Nagorno Karabakh: un conflitto scomodo per il quale in pochi si schierano

di Dario Rivolta * –

Durante la creazione dell’Unione Sovietica a Mosca si decise che gli Stati membri della Federazione dovessero mettere da parte ogni sentimento nazionalista per immaginarsi solamente come membri di uno Stato più grande. Per evitare la tentazione che un domani potesse rinascere in qualcuno l’idea di Stato-nazione, Stalin fece sì che ogni Stato comprendesse anche popolazioni di etnia differente da quella maggioritaria in loco. Soprattutto in quelle aree ove l’elemento russo era numericamente insignificante. L’Azerbaigian fu uno dei casi in cui all’interno di uno Stato a maggioranza azera e musulmana si incluse una regione con abitanti principalmente armeni e cristiani. Si trattava del Nagorno Karabakh.
In realtà quella piccola area non fu sempre abitata da armeni e qualcuno sostiene che i suoi primi autoctoni identificabili fossero addirittura degli etruschi che solo in seguito si spostarono in Italia. La storia ci dice che i primi stranieri a conquistare quel territorio forse furono i romani, poi i persiani dei sassanidi seguiti dagli arabi musulmani che rimasero dominanti fino al IX secolo. Dopo un breve intervallo di poteri locali, nell’XI secolo arrivarono i turchi che furono a loro volta scacciati da un’invasione di mongoli (il nome Karabakh significava nella loro lingua “giardino nero”). All’inizio del 1800 tutta la regione passò sotto il controllo degli zar di Mosca. Già allora si confermò una coesistenza tra più etnie e religioni che sembrava pacifica, almeno fino all’inizio del Ventunesimo secolo. I sentimenti nazionalisti diffusi in Europa già negli anni precedenti presero piede anche nella regione e all’inizio del Novecento cominciarono i conflitti tra la maggioranza armena e la minoranza azera. La comunità internazionale nel 1919 comunque riconobbe il controllo azero sul Karabakh e così fece anche l’Unione Sovietica nel 1920. Le proteste degli armeni diventarono violente ma l’Armata Rossa soffocò le rivolte senza farsi scrupoli e l’area rimase definitivamente inclusa nel nuovo Azerbaigian. Sembra che la decisione di Mosca tenesse in considerazione anche le richieste della Turchia che fin d’allora aveva un occhio di riguardo verso tutti i popoli turcofoni, come esattamente sono gli azeri.
La fine dell’Unione Sovietica non fece che aumentare le tensioni locali. Il 30 agosto 1991 l’Azerbaijian deliberò di lasciare l’Unione e diede vita alla repubblica di Azerbaijan. Il 2 settembre il soviet del Nagorno Karabakh, basandosi su una legge dell’USSR (legge del 3 aprile 1990 che recita “Se all’interno di una repubblica che decide il distacco dall’Unione vi è una regione autonoma, questa ha diritto di scegliere attraverso una libera manifestazione di volontà popolare se seguire o meno la repubblica secessionista nel suo distacco dall’USSR”), decise di non seguire l’Azerbaigian e votò per la costituzione di una entità statale autonoma. Il 26 novembre il Consiglio supremo dell’Azerbaigian, riunito in sessione straordinaria, votò una mozione per l’abolizione dello statuto autonomo del Karabakh ma la Corte costituzionale sovietica due giorni dopo la respinse in quanto non più materia sulla quale l’Azerbaigian poteva legiferare. Il 10 dicembre 1991 la neonata repubblica del Nagorno Karabakh (Artsakh) approvò il referendum confermativo, al quale fecero seguito le elezioni politiche. Il 6 gennaio venne ufficialmente proclamata la repubblica, il 31 dello stesso mese cominciarono i bombardamenti azeri sul neonato Stato.
Scoppiò una guerra che fece decine di migliaia di morti da entrambe le parti. L’Armenia aiutava i separatisti e la Turchia armava e consigliava gli azeri. La Russia, storicamente più vicina all’Armenia, non abbandonò tuttavia Baku e continuò a fornire armi a entrambi i contendenti riuscendo perfino a porsi come uno dei mediatori per facilitare la fine del conflitto. Un vero armistizio fu raggiunto solo nel 1994 ma scaramucce lungo la linea di confine non sono mai venute meno. È interessante sapere che nessuno Stato membro dell’Onu (nemmeno l’Armenia) ha riconosciuto ufficialmente la Repubblica dell’Artsakh ma alcuni Stati membri di Federazioni lo hanno fatto. Tra di loro anche alcuni statunitensi: Colorado, Michigan, Hawaii, Georgia, California, Luisiana, Maine, Massachusetts e Rhode Island. Naturalmente lo hanno fatto anche Paesi in condizioni alquanto simili come l’Ossezia del Sud, l’Abkazia e la Transnistria.
La guerra scoppiata ai nostri giorni ha avuto inizio già il 6 luglio scorso con una locale scaramuccia scaturita da dichiarazioni del presidente Ilham Aliyev in merito al diritto azero di pretendere la restituzione dei territori (a suo dire) abusivamente occupati dagli armeni. L’11 e il 12 luglio sono cominciati gli scambi di colpi d’artiglieria e da allora la situazione è andata peggiorando. Da Erevan accusano Baku di avvalersi di mercenari turchi in arrivo dalla Siria e di contare su armi e consiglieri mandati da Ankara. Gli altri sostengono che tra i miliziani armeni ci siano curdi del PKK. Il gioco di accuse reciproche e di seguenti smentite si ingigantisce ogni giorno e, mentre gli azeri dichiarano che la loro seconda città del Paese, Ganca, è stata oggetto di attacchi nemici, i secondi diffondono fotografie di civili morti a seguito dei continui tiri di artiglieria azera sulla loro capitale, Stepankert.
Il vero rischio è che la guerra si estenda al di fuori del territorio dello stesso Nagorno Karabakh e che arrivi davvero sui territori dei due Stati contendenti. Questo significherebbe l’inizio di una vera guerra dall’esito e dai tempi molto incerti. È bene osservare che quando la regione separatista si dichiarò indipendente, nella nuova Repubblica furono incluse anche città a maggioranza azera che si trovano nella zona che separa il Nagorno Karabakh dall’Armenia. La ragione è semplice: si voleva creare un collegamento anche via terra tra la neonata Repubblica e quella che è considerata la madrepatria.
Purtroppo per chi vuole capire le dinamiche della contesa e quali siano gli schieramenti la cosa non è semplice. A parte la Turchia che sta evidentemente con Baku da sempre, tutti gli altri Stati che hanno un qualche interesse nella zona stanno con tutti e con nessuno.
La Russia dovrebbe essere considerata culturalmente e storicamente vicina all’Armenia, dove ha pure una propria base militare. Tuttavia da sempre sa di non potersi permettere di abbandonare l’Azerbaigian, se non altro per non lasciarlo totalmente soggetto ai turchi. L’alleanza con la Turchia in Siria (seppur tattica e destinata prima o poi a finire) e il bisogno di continuare a seminar zizzania tra i membri NATO suggeriscono a Mosca di muoversi con estrema prudenza. Inoltre, si tratta di uno Stato con le coste sul Mar Caspio, lago ricchissimo di gas e petrolio, che ha voce in capitolo per contribuire a definirne lo status e i possibili sfruttamenti. Infine i rapporti con Erevan sono peggiorati da quando è salito al potere il nuovo primo ministro Pashinyan, sospettato di strizzare l’occhio agli americani. Da che parte starà quindi, veramente, la Russia?
L’Iran ha buoni rapporti con entrambi e ha dichiarato di non volersi immischiare nel conflitto. Israele non ha invece contatti buoni con Ankara (e quindi potrebbe simpatizzare con l’Armenia) ma ha fornito agli azeri armi tecnologicamente avanzate e importa la maggior parte del petrolio proprio attraverso l’oleodotto Baku-Tbilisi- Ceyhan. Anche il fatto che l’Azerbaigian abbia una lunga linea di confine con l’Iran spinge Tel Aviv a mantenere relazioni ottimali con Baku.
Infine all’interno dello stesso Azerbaigian le cose non sono univoche: se i legami economici con la Turchia si stanno incrementando da anni e l’opinione pubblica turca è totalmente schierata con loro, l’intellighenzia azera è russofona e laica e vede di miglior occhio i rapporti verso Mosca che verso Ankara.
E l’Italia? Culturalmente dovremmo sentirci più vicini agli armeni che agli azeri, ma il gasdotto TAP che arriva in Puglia parte proprio da un giacimento azero (Shaz Denis 2) e scavalca l’Armenia passando per la Georgia. Si tratta, per il nostro gas, del “corridoio Sud “e nessuno a Roma si sentirebbe di metterlo a rischio.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.