vi siano informazioni volutamente false o incitamenti all’odio, come pure che sia tutelata la figura della donna. Le testate sono libere, ma il giornalista è chiamato a rispettare l’etica professionale. Al momento non vi sono nella nostra realtà media espressamente di carattere religioso, ma non perché sia proibito”.

– Se un giovane di Dakhla vuole fare il giornalista?
“Attualmente la nostra legge prevede il possesso della laurea, in qualsiasi campo. Tuttavia è una cosa su cui stiamo lavorando, perché la libertà di espressione e di divulgazione dell’informazione è patrimonio di tutti, non solo dei laureati”.

– Che ne pensa del rapporto di Reporters Sans Frontières?
”La vostra presenza qui, in questo ufficio, nel Sahara Marocchino, senza permessi speciali, senza informative di chissachì, è la dimostrazione che da noi i giornalisti sono liberi e indipendenti. Aggiungo che il Regno sostiene gli investimenti esteri anche nel campo dell’editoria”.

(Foto: Notizie Geopolitiche / Matteo Meloni).