Migliaia di siti contaminati dai rifiuti indistruttibili

di C. Alessandro Mauceri

In Europa sono più di 17mila i siti contaminati dai Pfas, i composti chimici considerati “perenni”, i cosiddetti forever chemicals. A lanciare l’allarme il rapporto Forever pollution project, la ricerca realizzata da giornalisti provenienti da 14 nazioni europee. I dati confermano che la situazione è peggiore di quanto si pensava, ma il numero allarmante pubblicato non terrebbe conto dei luoghi sospetti (almeno altri 21mila) di cui non si dispone ancora di dati di campionamento. Un’inchiesta, realizzata tra gli altri dalle redazioni di Le Monde e The Guardian (alla quale ha partecipato per l’Italia Radar Magazine) ha permesso di stilare la mappa dei Pfas.
La pericolosità di questi composti chimici sintetici deriva dal fatto di essere quasi indistruttibili. Per anni i prodotti realizzati con questi composti sono stati diffusi: prodotti antiaderenti, antimacchia o impermeabili come il Teflon o il Gore-tex. Alcuni si possono trovare nella carta per alimenti, nelle padelle antiaderenti, nell’abbigliamento tecnico e nei tessuti impermeabili e antimacchia. Perfino nella carta igienica. Secondo alcune stime, il peso economico dei Pfas sui sistemi sanitari europei sarebbe tra 52 e 84 miliardi di euro.
Duro il commento di Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace: “Questa indagine senza precedenti tocca un nervo scoperto su cui le autorità nazionali da tempo hanno scelto di non intervenire, nonostante sia chiaro che la contaminazione riguardi l’acqua, l’aria, gli alimenti e il sangue di migliaia di persone. Si tratta di un’emergenza ambientale e sanitaria fuori controllo. Esortiamo il governo, il parlamento e i ministeri competenti ad assumersi le proprie responsabilità varando in tempi brevi una legge che vieti l’uso e la produzione di tutti i Pfas, insieme all’adozione di adeguati provvedimenti di bonifica e all’individuazione di tutti i responsabili”.
Particolarmente grave la situazione in Italia. Il Po, già ai minimi storici per la siccità, sarebbe pieno di Pfas. Molte le segnalazioni anche in Toscana: nell’Arno all’altezza del Ponte della Vittoria e a Pisa. E poi a Castagneto Carducci, a Rosignano, a Piombino (dove presto sorgerà il nuovo rigassificatore), a Grosseto, a Capalbio e a Orbetello. Più a sud, a Matera i livelli di Pfas sarebbero superiori una volta e mezzo il limite di guardia. In Sardegna molte località della costa occidentale presentano livelli elevati. In questa lista non poteva mancare la Sicilia: ad Agrigento, a Scicli e ad Augusta. Esemplare il caso di Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria, sede di un importante polo chimico. Per tanto, troppo tempo, le istituzioni hanno sottovalutato le percentuali elevate di morti premature per il cancro, malattie neurologiche, malattie endocrine e metaboliche. Fino al 2008 quando un’analisi delle falde acquifere ha confermato i livelli elevati di inquinamento. Ma non è bastato. Per avere un intervento concreto è stati necessario attendere oltre un decennio: tra il 2017 e il 2022.
“La mappa italiana rivela elevati livelli di inquinamento non solo in alcune aree del Veneto, già tristemente note per essere uno degli epicentri europei dell’emergenza Pfas, ma toccano anche alcune zone del Piemonte, limitrofe allo stabilimento della Solvay specializzato proprio nella produzione di Pfas, della Lombardia e della Toscana. Questo quadro potrebbe essere ben più grave considerando che non tutte le Regioni italiane effettuano monitoraggi capillari” ha dichiarato Greenpeace che, insieme a altre 100 organizzazioni della società civile europee, ha proposto il Ban Pfas, la messa al bando di queste sostanze.
La pubblicazione di questi risultati è arrivata quasi in contemporanea alla pubblicazione, da parte dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA), della bozza di proposta per vietare la produzione e l’uso di migliaia di Pfas. Tra le nazioni promotrici di questa misura Germania, Paesi Bassi, Svezia, Danimarca e Norvegia. Assente ingiustificata l’Italia.
Anche in altre parti del pianeta ci si sta muovendo in questa direzione. “Proprio ieri l’Agenzia per la protezione dell’ambiente (EPA) degli Stati Uniti ha proposto l’introduzione di limiti estremamente cautelativi riguardo la presenza di sei molecole appartenenti al gruppo dei Pfas nell’acqua potabile. Per due di questi composti, Pfoa e Pfos, la cui pericolosità per la salute è nota considerata la loro classificazione come possibili cancerogeni, l’autorità americana ha proposto come limite lo zero tecnico, ovvero il valore più basso che le attuali strumentazioni sono in grado di rilevare, mettendo in pratica il concetto che per queste sostanze non esistono soglie di sicurezza” hanno dichiarato gli attivisti.
Ma non sono solo i Pfas ad inquinare l’Ue. Secondo i dati contenuti nel soil health dashboard, il nuovo strumento dell’EU Soil Observatory (EUSO) sviluppato e gestito dal Joint Research Centre (JRC), il 61% dei suoli dell’Ue si trova in uno stato malsano. Il dashboard EUSO sulla salute del suolo si basa su una serie di 15 indicatori: erosione del suolo, inquinamento del suolo, nutrienti, perdita di carbonio organico del suolo, perdita di biodiversità del suolo, compattazione del suolo, salinizzazione del suolo, perdita di suoli organici e impermeabilizzazione del suolo. Secondo gli esperti, però, questi “indicatori coprono solo un sottoinsieme dei processi di degrado che interessano i suoli. Speriamo che il dashboard metta in luce le attuali lacune nei dati sul suolo, al fine di guidare una migliore condivisione dei dati e una ricerca mirata”.
“Questa cifra è una sottostima dell’effettiva portata del degrado del suolo, data la riconosciuta mancanza di dati su molti altri problemi di degrado del suolo, come la contaminazione del suolo” è l’allarme lanciato da JRC. “Questa proposta fa parte della strategia dell’Ue per il suolo per il 2030. Il suo scopo è quello di specificare le condizioni per un suolo sano, determinare le opzioni per il monitoraggio del suolo e stabilire regole favorevoli all’utilizzo e al ripristino sostenibili del suolo”. Un dato preoccupante ma che non è una novità: non si discosta in modo radicale dai dati della valutazione precedente. I segnali più diffusi di degrado del suolo sarebbero la perdita di carbonio organico del suolo (48%), la perdita di biodiversità del suolo (37,5%) e l’erosione del suolo da parte dell’acqua (32%). Secondo il soil health dashboard la maggior parte dei suoli malsani sarebbe soggetta a più di un tipo di degrado.