Musk e DOGE: (millantata) efficienza alle spese della democrazia

di Lorenzo Ruggiano –

Si stima che Elon Musk abbia investito più di 270 milioni di dollari nella campagna elettorale repubblicana, diventandone il maggior finanziatore privato. Ciò gli è valso da passe-partout per le stanze dei bottoni statunitensi: già il 20 gennaio la neoeletta amministrazione Trump ha posto Musk alla guida di un inedito apparato di governo, il Department of Government Efficiency, il dipartimento per l’efficienza governativa, il cui obiettivo dichiarato è la minimizzazione delle strutture federali, al fine di abbattere quelli che vengono considerati sprechi di denaro della pubblica amministrazione.
L’operato di DOGE nei suoi primi mesi di attività è risultato nel licenziamento di decine di migliaia di impiegati federali, nella risoluzione prematura di moltissimi contratti governativi, nonché nell’abbandono in tronco di programmi di assistenza sociale. Com’era prevedibile, a finire nel mirino di Musk sono stati anzitutto i nemici di sempre dell’agenda MAGA, tra cui le agenzie promotrici di politiche DEI (Diversity, Equity and Inclusion) o quelle che operavano nel settore della sostenibilità ambientale. Gli sforzi di DOGE verso lo snellimento sostanziale degli apparati governativi hanno poi coinvolto anche alcuni settori nevralgici dell’amministrazione statunitense, come il dipartimento della difesa, quello della giustizia, dell’istruzione, della sicurezza interna, dell’agricoltura, dell’energia e molti altri che hanno subito una forte riduzione dei fondi e della forza lavoro. L’ingerenza di DOGE nelle strutture governative non si ferma ai tagli di budget e di personale, anzi, si sta consolidando un modus operandi per cui il dipartimento dell’efficienza impone propri dipendenti in posizioni di rilievo di altri dipartimenti e agenzie governative, soprattutto in agenzie indipendenti, create appositamente per operare fuori dal controllo diretto della Casa Bianca. Tra le vittime delle incursione di Musk e i suoi spiccano istituzioni come il National Institutes of Health (l’istituto nazionale di sanità statunitense), il Consumer Financial Protection Bureau (l’ufficio per la protezione finanziaria dei consumatori), l’SSA (l’amministrazione centrale della previdenza sociale americana) e il dipartimento del tesoro, tutte organizzazioni che raccolgono dati altamente sensibili sui cittadini americani e a cui ora dunque DOGE ha pieno accesso. La disponibilità di un tale ventaglio di informazioni confidenziali da parte della stessa agenzia governativa pone grossi rischi di sicurezza, sia per quanto riguarda attacchi informatici esterni, sia per un loro potenziale utilizzo doloso contro nemici politici o personali del dipartimento dell’efficienza. A esacerbare un quadro già così compromesso vi è poi la questione dello staff di DOGE, per lo più proveniente dall’inner circle di Musk e delle sue altre aziende, in cui figura un gruppo di dipendenti eccezionalmente giovani: si tratta di 6 informatici di età compresa tra i 19 e i 24 anni, con quasi nessuna esperienza professionale, ben che meno in ambito governativo, che di punto in bianco si ritrovano ad avere accesso e a lavorare sui dati più riservati della nazione.

Efficienza o mera propaganda? I numeri falsati di DOGE.
In nome della trasparenza nel lavoro di DOGE, un punto su cui Musk ha insistito in molteplici interviste, è stato creato un sito internet ufficiale del dipartimento, che raccoglie e cataloga tutte le attività da esso svolte. Il sito funge inoltre da vetrina digitale per mettere in mostra l’ammontare di denaro risparmiato grazie all’impegno di DOGE: visitandolo ci si imbatte subito in due grossi contatori, che segnano rispettivamente il totale di risparmio in dollari e a quanto corrisponde quella cifra per ciascun contribuente, seguiti poi dalla cosiddetta “Wall of Receipts”, il muro della ricevute, una lunga lista dei singoli contratti di cui si è occupato il dipartimento e la relativa quantità di denaro che è stata risparmiata terminandoli.
Il New York Times ha intrapreso un’inchiesta sulle informazioni riportate in questa sezione del sito, trovando grossissimi errori di valutazione già solo nelle prime cinque voci del “muro”, e cioè nei cinque contratti di maggior valore. In cima alla lista figurava un contratto con il Dipartimento della Sicurezza Interna, la cui estinzione sarebbe valsa un risparmio di 8 miliardi di dollari. La semplice analisi della documentazione a riguardo, da parte dei giornalisti del Times, ha rivelato che il valore effettivo del contratto era di 8 milioni, mille volte meno di quanto dichiarato. La seconda, terza e quarta posizione erano tutte occupate da contratti presi con USAID (storica agenzia statunitense che offre aiuti umanitari ed economici in paesi in via di sviluppo) per cui DOGE dichiarava di aver risparmiato 654 milioni di dollari ciascuno. L’indagine della testata newyorkese ha fatto emergere come in realtà si trattasse dello stesso contratto segnato come tre voci differenti, il quale, come non bastasse, presentava anche stavolta un valore ampiamente inflazionato. Essendo infatti un contratto stipulato anni prima, la maggior parte dei fondi assegnati era già stata spesa, portando il risparmio derivante dalla sua cancellazione a circa 18 milioni di dollari, ben lontano dagli 1.9 miliardi, 654 milioni per tre volte, dichiarati sulla Wall of Receipts. Anche nel quinto maggior contratto troviamo un ingigantimento dei numeri, l’accordo in questo caso riguardava l’SSA per cui era segnato un risparmio di 231 milioni, quando il valore nei fatti ammontava a 560 mila dollari.
A seguito della pubblicazione delle scoperte del Times, riprese dalla quasi totalità dei quotidiani nazionali, DOGE ha aggiornato il proprio sito rimuovendo le voci incriminate. Neppure questa versione revisionata del “muro delle ricevute” ha però superato il controllo dei reporter del New York Times, che hanno trovato altri errori grossolani a partire dalla nuova prima posizione. Il nuovo contratto capolista, la cui estinzione sarebbe valsa un risparmio di 1.9 miliardi di dollari, risultava infatti già cancellato l’anno precedente, sotto l’amministrazione Biden. Un caso ancora più eclatante di appropriazione del lavoro di altre presidenze si trova qualche posizione più in fondo, dove DOGE ha dichiarato un risparmio di 54 milioni di dollari per un contratto terminato nel 2005, quando alla Casa Bianca c’era George W. Bush. La risposta di Musk e del suo team a queste ulteriori criticità sollevate dai giornalisti è stata rendere il lavoro di DOGE meno trasparente, rimuovendo dal sito qualsiasi informazione che permettesse di identificare i contratti citati. Il New York Times è però riuscito a scovare nel codice del sito un ID univoco assegnato a ogni contratto, che ha permesso di risalire alla documentazione ufficiale e di continuare la verifica dei dati attestati dal dipartimento dell’efficienza. L’indagine in questo caso si è concentrata sulla sezione delle sovvenzioni federali, e ancora una volta i problemi iniziano dalla prima posizione. Sul gradino più alto del podio il sito riportava un risparmio di 1.75 miliardi di dollari per la cancellazione di contributi governativi verso un ente no profit che si occupa di sanità pubblica. Quando raggiunto dai giornalisti, l’ente stesso ha dichiarato non solo che quel contratto è di fatto ancora in vigore, ma che, anche se l’avessero cancellato, il risparmio sarebbe stato nullo, visto che quei fondi sono già stati pagati. In molte altre posizioni della lista ci si imbatte nelle stesse tipologie di errori già presenti nelle precedenti versioni del sito. L’inesattezza più comune, anche in questa sezione sulle sovvenzione, resta quella di riportare come valore del contratto, e quindi come risparmio per i contribuenti, il tetto massimo di spesa previsto, volutamente pensato molto più largo delle esigenze, invece dell’effettivo ammontare pagato. In questo modo, per alcuni contratti è possibile dichiarare un risparmio di decine di milioni di dollari a fronte di un effettiva spesa governativa che sarebbe stata nell’ordine delle centinaia di migliaia. Inoltre sembra essere frequente la cancellazione di contratti che risultano in gran parte, o del tutto, già pagati dal governo. L’unico effetto di interventi del genere, escluso l’essere sfoggiati sul sito di DOGE per sbandierare un risparmio inesistente, è di impedire ai contribuenti di ricevere servizi per cui il loro denaro è già stato speso, e che quindi spetterebbero loro di diritto. Di certo si tratta di un tipo di operazioni che, quanto a efficienza, lascia molto a desiderare.

DOGE e democrazia.
In pochi mesi DOGE è riuscito a insinuarsi nella macchina del potere statunitense e a estendere la propria influenza su ogni componente dell’apparato federale. La “task-force” di Musk si trova nei fatti in una posizione di controllo sull’intero settore pubblico americano, avendo a disposizione tutti i dati più riservati del lavoro di dipartimenti e agenzie e potendo fare il bello e il cattivo tempo riguardo budget e staff di ogni altra organizzazione. La lotta spietata alla burocrazia, che DOGE porta avanti sotto l’egida dell’efficienza, si sta sempre più traducendo in un pericoloso accentramento di potere verso l’esecutivo. Del resto, uno sfoltimento tanto aggressivo dell’infrastruttura governativa, come quello che ha in mente Musk, andrà di certo a erodere il sistema di controlli ed equilibri democratici, necessario al funzionamento di uno stato di diritto. Inoltre, quasi tutti i provvedimenti posti in essere fin qui da DOGE sono considerabili un’usurpazione del “Power of the Purse” (letteralmente il “potere della borsa”) che spetterebbe invece al Congresso, l’unico organo a cui la costituzione attribuisce il diritto di decidere sulle spese governative. L’istituzione del dipartimento dell’efficienza è avvenuta infatti tramite un ordine esecutivo del presidente Trump, un procedimento cioè per cui non è richiesta l’approvazione del Congresso, e che, da un punto di vista legale, lo inquadra nel novero delle organizzazioni consultive e temporanee, prive del potere di emanare atti aventi forza di legge. Non potendo quindi essere considerato una vera e propria agenzia federale, sembra che DOGE, in quanto mero organo sussidiario dell’esecutivo, stia operando ben oltre i limiti legali del proprio mandato. Un’organizzazione consultiva, per prima cosa, non può tagliare fondi in autonomia, anzi, secondo l’”Impoudment Control Act” del ’74, una volta che le risorse sono state stanziate nel budget federale, l’amministrazione in carica può solo proporre tagli in via eccezionale che, in ogni caso, dovranno poi essere revisionati dal Congresso, un passaggio mai avvenuto per nessuna delle misure prese dal team di Musk. In secondo luogo, anche il licenziamento del personale di governo è fuori dalle competenze di un organo di questo tipo, soprattutto se agisce da solo. L’unica casistica simile a riguardo è il “Federal Workforce Restructuring Act” del 1994, voluto dal presidente Clinton e mirato anch’esso a diminuire il numero di impiegati federali. In quell’occasione, tuttavia, un Congresso bipartisan ebbe un ruolo più che rilevante, prima approvando il provvedimento con una larga maggioranza e poi collaborando con l’esecutivo nei lavori di attuazione. Nelle operazioni svolte da DOGE invece il Congresso non è nemmeno mai stato interpellato. In definitiva, l’attività politica di Musk non solo incarna a pennello l’ethos autoritario che aleggia sull’intera amministrazione Trump, ma oltretutto i precedenti legali che ha creato e i provvedimenti di cui si fregia andranno a rendere ancor più semplice per l’esecutivo ignorare i controlli democratici del paese.