Mignolli, ‘Von der Leyen, l’interventista che ha tradito i valori europei’

'Stop corsa alle armi, l’Europa torni al suo ruolo di autorità per la pace e il dialogo'.

di Gianluca Vivacqua

Dal Recovery Fund, per una ricostruzione pacifica dei Paesi europei dopo la pandemia, al ReArm Europe/Readiness 2030 passando per gli aiuti sempre più consistenti dati all’Ucraina in guerra con la Russia: che la conversione “militarista” di Ursula von der Leyen sia in fondo l’applicazione più audace ed estrema di quel principio di adattamento ai tempi, in altre circostanze si sarebbe chiamato “resilienza”, che è uno dei capisaldi della sua politica europea a partire dal fatidico 2020? Un bilancio più completo dei cinque anni finora trascorsi alla guida della commissione Ue da von der Leyen, la donna che ha dato il suo nome a una formula maggioritaria, proviamo a farlo con Alessandra Mignolli, professore associato di Diritto dell’Unione Europea alla Sapienza di Roma.

– Professoressa, secondo lei qual è il principio cardine della politica di von der Leyen?
“Non vedo un chiaro principio cardine, ad essere sincera. All’inizio del suo primo mandato una direzione si intravedeva, soprattutto dal punto di vista della transizione verde e della transizione digitale, ma anche con qualche timida iniziativa sociale. Poi sono arrivate le crisi, prima la pandemia, durante la quale la Commissione ha tentato di tenere insieme gli Stati membri, benché l’opacità dei contratti sui vaccini abbia gettato un’ombra sulla sua azione, e ha anche coordinato in modo più o meno efficace la gestione del Next Generation EU e la ripresa post pandemia. Poi sono scoppiate le guerre, e a questo punto la Commissione ha cominciato a inseguire le emergenze in modo scomposto e incoerente. La Conferenza sul futuro dell’Europa avrebbe potuto aprire le istituzioni a un maggior coinvolgimento della società civile nel processo di riforma, ma a quel punto, la Conferenza si è conclusa nella primavera del 2022, era difficile ragionare serenamente e in modo ampio della riforma dei Trattati, che pure sarebbe necessaria per affrontare molti dei nodi che rendono così difficile la gestione delle crisi attuali.
Gravi sono state, e sono ancora, le interferenze di von der Leyen su questioni che non sono di sua competenza, sia riguardo alla questione ucraina, sia riguardo a quella mediorientale, con dichiarazioni pubbliche e fughe in avanti su questioni di politica estera che esulano dall’ambito delle competenze della Commissione. Come è noto, infatti, le prese di posizione relative alla politica estera devono essere prese dai governi degli Stati membri riuniti nel Consiglio europeo o nel Consiglio, all’unanimità, e rappresentate all’esterno dal presidente del Consiglio europeo o dall’alto rappresentante.
Non vedo nella leadership di von der Leyen né lucidità né senso di responsabilità, né tanto meno la capacità di lavorare, come sarebbe suo dovere e compito istituzionale, nel solo interesse generale dell’Unione e dei popoli europei”
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– Quale pensa sia la sua idea di Europa?
“Da quanto detto in precedenza è evidente che non vedo un’idea di Unione europea nella politica di von der Leyen. Dall’ultima proposta, quel ReArm EU o Readiness 2030 che dir si voglia, emerge un’idea di Ue divisa, disarticolata, niente affatto integrata, perché la difesa europea è di là da venire e non si potrà certo realizzare con una corsa al riarmo da parte dei singoli Stati nazionali attraverso un ulteriore, e per alcuni di essi insostenibile, indebitamento. Certo non è responsabilità esclusiva di von der Leyen, ma una leadership forte e responsabile da parte della presidente della Commissione avrebbe potuto e dovuto dirigere l’azione dell’Unione verso scelte più solidali e volte all’integrazione, anche in materia di industria della difesa.
L’Ue di von der Leyen è un’Unione che ha violato e rinnegato i suoi valori fondativi, probabilmente già da tempo traballanti, ma che adesso si stanno sgretolando sotto i nostri occhi. La Dichiarazione Schuman proponeva di unificare la produzione di carbone e acciaio per evitare che tali industrie continuassero a produrre armi e munizioni di cui i cittadini europei sarebbero state le prime vittime. E adesso stiamo tornando a fare gli stessi errori del passato. Ci avviamo a produrre sempre più armi e munizioni, di cui in futuro i nostri cittadini rischiano di essere vittime, come già da tre anni lo sono i cittadini ucraini e quelli russi. Sia chiaro (occorre ripetere il mantra che ci ha accompagnato in questi terribili tre anni), l’Ucraina è vittima di un’aggressione e di un crimine internazionale, ma è altrettanto chiaro che l’Unione europea, in quanto soggetto internazionale fondamentale in Europa, avrebbe dovuto tener fede al suo ruolo e alla sua responsabilità e fin da subito prestare i suoi buoni uffici in favore di una soluzione pacifica della questione, in nome di un concetto integrato di sicurezza europea presente fin dall’Atto finale della Conferenza di Helsinki del 1975. Nel delicatissimo scenario attuale della crisi ucraina, che richiederebbe di agire con estrema prudenza e lucidità, magari cercando di accompagnare e di indirizzare in direzioni meno deliranti i difficili negoziati in corso, la Commissione europea sostiene e propone la creazione di potentissimi e armatissimi eserciti nazionali, per giunta in un’Europa dove quasi ovunque stanno crescendo i consensi delle destre più estreme. Von der Leyen ha sempre manifestato, e continua a manifestare, un’indole bellicista più che di invito al negoziato: le sue proposte sono sempre andate nella direzione di un crescente impegno militare (si pensi al regolamento ASAP) e di sanzioni, mai in quella di un coinvolgimento diplomatico dell’Ue.
Però non ha mai proposto l’adozione di sanzioni nei confronti di Israele per la sua brutale e sproporzionata reazione all’attacco criminale di Hamas del 7 ottobre 2023 (con gravissimi crimini di guerra e l’accusa al governo di Israele, giudicata plausibile dalla Corte internazionale di giustizia, di commettere atti genocidari nei confronti della popolazione palestinese), né ha proposto la sospensione dell’accordo di cooperazione Ue/Israele, contribuendo ad esporre l’Ue ad accuse (fondate) di applicare doppi standard in tema di rispetto del diritto internazionale, dei diritti umani e del diritto umanitario. Anzi, una delle fughe in avanti non concordate ed estranee alla sua competenza sono state proprio alcune dichiarazioni pubbliche di von der Leyen di supporto incondizionato a Israele, in momenti in cui la portata delle azioni israeliane a Gaza era già dolorosamente chiara”
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– Che eredità pensa di lasciare la prima donna presidente della Commissione Ue?
“Non so se in cuor suo von der Leyen coltivi il desiderio di lasciare un’eredità di rafforzamento della dimensione militare dell’Unione Europea, se voglia riaffermare l’Ue come potenza mondiale in un mondo che si avvia a essere sempre più multipolare: la creazione di un “polo” europeo arroccato e fortificato. Il punto è che secondo me lo fa partendo da premesse errate. Non sono le armi la forza dell’Europa. L’UE è stata creata per mettere a tacere le armi.
La legacy di queste due Commissioni a guida von der Leyen rischia dunque di essere la distruzione dell’idea di Europa con cui sono cresciuta, che era un’Europa unita dal suo ordinamento giuridico fondato su soluzioni innovative (le soluzioni creative di cui parlavano i nostri Padri fondatori) in termini di apertura dei confini e dei territori, integrazione e applicazione quasi federale del diritto, dai suoi valori di pace, democrazia e diritti umani, dall’impegno per il multilateralismo, per farla precipitare in un abisso di conflitto, forse anche interno, di doppi standard che ne minano definitivamente la reputazione internazionale, di crisi economica e aumento incontrollato delle disuguaglianze sociali, di povertà, di guerra.
L’Ue a mio avviso dovrebbe abbandonare improbabili velleità di potenza militare, per tornare a essere una potenza normativa e fondata su alcuni ideali e valori, da promuovere e sostenere però con coerenza, non con la forza delle armi, che peraltro l’Ue come tale non ha, non avrà e non potrebbe comunque utilizzare senza una radicale revisione dei Trattati (ma di questo se vuole parleremo un’altra volta), ma con la forza della diplomazia e del dialogo con tutti, senza creare frontiere o fossati tra “noi” e “loro”, chiunque siano “loro”: russi, cinesi, palestinesi, israeliani, africani, iraniani, americani. Invece quello che vedo è un’Unione europea dominata dalla paura e dall’odio, irrigidita su posizioni e logiche di contrapposizione manichea, e di questo attribuisco a von der Leyen almeno una parte di responsabilità.
Siamo appena all’inizio della legislatura e le premesse non sono buone. Permane però sempre la speranza che si cambi direzione. Sarò la prima a essere felice se la presidente della Commissione dovesse capire che continuando a perseguire dissennatamente le attuali politiche si rischia la rovina dell’Europa che con tanta fatica si stava cercando di costruire”
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