di Giuseppe Gagliano –
E’ un vero terremoto diplomatico quello che si è verificato ieri a Rabat, dove il ministro britannico degli Esteri, David Lammy, ha annunciato che il Regno Unito considera il piano marocchino di autonomia per il Sahara Marocchino (Occidentale) come “la base più credibile” per una soluzione del conflitto. Una dichiarazione che segna una netta rottura con la tradizionale linea britannica fondata sul principio di autodeterminazione dei popoli e che di fatto allinea Londra alle posizioni già assunte da Madrid e Berlino negli ultimi anni.
Non si tratta di una semplice dichiarazione diplomatica: è il segnale inequivocabile di un nuovo ordine strategico nella regione nordafricana. A pagarne il prezzo è anzitutto l’Algeria, storicamente garante e principale sostenitrice del Fronte Polisario, che da decenni reclama per il popolo saharawi il diritto a un referendum d’indipendenza, mai realizzato dagli stessi saharawi nonostante le sovvenzioni di Ue e di altri paesi. Il ministero degli Esteri algerino ha espresso con fermezza il proprio “profondo rammarico”, accusando il Regno Unito di abbandonare la sua storica neutralità e di legittimare, seppur implicitamente, “un’occupazione illegale” su un territorio che l’Onu continua a definire “non autonomo”.
Ma la scelta britannica riflette un calcolo geopolitico ben più ampio. In un’epoca in cui la stabilità regionale, la cooperazione antiterrorismo e gli investimenti economici contano più dei principi, l’appoggio al piano di autonomia marocchino si presenta come una soluzione “realistica”, “viabile” e “pragmatica”. Parole chiave che riecheggiano nella dichiarazione di Lammy, e che confermano l’abbandono progressivo, da parte delle grandi potenze, dell’opzione referendaria promessa nel 1991 dalla MINURSO, mai attuata per l’opposizione politica e i cambiamenti nei rapporti di forza.
Il piano marocchino del 2007, che concede al Sahara una forma di autonomia amministrativa sotto la sovranità di Rabat, si è trasformato nel cavallo di battaglia della diplomazia marocchina. E oggi, complice una crescente rete di accordi commerciali e di sicurezza che coinvolgono l’intero spazio euro-africano, Rabat incassa un punto decisivo. Non è solo una vittoria formale sul piano diplomatico: è il consolidamento di una posizione di forza che fa del Marocco un attore imprescindibile in Africa, nel Mediterraneo e persino nell’interlocuzione con l’Europa post-Brexit.
Nel frattempo il Fronte Polisario appare sempre più isolato. Nonostante l’appoggio militare e diplomatico di Algeri, la causa saharawi ha perso attrattiva presso molte cancellerie occidentali, che ormai considerano il referendum non solo impraticabile, ma anche destabilizzante per gli equilibri regionali. Mentre Rabat si accredita come partner strategico contro il jihadismo nel Sahel, per la gestione dei flussi migratori e come hub commerciale, il fronte algero-sahariano appare congelato in una posizione ideologica che non regge più il confronto con la realtà geopolitica contemporanea.
A pochi mesi dal 50mo anniversario dell’inizio del conflitto del Sahara Occidentale, la scelta britannica suona come un colpo di grazia per le speranze del Polisario e una spia importante delle nuove priorità della politica estera occidentale. Una politica che ormai privilegia alleanze funzionali e stabilità di lungo termine, anche a costo di archiviare principi storici come l’autodeterminazione.
In questo nuovo contesto l’isolamento dell’Algeria potrebbe acuirsi. Mentre Rabat conquista il favore delle potenze europee e rafforza i suoi legami con le monarchie del Golfo, Algeri rischia di vedersi relegata ai margini di uno scacchiere mediterraneo dove pragmatismo, interdipendenza economica e cooperazione antiterrorismo dettano le nuove regole del gioco.
Già nel 2024 una trentina di membri della Camera dei Comuni avevano chiesto all’allora premier David Cameron di riconoscere il piano del Marocco come soluzione definitiva del conflitto.
Il Regno del Marocco controlla già di fatto i territori del Sahara Occidentale, dove sta compiendo importanti investimenti economici per lo sviluppo industriale e sociale. Dal punto di vista amministrativo è stata introdotta una forte autonomia, con un Parlamento locale e la preservazione delle lingue e della cultura delle minoranze. Per attrarre investimenti è stato introdotto un sistema di defiscalizzazione e di incentivi.