di Giuseppe Gagliano –
La riforma giudiziaria proposta in Messico dal governo di Andrés Manuel López Obrador, conosciuto come “Amlo”, mira a ridefinire il ruolo del potere giudiziario nel paese, cercando di evitare quella che viene percepita come un’espropriazione liberale della democrazia messicana. Secondo il governo la centralità dovrebbe tornare al potere politico, ritenuto più democratico in quanto eletto a maggioranza, rispetto a un potere giudiziario che viene visto come troppo influenzato dalle élite. La riforma prevede l’elezione dei giudici mediante voto popolare, partendo da liste di candidati selezionati dall’esecutivo, legislativo e giudiziario, oltre alla creazione di un organo che supervisioni il lavoro dei giudici e alla riduzione del numero e della durata del mandato dei giudici della Suprema Corte.
López Obrador ha giustificato questa riforma sostenendo che negli ultimi anni la Corte suprema si è opposta a varie riforme amministrative proposte dal suo governo, dichiarandone alcune incostituzionali, come nel caso della riforma che trasferiva il controllo della Guardia nazionale alla segreteria della Difesa nazionale. Inoltre ha accusato il sistema giudiziario di essere corrotto, sostenendo che alcuni giudici abbiano preso decisioni favorevoli alle grandi aziende in cambio di vantaggi economici.
Nonostante le riforme siano considerate moderate e abbiano un certo supporto popolare, hanno affrontato una forte opposizione da parte degli stessi giudici e di alcuni settori della società messicana, inclusi i media e le ambasciate straniere, in particolare quelle degli Stati Uniti e del Canada. L’ambasciatore statunitense in Messico, Ken Salazar, ha espresso preoccupazione per la riforma, definendola una potenziale minaccia alla democrazia, argomentando che potrebbe portare a un’instabilità giuridica nel paese, una preoccupazione che è stata vista da alcuni come un riflesso dell’influenza americana sul sistema giudiziario messicano. Questi sviluppi mostrano come il dibattito sulla riforma giudiziaria sia al centro di una più ampia discussione sulla sovranità nazionale e sulla capacità del Messico di determinare autonomamente le proprie strutture politiche e giuridiche.