Messico. Tutte le sfide del 2025

di Francesco Giappichini –

Quali saranno le sfide del Messico nel 2025, in uno scenario segnato dalle minacce del presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump? Gli analisti ne hanno identificate molte, che possiamo raggruppare in cinque obiettivi principali. Emergono le sfide economiche, quelle relative al contrasto alla criminalità, e poi le questioni legate al flusso migratorio verso nord; quindi va ricordata l’implementazione di una mega riforma del Potere giudiziario (con la relativa elezione di centinaia magistrati). Infine si giudica essenziale che la presidente Claudia Sheinbaum, eletta con la formazione progressista Morena (Movimiento de regeneración nacional), sappia assicurare una salda governabilità.
Epperò prima di analizzare nel dettaglio questi obiettivi, che impegneranno sia le istituzioni sia l’intera società civile, vanno elencati gli ostacoli che verranno imposti dopo il 20 gennaio dal nuovo inquilino della Casa Bianca. Secondo Ernesto O’Farrill Santoscoy, che presiede il Grupo Bursamétrica, nota società di intermediazione mobiliare, tra le minacce trumpiane spicca in primis la «deportazione di massa di clandestini: un’azione altamente probabile. Cosa abbiamo preparato per accogliere centinaia di migliaia di migranti nel nostro territorio?». Lo stesso economista segnala l’«imposizione di tariffe generalizzate fino al 25% se non riusciamo a raggiungere gli obiettivi imposti di controllo dei migranti e di flusso di fentanil».
Il futuro capo di stato nordamericano avrebbe poi intenzione d’imporre una tassa sulle rimesse familiari, e soprattutto lancia continue minacce (d’imporre tariffe o di chiudere il confine) alle relazioni commerciali con la Cina. Con l’obiettivo, va da sé, di separare l’economia latinoamericana da quella asiatica. Trump e il suo entourage sono, infatti, convinti che la nazione ispanica stia fungendo da porta di servizio, affinché Pechino possa vendere beni sottocosto al mercato statunitense. E Sheinbaum, da parte sua, ha già mostrato la volontà di cedere alle intimidazioni del magnate newyorchese. «L’idea che i prodotti cinesi entrino attraverso il Messico per portarli negli Stati Uniti non è corretta», ha premesso, per poi aggiungere: «Abbiamo un piano, che è in fase di elaborazione […], con l’obiettivo di sostituire quelle importazioni che arrivano dalla Cina e per produrle per la maggior parte in Messico, sia con aziende messicane che con aziende principalmente del Nord America».
Va segnalata poi l’intenzione di Trump di rivedere l’Accordo Stati Uniti-Messico-Canada immediatamente, ossia ben prima del termine ordinario del 2026. Si tratta dell’accordo di libero scambio vigente dal luglio ’20, che spesso i media italiani denominano con l’acronimo inglese Usmca (United States–Mexico–Canada agreement). Infine, come riporta il principale quotidiano finanziario messicano, “El Financiero”, la nuova amministrazione ha in vista «azioni extraterritoriali contro i cartelli della droga». Trump ha, infatti, manifestato la volontà di catalogare i cartelli della droga messicani come organizzazioni terroristiche. E inevitabilmente le sue parole hanno suscitato polemiche, perché il provvedimento potrebbe condurre ad attività lesive della sovranità messicana.
Tanto che è intervenuta la stessa presidente Sheinbaum, affermando che il suo Paese «nunca se va a subordinar», e non accetta ingerenze straniere. Tornando alle sfide che dovrà affrontare il Messico, spiccano quelle economiche, e in particolare quelle legate alla crescita. Ebbene, cominciando dal dato del Pil (Prodotto interno lordo), va rimarcato che negli ultimi mesi le aspettative di crescita sono state riviste al ribasso. Se l’incertezza per la minaccia di aumentare i dazi non ha condizionato il report della Secretaría de Hacienda y crédito público (Shcp) – come viene chiamato in loco il Dicastero delle Finanze – gli analisti di Standard & Poor’s e Moody’s paiono invece più pessimisti rispetto ai mesi precedenti.
Per il governo federale, quindi, nel ’25 il Pil crescerà tra il 2% e il 3%, grazie a «un mercato del lavoro solido, consumi privati robusti e livelli elevati degli investimenti». L’agenzia di rating Standard & Poor’s ha invece tagliato le previsioni dall’1,5% all’1,2% a causa di tre fattori. In primo luogo, la minaccia di modificare il citato Tratado entre México, Estados Unidos y Canadá (T-Mec); poi l’intimidazione migratoria di Trump, che potrebbe incidere sulle rimesse, e infine la profonda riforma della giustizia, che in un primo tempo frenerà gli investimenti. Aspettative al ribasso anche per Moody’s, che ha rivisto la crescita del Pil ’25 dall’1,3% allo 0,6; tra le cause del pronostico, il fattore Trump e la minaccia protezionistica, l’incertezza sugli investimenti delle società statunitensi, e le preoccupazioni per la riforma della giustizia.
Sulla stessa linea l’Organizzazione per la Cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), che prevede un modesto +1,2 per cento. Si dovranno poi contrastare sia le eventuali tensioni inflazionistiche, affinché non ci discosti molto dal 3,5% previsto dalla Banca del Messico, sia il prevedibile deterioramento del mercato del lavoro, (in questa fase il tasso di disoccupazione è ai minimi). Città del Messico si è quindi impegnata a ridurre il deficit fiscale dal 5,9% del ’24 sino al 3,9 per cento. Un obiettivo che appare proibitivo, poiché dovrebbe passare attraverso il taglio della spesa pubblica (anche per le infrastrutture), e avrebbe un impatto negativo sulla crescita. Tutto ciò in uno scenario in cui il tasso di riferimento della Banca centrale dovrebbe variare tra l’8,5 e il 9%, anche al fine di frenare una possibile svalutazione del peso, e lasciarlo fluttuare, se possibile, intorno a un tasso di cambio di 18,7 sul dollaro.
Un altro compito arduo, per l’esecutivo, sarà la gestione dell’ordine pubblico. Il Paese, infatti, ha chiuso il 2024 nel bel mezzo di un’escalation di violenza, che ha colpito soprattutto lo Stato di Sinaloa. Un’impennata di omicidi legata in particolare all’arresto, negli Stati Uniti, dei narcotrafficanti Ismael “El Mayo” Zambada e Joaquín Guzmán López, ovvero il figlio del «signore della droga» Joaquín “El Chapo” Guzmán Loera. E poi incomberà l’accennata questione migratoria: soprattutto si teme che la deportazione di massa minacciata da Trump, finisca per creare il caos nelle città di frontiera. Cosicché la presidente spera di raggiungere un accordo con l’amministrazione Trump, affinché gli espulsi non messicani vengano inviati direttamente nei loro Paesi di origine. Una sfida di enormi proporzioni andrà poi in scena il primo giugno, con l’elezione di 881 componenti del Poder judicial: sarà la maggiore riorganizzazione del sistema giudiziario, nella storia recente della Nazione. Infine la presidente, in carica da ottobre, dovrà conservare elevati indici di popolarità (oggi è al 76%), e garantire solidità alle istituzioni: soltanto forte di questa base politica, potrà affrontare efficacemente le complesse trattative con Washington.